giovedì 17 marzo 2016

(Quasi) un milione di posti di lavoro - sul serio, eh!

(Quasi) un milione di posti di lavoro - sul serio, eh!

Picture
Federica Gentile
Tempo di lettura: 3 minuti

Ok, non sono QUEL milione di posti di lavoro, ma altri, tirati fuori dal cappello, no anzi dalla ricerca“Investing in the care economy” del Women’s Budget Group.

La ricerca ha preso in considerazione sette paesi OCSE (Italia, Australia, Danimarca, Germania, Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna,) con l’obiettivo – attraverso una simulazione – di valutare l’impatto di investimenti pubblici in infrastrutture sociali (istruzione, servizi sanitari e di cura, e in particolare, attività di cura rivolte a gli anziani ai bambini in età prescolare e per i/le disabili) piuttosto che in infrastrutture fisiche (edilizia, costruzione di strade e ferrovie). Infatti, secondo gli autori e le autrici del report: “Aumentare l’investimento pubblico stimolerebbe l’occupazione e la crescita economica e fornirebbe un mezzo più efficace per uscire dalla recessione rispetto alle attuali politiche di austerity”.

Il risultato in breve: in tutti i paesi investire nella cura avrebbe un effetto maggiore sull’occupazione e ne diminuirebbe il divario di genere. Insomma: investire nella “cura aiuterebbe ad affrontare alcuni dei problemi delle nostre economie attuali: bassa produttività, deficit di cura, cambiamenti demografici, e la persistente disuguaglianza di genere nel lavoro pagato e non pagato”. (p.6)

Troppo facile? Vediamo un po’ i punti principali della ricerca.

Se - come sostengono gli autori - per affrontare la crisi economica del 2008 i paesi del G20 hanno inizialmente investito in infrastrutture fisiche, con l’obiettivo di aumentare l’occupazione maschile, che è stata la prima a soffrire degli effetti della crisi, nessuno si è preoccupato dell’impatto di genere di questa e di altre strategie.

Alla facciazza del gender mainstreaming, eh! (Sarà che quasi nessuno sa che cosa sia?)

Non solo, l’austerity con i tagli all’istruzione, salute e welfare è emersa – non allo stesso modo ovunque – come LA strategia per affrontare la recessione. Con conseguenze gravi: “aver trascurato le infrastrutture sociali riflette un pregiudizio di genere nel pensiero economico che può derivare dalla divisione di genere del lavoro e dalla segregazione per genere, con le donne sovrarappresentate nel lavoro di cura, e gli uomini sovrarappresentati nel settore delle costruzioni. Investimenti nelle infrastrutture sociali hanno più probabilità di generare lavori per le donne, mentre gli investimenti in infrastrutture fisiche hanno un impatto positivo principalmente sull’occupazione maschile. La disoccupazione maschile è spesso vista come un problema più urgente perche’ si ritiene che gli uomini siano i breadwinners, anche se sempre più famiglie contano in realtà su più di un reddito.” (p.12)

La tabella in basso illustra gli effetti diretti di un investimento equivalente al 2% del PIL di ciascun paese nel settore della cura o dell’edilizia.


Il maggior numero di posti di lavoro creati nel settore della cura è dovuto a vari fattori 1) il fatto che il settore della cura è a maggiore intensita' di lavoro di quello delle costruzioni 2) chi lavora nella cura di solito è remunerato di meno 3) chi ha un impiego nel settore della cura ha più probabilità di lavorare con contratti che possono prevedere un minore numero di ore. La terza colonna mostra il FTE (full time equivalent) cioè i lavori full time effettivamente creati. Sotto tutti i punti di vista, investire nella cura è più efficiente.

Se poi andiamo a guardare l’impatto sul tasso di occupazione di uomini e donne, poiché le costruzioni e la cura sono settori molto segregati per genere, si vede come per aumentare l’occupazione femminile – particolarmente importante nel nostro paese, dove il tasso di occupazione femminile è del 46% - è necessario investire nella cura. Naturalmente cioè dovrebbe essere accompagnato dall’impegno dei governi a lavorare per diminuire la segregazione occupazionale, aumentando la percentuale di donne nelle costruzioni e la percentuale di uomini nel settore di cura. Comunque sia, anche se la segregazione per genere persistesse, investire nella cura sarebbe comunque un modo molto efficace per diminuire il divario di genere nell’occupazione. Nel caso dell’Italia, investire nella cura genererebbe posti di lavoro che per l’85% andrebbero a donne, e dunque aumenterebbe il tasso di occupazione femminile del 2,4%, mentre un investimento nelle costruzioni lo aumenterebbe dello 0,­1%


​Se poi si considerano insieme gli effetti diretti, indiretti (aumento di richiesta da parte delle industrie considerare di ulteriori prodotti e servizi da altri fornitori) ed indotti (l’aumentata occupazione comporta un aumento dei consumi delle famiglie) sull'occupazione di questi investimenti, si ottengono i seguenti effetti:


Il settore della cura generebbe nel nostro paese 945.655 posti di lavoro, con un aumento totale dell’occupazione del 2,4% (investire nelle costruzioni determinerebbe un aumento dell’occupazione totale dell’1,6%), non solo – come si vede nella tabella in basso, determinerebbe un aumento del 3,3% del tasso di occupazione femminile contro lo 0,7% dovuto ad un investimento nelle infrastrutture fisiche.


​Infine, Infine, in tutti i paesi considerati, investire nell’edilizia aumenterebbe il gender gap nell’occupazione (in Italia +9%­­­), mentre investire nella cura in tutti i paesi considerati diminuirebbe il gap di genere nell’occupazione (in Italia -9%).

A me non dispiacerebbe, e a voi?

In conclusione, questo studio è un chiaro esempio di come possa essere un’economia (più femminista): più occupazione per tutti e tutte, più servizi e attenzione alle categorie più deboli della società e meno disuguaglianza.

Vogliamo ancora credere al mantra dell’austerity?

Nessun commento: