mercoledì 10 agosto 2016

Incontro a San Pietroburgo




di Piotr



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Oggi Erdoğan si incontra a San Pietroburgo col presidente Putin. Cosa si diranno? Noi sapremo, o più o meno intenderemo, solo dopo.

La Turchia è stretta tra l'aver capito che deve distanziarsi dalla geostrategia statunitense (senza sbocchi) e le sue presenti alleanze, compreso l'appoggio ai tagliagole islamisti. E' poco ma sicuro che la Russia (ri)chiederà a Erdoğan di tagliare definitivamente i ponti coi "ribelli", ben sapendo che non sarà dall'oggi al domani. La Turchia pullula di terroristi, pronti a colpire. Temo che la questione della pena di morte dipenda anche dal fatto che il governo turco si aspetta una sequenza di attentati. La Turchia è stata "pakistanizzata" dagli USA. Anzi i settori neocons di questa superpotenza (che sfuggono al controllo del presidente, fatto gravissimo) hanno persino tentato di mandarla in guerra contro la Russia (ma gli alti papaveri dell'Esercito turco hanno fatto capire a Erdoğan che non era proprio il caso).

E adesso Erdoğan teme i contraccolpi. E i colpi, cioè quelli che cercheranno di tirargli gli USA e la Nato. Anche attraverso l'Europa (non per nulla si sta riaccendendo la questione profughi).

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L'unico modo che abbiamo per sperare di capire qualcosa di quanto sta succedendo è ricordarci sempre che siamo in mezzo alla lunga fase finale di una crisi sistemica (che non è iniziata nel 2006 ma nel 1972).

Crisi sistemica vuol dire che i profitti, il business-as-usual o straordinario di armi o petrolio, eccetera, contano e influenzano ma fino a un certo punto. Crisi sistemica vuol dire che il denaro conta eminentemente in quanto misura di potenza, mobilitatore di risorse strategiche, non "ricchezza" in senso generico. Crisi sistemica vuol dire che il problema è il futuro, non il presente. Crisi sistemica vuol dire che ogni Potenza si chiede ogni mattina, quando si alza il sole: "Cosa farò nei prossimi 30 anni? Con chi mi devo alleare? Chi devo mollare?".

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Il faro occidentale è ancora forte ma sta perdendo rapidamente potenza. Ma quel che gioca veramente contro di esso è che la perdita di potenza è verosimilmente inarrestabile e più cerca di ricaricarsi più perde colpi, è inevitabile. L'unica cosa che gli servirebbe sarebbe vincere una bella guerra mondiale. Ma sa che non può, anche se tira la corda in modo sempre più pericoloso. Non può perché una nuova guerra mondiale sarebbe per forza nucleare e quindi senza vincitori. Non è retorica. Al Pentagono sanno benissimo che first strike o nonfirst strike, singolarmente Russia e Cina ormai possono raderli al suolo, o quasi.

Così si cercano di ricompattare i ranghi. Gli USA sono disposti a qualsiasi carognata contro di noi, popoli europei, pur di mantenere la presa sull'Europa, senza la quale sanno che non hanno più nessuna speranza. Poi si corteggia l'India contro la Cina e qualcuno, sempre negli USA, pensa di ricorteggiare la Cina contro la Russia (vera bestia nera di Washington in questa congiuntura, quella che più direttamente può attrarre l'Europa e che fa una contromossa vincente dopo l'altra).

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Ma ci sono un dato storico e uno demografico che giocano contro l'Occidente. Il primo è che l'apogeo del termocapitalismo occidentale (che è un fenomeno con tratti storici, fisici, geografici ed economici diversi dal capitalismo attuale russo e da quello cinese - è insensato fare di ogni capitalismo un fascio anche se teoricamente la logica di fondo è la stessa) è stato raggiunto quando noi avevamo il controllo diretto dell'80% delle terre emerse. Il secondo è che l'Occidente assomma oggi a circa 1/7 della popolazione mondiale. Ritornare a quell'80% è impossibile, con tutte le guerre "neocoloniali" (che tali sono solo in parte) che si possono immaginare. E ovviamente non possiamo diventare i 6/7 della popolazione mondiale (a meno di sterminarla). Quindi si cerca di agire per "aree d'influenza", che ovviamente si possono ottenere anche con minacce pesanti e pesantissime e con vie di fatto.

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Si diceva dei profughi. E' indecente e vergognoso che milioni di esseri umani siano trattati come merce di scambio, come arma di ricatto. Ma, ahimè, è un dato ricorrente. Prendiamo Hiroshima e Nagasaki di cui c'è appena stato il tragico ricordo. E' vero, con quelle bombe Truman, come illustra così bene Apicella, mandò un "telegramma" a Stalin. Ma lo inviò anche a tutto il mondo. E cosa c'era scritto in quel telegramma. Lo ha detto in modo chiaro e brillante il regista Oliver Stone nel 2013 in Giappone: "Noi non avremo nessun ritegno, nessuno scrupolo, non ci fermeremo davanti a niente pur di difendere i nostri interessi" (per la precisione lo stesso tipo di messaggio lo volle inviare anche Churchill col massacro di Dresda). Terrorismo allo stato puro (e Churchill, ci sono le carte, lo ammise "confidential").

Quindi quando parliamo di "terrorismo" di che cosa stiamo parlando? Del ragazzotto della periferia che perso di vista, per l'appunto, il faro della nostra altezzosa (ed escludente) modernità e con esso le sue speranze, mezzo spaventato e mezzo incazzato (e anche indignato per una postmodernità sempre più sbracata, volgare e ridicola) si rivolge alle sue fedeltà pre-moderne offrendosi - spesso senza saperlo o ricattato - come carne da cannone?

Tra l'altro mi consta che anche in Italia quando versa male si accende qualche cero a un santo o alla Madonna. E cosa c'era scritto sul cinturone dei soldati della Wehrmacht? E cosa c'è scritto sul Dollaro? E cosa diceva e faceva il cardinale vicario per gli Stati Uniti d'America, Joseph Spellman, durante la guerra del Vietnam? E si parla di una massacro di un milione e mezzo di morti (lo dico sottovoce, ma un filino "crociati" lo siamo per davvero, troppe dobbiamo farcene perdonare).

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Finisco con una nota tragicomica. L'altro giorno al TG3 un "esperto" di cose mediorientali, direttore dell'ISPI (istituto nostrano paragovernativo di studi geostrategici, corteggiato negli Stati Uniti), ha affermato che le truppe del "regime" (sic!) di Assad "assediano" (sic!) Aleppo. Ma c'era una buona notizia fresca fresca: i "ribelli" erano riusciti a rompere l'assedio. Però ce n'era anche una brutta, ohibò: i ribelli che erano riusciti a rompere l'assedio erano tutti di al-Qaida. Toh, guarda!

Da ridere per non piangere. A parte la solita falsità dell'inversione delle parti, ché è stata Aleppo, eroicamente resistente ai tagliagole, ad essere assediata per anni, senza che sinistri, umanistaristi e pacifinti versassero una lacrima, la propaganda di guerra dimostra ancora una volta di riuscire a entrare nel surreale. Infatti, secondo la vulgata dei referenti politici dell'esperto, la cosa, conseguentemente, suona esattamente così: "Ragazzi! Una bella notizia! Quelli che hanno spianato le Torri Gemelle sono anche riusciti a rompere l'assedio di Aleppo. Evviva!". Che è poi quello che pensa e dice il generale neocon, ex capo della Cia, David Petraeus.

Fonte: Megachip

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