Il destino dell’Europa era già segnato. Quarant’anni fa
DI ALCESTEpauperclass.myblog.it
Più di quarant’anni fa il destino dell’Europa era già segnato. Tutto scritto. Nero su bianco. Globalizzazione, annientamento della politica, della tradizione e del ruolo delle nazioni.
E condensato in poche pagine, come ama fare il potere.
Il potere, infatti, non ama le chiacchiere; stila scarne direttive da perseguire con tenacia, per decenni, a qualsiasi prezzo (a prezzo della vita di interi popoli).
A volte tali direttive affiorano in superficie; nel 1972 il destino dell’Europa (e di noi tutti) fu delineato, con chiarezza e rigore, in un discorso pubblico tenuto da Eugenio Cefis ai cadetti dell’Accademia Militare di Modena il 23 febbraio 1972 (di cui egli fece parte). È il discorso di un maestro rivolto ai propri allievi; parole di chi sa, precise e inappellabili. Un affioramento del vero potere.
Ricordiamo chi fu Eugenio Cefis: già partigiano, dopo la guerra divenne dapprima vicepresidente dell’ENI, e poi, nel 1967, presidente a pieno titolo, sostituendo Marcello Boldrini (che si era insediato nel 1962, alla morte di Enrico Mattei).
Eugenio Cefis fu molte cose: piduista della primissima ora (tanto che qualcuno lo ritiene il vero fondatore della loggia massonica), equanime finanziatore dei partiti di governo e del PCI, manipolatore dei giornali quali balocchi della propaganda, e supremo trasformatore dell’ENI da società nazionale a multinazionale attenta alle nuove esigenze filo-atlantiche.[Un piccolo inciso, più o meno divertente. Marcello Boldrini era originario di Matelica, in provincia di Macerata. A Matelica iniziò la propria folgorante carriera anche uno studente piuttosto svogliato, Enrico Mattei, che divenne inseguito un protetto del Boldrini; e lì, a Matelica, nacquero anche i genitori di Laura Boldrini, nipotina del potentissimo Marcello, l’uomo che sedette sulla poltrona dell’ENI nel 1962 – poltrona ancora calda delle terga del Mattei, fresco di assassinio. Ma sì, Laura Boldrini, attuale presidenta della Camera e difensora dei deboli e degli oppressi; quella Laura Boldrini che, prima di approdare all’UNHCR, fu giovin giornalista prodigio all’AGI (Agenzia Giornalistica Italiana, una controllata dell’Eni sin dal 1965, durante la presidenza dello zio Marcello) nonché all’AISE, Agenzia Italiana Stampa ed Emigrazione.
Una piccola curiosità: quando su Wikipedia, alla pagina Laura Boldrini, cliccate su AISE non vien fuori il rassicurante AISE terzomondista, ma un altro AISE, ovvero l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna; come spiega Wikipedia, tale AISE è il “servizio segreto per l’estero della Repubblica italiana, facente parte del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, con il compito precipuo di intelligence al di fuori del territorio nazionale e nel territorio nazionale nella branca del controspionaggio per la tutela dell’alta tecnologia e materiale dual use”. Una curiosità, appunto.]
Il discorso di Eugenio Cefis apparve nel bimestrale L’Erba Voglio, sul numero 6 del giugno/luglio 1972, quale ‘supplemento pedagogico’, col titolo La mia Patria si chiama Multinazionale. Il responsabile del periodico era Piergiorgio Bellocchio, fratello del regista Marco, uno dei rarissimi epigoni del pensatore Pasolini.
Bellocchio pubblicò integralmente il testo con l’aggiunta di commenti chiarificatori.
Quelle pagine sono quasi introvabili; le ho trovate e scansionate. Potete scaricarle qui:
http://www.mediafire.com/download/cwbaoghn25d2afu/Pasolini+e+Cefis.rar
Una copia de L’Erba Voglio arrivò a Pier Paolo Pasolini.
Pasolini ritenne le parole di Cefis tanto importanti da restarne ossessionato. Il succo ideologico d’esso, e la stessa figura di Cefis, finiranno, perciò, letterariamente trasfigurati, nell’incompiuto romanzo/inchiesta Petrolio.
La lettura delle ventitré pagine di Cefis originarono una conversione totale del pensiero di Pier Paolo Pasolini.
Da allora egli capì; e si pentì: smise di dare del fascista ai fascisti, perché intravedeva le mareggiate di un nuovo superfascismo, fluido e insinuante, avanzare verso le nostre deboli coste storiche; abiurò la trilogia della vita (la celebrazione del sesso e del corpo trionfanti) poiché negli ideali libertari del Sessantotto intuiva un grimaldello epocale per l’incipiente edonismo neocapitalista (e il capovolgimento perverso di ciò che quegli ideali superficialmente annunciavano); e abiurò, di fatto, anche dal PCI.
Ecco alcuni estratti del discorso. Si potrebbe essere tentati di definirli profetici, ma ciò costituirebbe un grave errore. Essi costituiscono, invece, una semplice presa d’atto. Cefis afferma: si è stabilito che il mondo sarà così; e, perciò, così sarà, per cui, cari miei, adattatevi a tali linee guida implacabili. In caso contrario ne resterete travolti.
pag 8: “Anche nelle decisioni di investimento le imprese hanno attribuito un’importanza secondaria ai confini nazionali, scegliendo per i nuovi impianti la località che poteva apparire più proficua, indipendentemente dal fatto che questa si trovasse nell’uno o nell’altro stato”.
pag. 9: “gli stessi studiosi prevedono che nel 2000 … oltre due terzi della produzione industriale mondiale sarà in mano alle 200/300 maggiori società multinazionali”.
pag. 11: “fino a quando il nostro continente sarà frammentato in diversi stati, fino a quando la multinazionalità potrà essere identificata con uno o due paesi d’origine, cioè con i paesi delle società madri, le iniziative delle affiliate della multinazionale dovranno sempre combattere un certo clima di diffidenza e sospetto dovuto al fatto che i loro centri decisionali più importanti sfuggono al controllo del potere pubblico locale”.
pag. 12: ” … al limite può accadere talvolta che qualche governo proceda alla nazionalizzazione di singole unità produttive appartenenti alla multinazionale. Ma è difficile che un tale governo riesca a reggere alla pressione politica che le multinazionali possono esercitare”.
pag. 13: ” … è molto difficile che un paese ancora povero e arretrato possa permettersi di adottare iniziative politiche che scoraggino gli investimenti esteri. Le royalties che vengono versate al paese ospitante, la valuta derivata dalle esportazioni, i salari con cui la manodopera locale è retribuita, sono fatti economici di tale rilevanza da porre in secondo piano i problemi dell’autonomia e del prestigio politico”.
pag. 15: “… ci si evolve sempre più verso l’identificazione della politica con la politica economica”.
pag. 15: “se i controlli statali creano vincoli eccessivi agli investimenti e alle operazioni in un Paese, la società multinazionale può comunque agire potenziando le sue attività in altre aree geografiche e disinvestendo dal Paese in cui si sente troppo contrastata”.
pag. 16: “All’affiliata di una società multinazionale è abbastanza facile dimostrare al fisco di essere sempre in perdita e, al tempo stesso, creare un buon affare per la casa madre …”.
pag. 16: “Gli stati nazionali nei loro rapporti con le imprese multinazionali sembrano spesso come i giocatori di una squadra di calcio costretti da un assurdo regolamento a giocare soltanto nella propria area di rigore lasciando ai loro avversari la libertà di muoversi a piacimento per tutto il campo”.
pag. 16: “anche dal punto di vista militare l’unica risposta possibile è quella di un allargamento della dimensione del potere politico a livello almeno continentale”.
pag. 16: “la difesa del proprio Paese si identifica sempre meno con la difesa del territorio ed e probabile che arriveremo anche ad una modifica del concetto stesso di Patria … il concetto di Patria è un concetto che si è trasformato nel tempo tanto che, anche all’epoca del Risorgimento, ben pochi erano i cittadini che sapevano di essere italiani e non si consideravano semplici abitanti del Regno delle due Sicilie o del Granducato di Toscana”.
pag 16: “… non si può chiedere alle imprese multinazionali di fermarsi ad aspettare che gli Stati elaborino una risposta …”
pag. 17: “i maggiori centri decisionali non saranno più tanto nel Governo o nel Parlamento, quanto nelle direzioni delle grandi imprese e nei sindacati, anch’essi avviati ad un coordinamento internazionale”.
pag. 17: “Gli eserciti nazionali basati sulla coscrizione obbligatoria potrebbero essere destinati a cedere nuovamente il passo ad apparati militari professionali analogamente a quanto avveniva secoli fa; apparati militari non dissimili nella loro carica di tecnicità da una moderna organizzazione produttiva”.
pag. 18: “Il sentimento di appartenenza del cittadino allo Stato e destinato ad affievolirsi e, paradossalmente, potrebbe essere sostituito da un senso di identificazione con l’impresa multinazionale con cui si lavora”.
pag. 18: ” … è chiaro che se l’Italia è un mercato troppo ristretto per una grande impresa, l’Europa è invece il maggior mercato del mondo. Se esistesse un interlocutore a livello europeo in grado di esercitare un controllo politico sulle multinazionali, con poteri ben al di là della Comunità Economica Europea, le iniziative delle multinazionali potrebbero più facilmente contribuire a risolvere gli squilibri economici anziché aggravarli. Questa ipotesi però si potrà realizzare quando i singoli stati nazionali rinunceranno, almeno in parte, alla loro sovranità … mi sembra … utopistica la soluzione di chi vuol instaurare un’autorità internazionale, magari nell’ambito dell’ONU, per il controllo sulle imprese internazionali”.
Ed eccolo qui il nostro mondo, lumeggiato con certezza già quarant’anni fa. Una massificazione spietata da riorganizzare secondo un sistema di potere imprendibile, esteso liquidamente su tutto il pianeta; un feudalesimo di fatto invincibile che sussiste in ragione della propria diabolica forza di persuasione.
L’Europa e l’Euro, la dissoluzione degli Stati sovrani, la riorganizzazione degli eserciti da base nazionale a contingenti privati a difesa del capitale, l’impossibilità per le singole patrie di contrastare efficacemente le corporazioni, il potere politico e di direzione economica sussunto nel potere finanziario globale.
Tutto scritto. Nel 1972; persino in Italia, piccolo lembo alla periferia dell’Impero.
Mentre si organizzavano manifestazioni e proteste la Storia procedeva implacabile, sottopelle.
Chiosa Piergiorgio Bellocchio (anch’egli uomo del 1972) commentando tale distopia (apparente; era, invece, pura realtà):
“Se le multinazionali fossero veramente ecumeniche che bisogno avrebbero di professionisti della guerra? Non basterebbero il loro esempio, e le loro opere di bene, per convincere il mondo?
Ma Cefis sa benissimo che non è così. L’universo multinazionale che lui descrive è soltanto, in realtà, il vecchio universo capitalistico, soltanto più semplice, più duro, più grande … tutto lascia pensare che sarà ancora più inabitabile di quello … che viviamo adesso. L’universo cefisiano, quindi, non si presenta come universo della pace finalmente raggiunto, ma come teatro di scontri e di lotte (di classe) ancora più violente di quelle che si son già fatte: tutte le poste in gioco sono state infatti rialzate, e ogni volta che si alzerà un cartello di protesta si rischierà di prendersela con chi è padrone non più di una fetta di mercato, ma magari di tutto il mercato … per questa volta … non abbiamo fatto che rubare una dispensa, un manuale, un pezzo di cultura padronale. È sicuro, però, che dovremo procurarci qualche testo più nostro, e in fretta”
Alceste
Fonte: ComeDonChisciotte
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