sabato 17 settembre 2016

Siete perduti, se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra di nessuno!




Tratto dal saggio L'illusione della libertà, bestseller di Amazon nella categoria sociologia. Disponibile anche in download gratuito al seguente indirizzo.
Poco più di due secoli fa, il filosofo Jean-Jacques Rousseau lanciava un monito all'intera umanità:

«Siete perduti, se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra di nessuno».

Purtroppo l'abbiamo fatto, abbiamo dimenticato, o forse abbiamo fatto finta di non ricordare, e ora le conseguenze di questa scelta stanno influenzando negativamente l'esistenza dell'intera umanità.

Da quando i primi ominidi hanno iniziato a camminare sulla terra, il mondo non ha mai visto così tanta ricchezza come quella odierna, eppure non ha mai conosciuto altrettanta povertà.

Il pianeta avrebbe abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di tutti, se solo questi fossero dettati da reali necessità; di certo non riuscirà mai ad appagare le false esigenze indotte da un sistema economico basato sul profitto.

Le attuali conoscenze scientifico-tecnologiche ci consentirebbero di risolvere i più grandi problemi che affliggono l'umanità, ciò nonostante i delicati equilibri dell'ecosistema sono minati da un inquinamento detestabile, mentre fame, malattie e un diffuso senso di malessere colpiscono duramente a ogni livello della nostra società.

Ovunque gli esseri umani si diffondono la natura soccombe. Gli animali selvatici scappano impauriti alla nostra vista. La Terra sembra ribellarsi, come se fosse consapevole della necessità di doversi difendere: avremmo potuto essere i guardiani della vita e invece ci siamo trasformati in un cancro.

Il male, la menzogna e l'ingiustizia permeano la società, nonostante gli sforzi di rivoluzionari e liberi pensatori, il fine del benessere collettivo resta un concetto etereo, abilmente bollato con il termine di utopia da chi detiene il potere.

La fine delle guerre, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e della povertà, ma anche la rivoluzione, l'uguaglianza sociale o il benessere collettivo... fateci caso, il potere chiama utopia tutto ciò che la massa non deve neanche immaginare di poter fare.

Basiamo le interazioni sociali sull'individualismo e la competizione, mentre le nostre azioni sono figlie delle logiche del profitto.

Un'ottima ricetta, se s'intende realizzare l'inferno sulla terra.

Ci preoccupiamo di garantire l'illusione dell'uguaglianza affermando che tutti gli esseri umani hanno pari dignità e diritti;

però viviamo in una società fortemente stratificata, nella quale veniamo classificati in base a ciò che abbiamo, alla provenienza e al colore della pelle, o al lavoro che siamo costretti a fare.

Le condizioni di vita sono fortemente differenziate per i membri della società.

Si spazia dall'opulenza e il parassitismo di chi vive di rendita sfruttando altri esseri umani, alla moderna schiavitù del lavoro salariato, alla povertà e alla disperazione dei disoccupati, per finire con l'indescrivibile miseria di quei 24.000 bambini che ogni giorno periscono tra atroci sofferenze a causa di problemi collegati alla sete, alla fame e alla malattia.

Che cosa ce ne facciamo delle uguaglianze formali, se poi alcuni esseri umani hanno il diritto di vivere nel lusso sfruttando i propri simili, mentre altri sono condannati a essere sfruttati o a morire di fame?

Ciascuno partecipa a una continua lotta per cercare di migliorare le proprie condizioni di vita, fregandosene se il suo agire peggiorerà l'esistenza di altri esseri viventi;

ma così facendo l'intera umanità, a eccezione di noi stessi, potrebbe influenzare negativamente la nostra esperienza di vita.

L'alternativa consiste nell'utilizzare intelligenza ed energia per migliorare anche le condizioni di vita degli altri, senza pensare solo a noi stessi.

Se così fosse, ogni essere umano non sarebbe più lì solo a lottare per sé, ma potrebbe contare sulle azioni positive di tutti gli altri membri della società.

Il motto: «Ciascuno per sé, Dio per tutti», andrebbe totalmente rovesciato, affermando: «Ciascuno per gli altri, Dio per sé».

La differenza è sostanziale: ciascuno in lotta contro sette miliardi di potenziali avversari, oppure sette miliardi di alleati che agiscono in favore di ogni singolo individuo.

Un altruismo generalizzato indurrebbe una sinergia virtuosa in grado di traghettare l'umanità verso il nobile fine del benessere collettivo; al contrario, un diffuso egoismo la sta condannando a sperimentare ingiustizia e sofferenza.

Fin quando non riusciremo a comprendere fino in fondo la portata di questo messaggio non saremo neanche in grado di attuare una simile rivoluzione interiore e così continueremo a ridurre le nostre esistenze a una questione di lotte, sopraffazioni, truffe e sfruttamento, ma anche di morte, povertà e infelicità.

Permettiamo che un esiguo numero d'individui si avvalga del concetto di proprietà privata per sfruttare le risorse della terra e i mezzi di produzione a proprio vantaggio, invece di utilizzarli in comune per soddisfare i veri bisogni della collettività.

Il paradosso è che l'esistenza della proprietà privata non è resa possibile da un pezzo di carta firmato da una qualche autorità, ma dalla fede e dall'agire degli stessi oppressi, che con la loro accondiscendenza nei confronti dei proprietari consentono che tutto ciò passi dal mondo metafisico a quello della realtà.

Se solo volessero, i lavoratori potrebbero riappropriarsi dell'acqua data in concessione alle multinazionali, della terra, quindi dei suoi frutti, e di tutti i mezzi di produzione contenuti nelle aziende, all'interno delle quali loro stessi lavorano ogni giorno, sapendo perfettamente come utilizzarli, anche senza la presenza di soggetti privati che se ne attribuiscono ingiustamente la proprietà, e tanto meglio senza dover garantire, con il sacrificio della propria vita, un profitto a una nutrita schiera di sfruttatori parassitari.

La legittimazione della proprietà privata genera avidità negli esseri umani che così, a forza di accumulare, concretizzano una società fortemente stratificata.

Il divario sociale è talmente grave che se il concetto di proprietà fosse ripudiato, e il maltolto venisse redistribuito, si potrebbe eliminare istantaneamente la povertà.

Il mantenimento di un simile sistema sociale necessita dell'azione coercitiva della forza, di condizionamenti mentali e di una qualche forma di ricatto economico, grazie ai quali concretizzare l'asservimento di altri esseri umani nei confronti di chi vanta la proprietà del capitale e dei mezzi di produzione.

L'accumulazione di ricchezza di alcuni individui alimenta a sua volta l'invidia sociale; lo sfruttamento e il divario diffondono un'intollerabile ingiustizia; e così per difendere le proprietà da coloro che vorrebbero riappropriarsene c'è bisogno del potere.

Ma se il potere dell'élite scaturisce dall'accettazione sociale della proprietà privata, allora la sua debolezza risiede nel rifiuto di quel concetto.

Quanta sofferenza e quante ingiustizie si potrebbero evitare se ascoltassimo le parole del filosofo Rousseau e gridassimo: «guardiamoci dal dare ascolto a questi impostori, siamo perduti se dimentichiamo che i beni e i servizi sono di tutti mentre le risorse e i mezzi di produzione di nessuno».

Non rispettiamo i nostri simili esattamente come non rispettiamo gli altri esseri viventi, nonché la natura che ci circonda.

Del resto, fin quando tutti gli esseri umani non riusciranno a vivere in armonia con l'ambiente dal quale dipende il loro benessere;

trattare con rispetto e dignità le altre forme di vita, che proprio come loro sono in grado di provare sentimenti e dolore;

capire che le risorse devono essere impiegate per soddisfare i bisogni funzionali di tutti gli esseri viventi in modo sostenibile, e non per realizzare profitto...

come si può pensare che non sfruttino anche i propri simili, l'ambiente e le altre forme di vita, generando dolore e sofferenza per se stessi e per il resto dell'umanità?

A forza di passare il nostro tempo nelle scuole, nelle fabbriche e nei centri commerciali, abbiamo totalmente perso il contatto con la natura.

Ci sono individui che non hanno mai camminato all'ombra di una faggeta secolare in una calda giornata d'estate, e tanto meno hanno sentito la sensazione che dà l'aria pura di montagna nei polmoni, o bevuto l'acqua limpida che zampilla da una sorgente, il cui scopo sembra essere quello di assicurare l'esistenza della vita.

Costoro non hanno mai assaporato né il piacere della libertà, né l'incanto e il benessere che genera l'essere in sintonia con l'ambiente.

Ci hanno reso insensibili alla bellezza della natura per impedirci di comprendere la via per raggiungere la felicità.

Viviamo in un mondo nel quale a forza di sfruttare in modo scellerato le risorse abbiamo inquinando quella stessa acqua che ci consente di vivere.

Per cosa? Per raggiungere dei ridicoli obiettivi di profitto.

Nessun altro animale in natura è mai arrivato a tanto, senza considerare che gli esseri umani sono perfettamente in grado di comprendere ciò che stanno facendo e possiedono anche le soluzioni per rimediare ai propri disastri.

In questo modo abbiamo conquistato un primato assoluto: quello della più eclatante stupidità tra tutte le specie presenti nel regno animale.

Le nostre esistenze sono oberate da incombenze assurde e innaturali; finzioni, che generano preoccupazioni e sofferenza, ma che il sistema insegna a rispettare e assolvere diligentemente, anche a costo d'ignorare l'infinita bellezza di un'esistenza fatta di semplicità e di libertà, anche al caro prezzo di sacrificare la salute e il tempo da dedicare ai propri figli, perché questi sacrifici sono richiesti per il bene dell'economia.

Dopo aver arrecato sofferenze infinite a noi stessi e agli altri esseri viventi, combattendo guerre e asservendo i nostri simili in nome del profitto e della nostra insensibilità, ora stiamo distruggendo anche i delicati equilibri dell'ecosistema che ci consentono di vivere.

Siamo innanzi alla massima manifestazione della follia universale. Abbiamo veramente raggiunto il punto più infimo della storia dell'umanità, ora si tratta di guarire da questa malattia che attanaglia le nostre menti, quella del profitto, e di voltare pagina per iniziare a scrivere un nuovo capitolo.

C'è una fortissima esigenza di rimettere al centro il benessere di tutti gli esseri viventi, su tutto e prima di tutto. Prima del profitto, innanzitutto.

Non possiamo continuare a limitare le nostre azioni soltanto a ciò che è in grado di generare profitto.

Inseguendo il profitto non ci prenderemo cura dei poveri fin quando non avranno soldi per pagare il cibo o le cure mediche;

non smetteremo d'inquinare l'ambiente, perché rappresenterà un costo che non saremo disposti a sostenere, fin quando un giorno non sarà troppo tardi;

sacrificheremo le nostre vite per un lavoro inutile, il cui unico fine non è aiutare gli altri o realizzare beni o servizi effettivamente utili all'umanità, ma soddisfare la follia dei processi di accumulazione di capitale.

Potremmo rifiutare il concetto di proprietà privata per utilizzare in comune le risorse e i mezzi di produzione al fine di assicurare il soddisfacimento dei veri bisogni di tutti gli esseri viventi in modo sostenibile;

potremmo eliminare le disuguaglianze dovute a un'iniqua ripartizione della ricchezza e le ingiustizie legate all'asservimento dell'uomo sull'uomo... potremmo farlo, se solo avessimo l'intelligenza di riconoscere che siamo tutti esseri umani che non cercano null'altro al di fuori della felicità.

Fonte: Mirco Mariucci

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