sabato 27 febbraio 2016

Come sono gli Stati Uniti visti attraverso la lente dell'antispecismo? Ho provato a raccontarvelo

Come sono gli Stati Uniti visti attraverso la lente dell'antispecismo? Ho provato a raccontarvelo

“It's not what you look at that matters, but what you see.”
Henry David Thoreau

Premessa

Tempo fa scrivevo che diventare vegani è “l’inizio di un atto costitutivo che ci muove a un nuovo e diverso sguardo sul reale” (qui). Non diverse le parole di Melanie Joy, la quale sostiene che le persone che mangiano alcune specie animali, mentre ne coccolano altre, hanno gli occhi offuscati dalle lenti del “carnismo” - termine da lei stessa coniato per denominare il concetto culturalmente diffuso di considerare “normale, naturale e necessario” mangiare carne.
E difatti, come ogni antispecista avrà sperimentato su se stesso, una volta che si è preso gradualmente atto della pervasività dello sfruttamento animale e delle dinamiche di oppressione e dominio interne al sistema in cui viviamo - e che riguardano non soltanto gli animali non umani - si inizia a guardare la realtà con spirito critico e ciò che prima ci appariva normale o non ci appariva affatto, nel senso che non veniva nemmeno notato, improvvisamente si dispiega davanti a noi: una sorta di epifania tragica e dolorosa. Per dirla con le parole di H. D. Thoreau riportate in epigrafe, non è importante ciò che guardiamo, ma quello che vediamo.
Due viaggiatori possono così riportare esperienze nettamente diverse riguardo ai paesi che hanno visitato, così come aver guardato una stessa cosa, ma averla vista in maniera soggettivamente peculiare. Ciò non significa che non esista una realtà oggettiva, ma che il giudizio che ne diamo e l’impressione che ne riceviamo sono sempre filtrati dalla cultura e contesto sociale in cui siamo cresciuti, dal nostro patrimonio esperienziale, e infine dal nostro personale sistema di valori. Esistono indubbiamente forme di ingiustizia sociale che possiamo ritenere oggettive e sono quelle che ledono la libertà e i diritti degli esseri viventi. Credo che nessuno dotato di sano intelletto o di un minimo di coscienza possa oggi ritenere che sia giusto sfruttare, opprimere, mercificare, schiavizzare e uccidere individui senzienti; o ritenere che esistano etnie o individui superiori ad altri. Il problema nasce quando ci sono individui che ancora culturalmente, a dispetto di una serie di caratteristiche che gli vengono ormai riconosciute, non vengono considerati tali. Parliamo degli animali non umani, da una parte ritenuti esseri senzienti, dall’altra mercificati, sfruttati e trattati come mere risorse rinnovabili. A causa di questo sistema di valori in cui nasciamo e cresciamo, talune forme di ingiustizia non vengono percepite come tali. Succede così che, pur guardando a uno stesso soggetto, che può essere il cavallo costretto a trainare la carrozzella per turisti o la vetrina di un negozio che espone indumenti in pelle, solo chi ha smesso da un po’ le lenti della cultura specista sia capace di scorgerne tutte le implicazioni e tutto il dolore che c’è dietro.


Considerazioni sul Veganismo





La premessa era per introdurre una serie di considerazioni e riflessioni che ho fatto durante un mio soggiorno negli Stati Uniti durato tre settimane: le città che ho visitato sono San Francisco, Los Angeles e New York. Non tantissimo, certo, ossia non sufficiente a comprendere appieno tutti gli aspetti di un paese così immenso e ricco di contraddizioni, ma abbastanza per averne colto alcune differenze rispetto al nostro.
Quello che leggerete, dunque, è un racconto antispecista, ossia un breve reportage dal punto di vista di una persona antispecista e vegana. Non esauriente quindi di tanti altri aspetti o di tutto quello che ho fatto e visto.
Comincio subito col dire che sotto il profilo della diffusione del veganismo, gli Stati Uniti (o almeno le città dove ho soggiornato) sono qualitativamente e quantitativamene avanti. Ossia è facile trovare cibo vegano, preparato con una cura a dir poco straordinaria - a prova di onnivoro, verrebbe da dire, come se fosse sempre presente l’intento di dimostrare che si può mangiare altrettanto bene senza ingredienti di origine animale - e tutti sanno cosa vuol dire vegano, ossia sono ben consapevoli della differenza tra vegetarismo e veganismo, anche se alcuni ristoranti si definisco vegetariani, pur essendo alla fine interamente vegani. Meno chiare sono le motivazioni che spingono a diventare tali (e di questo parlerò più avanti). Addirittura ho scovato un ristorante cinese e uno coreano interamente vegani, ossia con piatti delle rispettive tradizioni culinarie, ma veganizzati (entrambi a New York).





Purtroppo tutti i ristoranti mantengono l’abitudine di chiamare i piatti con i nomi della tradizione, anteponendo l’etichetta vegan: nei menù è facile così trovare del vegan chicken, vegan beef, vegan lamb, vegan fish e via dicendo. Un’abitudine che personalmente ho sempre criticato in quanto non aiuta a far smettere di considerare cibo i vari individui animali; non scardina il concetto, che poi è alla base dello specismo, che degli animali si possa disporre a piacimento come fossero oggetti atti a soddisfare ogni nostro capriccio o (falsa) necessità. Suppongo sia per far capire ai non vegani che tutto può essere veganizzato o per non abbandonare termini cui siamo affezionati in termini di memoria collettiva, tradizioni, ricordi familiari (la nonna che ci cucinava il pollo e via dicendo). Usano molto ilquorn, che è un sostituto della carne commercializzato anche in Gran Bretagna e Svizzera, ma non ancora negli altri paesi europei, la cui base è una micoproteina estratta dal Fusarium Venenatum, che non è un fungo vero e proprio, ma un organismo più simile al lievito di birra, per capirci (in rete comunque si possono trovare tutte le informazioni). Questo alimento ha una consistenza e un sapore davvero molto simili alla carne e infatti è consumato anche da moltissimi non vegani anche perché ricco di proteine e povero di grassi e colesterolo. Se c’è una cosa che negli Stati Uniti mi pare infatti abbiano capito è che la carne fa male, soprattutto quella di animali provenienti da allevamenti intensivi e nutriti con mangimi arricchiti di ormoni e antibiotici. Detto in altre parole: il veganismo è assai diffuso sotto il profilo salutista. Specialmente in California, dove tutti sono fissati col fitness e con la salute. La loro, però, non quella degli animali; o, se degli animali, solo in quanto poi destinati a diventare cibo. Non si fuma all’interno dei parchi e in alcune zone e quartieri nemmeno per le strade (questo per dire il grado di salutismo e chissà, magari un giorno vieteranno di mangiare burgers in pubblico). San Francisco in particolare è una città molto “verde”, pare che sia la meno inquinata tra tutti gli Stati Uniti; ci tengono moltissimo alla raccolta differenziata e addirittura hanno abolito l’uso delle buste di plastica dal 2012; usano solo carta riciclata, è diffuso l’uso di pannelli solari e si muovono molto in bicicletta e a piedi (a dispetto delle innumerevoli salite che ci sono). Se c’è una coscienza ecologista abbastanza sviluppata, lo stesso non si può dire, purtroppo, di quella antispecista. Riprendendo il discorso sopra, se tutti sanno cosa vuol dire vegano, pochi ne comprendono appieno il discorso etico che dovrebbe esserne alla base. Non ho notato alcun riferimento agli animali e al loro sfruttamento nei vari ristoranti vegani dove sono stata. Tutt’al più si parla di equilibrio, armonia col pianeta, ma l’aspetto preponderante rimane appunto quello salutista.
Direi che il mito della carne felice (un mito perché non può esistere nessuna carne felice) ha preso abbastanza piede. Organic, gluten free efree range sono le parole chiave: vale a dire che ovunque si leggono etichette e cartelli che avvertono che nel tal ristorante o cafè o negozio si servono e vendono solo alimenti biologici, senza glutine e carne di animali allevati liberi - un vero e proprio ossimoro, di cui però pochi sembrano essere consapevoli, in quanto nessun animale allevato all’uopo di essere sfruttato e ucciso può essere davvero libero.

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