giovedì 24 agosto 2017

Verità e bugie di Donald Trump




Nel dichiarare che la guerra in Afghanistan "continuerà finché avremo raggiunto la vittoria finale", il presidente Trump ha affermato insieme una grande verità e una grande bugia.

La grande verità è che i presidenti americani in politica estera non contano praticamente nulla. Già Obama era entrato alla Casa Bianca dichiarando di voler mettere fine all'invasione dell'Afghanistan, ma dopo pochi mesi si era trovato a fare marcia indietro, mandando invece altri 30.000 soldati proprio in quel territorio.

Anche Donald Trump aveva, fra le sue promesse elettorali, quella di "mettere fine all' invasione inutile e costosissima dell'Afghanistan", ma dopo pochi mesi ha invece dovuto dichiarare, appunto, che la guerra continua fino a nuovo ordine.

Evidentemente c'è qualcosa che il neo presidenti non sanno, e che vengono ad apprendere soltanto dopo essere entrati nell'ufficio ovale.

Ed infatti, con piena onestà, Trump ha dichiarato: "Il mio istinto era di ritirarsi, e storicamente mi piace seguire i miei istinti, ma in tutta la mia vita ho sentito che le decisioni sono molto differenti quando siedi dietro la scrivania dello Studio Ovale".

E non si fatica nemmeno poi tanto ad intuire che cosa possa essere questo "qualcosa" che li obbliga a cambiare idea nell'arco di poche settimane: siccome in realtà è la CIA che fa la politica estera degli Stati Uniti, è soltanto dopo essere stati eletti che i presidenti vengono messi al corrente di quali siano le reali problematiche e le reali strategie americane nelle varie nazioni straniere.

Per quel che guarda l'Afghanistan, in tutta probabilità il neopresidente viene messo al corrente di quali siano le effettive dimensioni del mercato petrolifero in tutta l'Asia centrale, di cui l'Afghanistan è chiaramente il crocevia. A questo si aggiunga l'importanza del mercato mondiale dell'eroina, che serve ovviamente poter controllare all'origine - e cioè nell'Afghanistan stesso - per trarre gli enormi profitti che servono poi a finanziare le mille black-ops in tutto il mondo.

Possiamo quindi immaginare la traumatica "discesa agli inferi" che i neopresidenti si trovano a dover affrontare, una volta messi di fronte a fatti, dati e cifre che probabilmente non sospettavano nemmeno.

A questo punto però, una volta deciso di fare dietrofront, scatta anche la necessità inversa, ovvero quella di non poter raccontare al popolo americano quale siano le reali motivazioni per gli Stati Uniti nel dover controllare un paese come l'Afghanistan. Ed ecco che a questo punto scatta la grande bugia, e Trump ci spiega che ha cambiato idea perché "abbandonare l'Afghanistan significherebbe lasciare un vuoto che i terroristi, dai talebani all'Isis e Al-Qaida, riempirebbero subito trasformando quel Paese in una piattaforma per attaccare gli Usa."

La bugia è talmente palese che non vale nemmeno la pena di confutarla. Basti pensare che questa bugia è basata sulla menzogna originaria dell'11 settembre secondo la quale, appunto, sarebbe stata Al-Qaida ad attaccare gli Stati Uniti.

Abbiamo quindi, da una parte, la figura del presidente Usa che è tenuto platealmente in ostaggio dei poteri forti - il cosiddetto "deep-state" - e dall'altra un sistema mediatico che veicola regolarmente le clamorose menzogne di questi poteri forti, per poter mantenere il loro controllo sulle varie nazioni del mondo.

Di fronte ad essi sta una popolazione mondiale di rimbecilliti, che assistono come spettatori paganti a questo teatrino mediatico della menzogna globale.

Massimo Mazzucco

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