Icona di consumismo e capitalismo, simbolo di quell’industria della carne e dei derivati animali da cui hanno origine le principali forme di dominio ambientale, animale e sociale dispensate dal sistema.
No, questa volta non parliamo di McDonald’s, ma del suo naturale alter-ego che da qualche anno sta cercando di raggiungere la più famosa multinazionale, non solo nell’ambito economico, ma anche a livello di sfruttamento globalizzato: Burger King.
Fondato a Miami (Florida) nel 1954 dove venne aperto il primo fast food della catena statunitense, Burger King fa il suo esordio in Europa nel 1975, a Madrid, avviando così l’espansione a livello internazionale.
Espansione internazionale fa rima con sfruttamento globale e Burger King sta calcando le orme già lasciate da McDonald’s, che al suo attivo ha più campagne di boicottaggio e iniziative di protesta solo perché negli anni è sempre stata identificata come la multinazionale che più di ogni altra rappresenta i danni che questi colossi arrecano alla Terra e a chi la popola.
Puntare il riflettore su queste “sorelle criminali” (CoCa Cola, Nestlé, Ferrero, KFC, Pepsi, Barilla, Kellogg’s, Danone, Kraft e molte altre) ha lo scopo di mostrare al consumatore quella realtà spesso celata e percepita come distante che però non è vincolata solo dall’operato delle multinazionali più famose, ma che appartiene ai cicli produttivi tradizionali, che si tratti di regimi “intensivi”, “estensivi”, “bio”, “etici” o “compassionevoli”.
Burger King è co-responsabile della scomparsa di circa 2000 ettari di foresta in Brasile e di oltre 800.000 ettari in Bolivia, terre convertite in monocolture di soia destinata all’ingrasso degli animali rinchiusi negli allevamenti, per la produzione di carne e derivati animali.
Uno sfruttamento animale al quadrato quindi, perché oltre alle milioni di vittime causate dall’industria della carne, l’opera di land-grabbing (condotta attraverso la solita pratica degli incendi appiccati a tappeto) ha provocato la morte di numerose specie tra gli animali selvatici che abitano le zone colpite: giaguari, formichieri giganti e bradipi sopratutto.
Una deforestazione direttamente causata da due dei principali fornitori di Burger King, Cargill e Buge, che riforniscono anche McDonald’s, Subway e KFC.
Cargill, multinazionale leader nel settore alimentare per quanto riguarda la trasformazione di alimenti e la produzione di sementi geneticamente modificate, fa parte di quella compagnia dei veleni (big 6) che controlla il settore agro-chimico e tra cui figurano Monsanto, Bayer, Syngenta, Basf e DuPont.
Una partnership che vede Cargill ricoprire un ruolo da protagonista anche nell’aspetto “sociale” promosso da Burger King, nell’ambito di quel fenomeno di greenwashing tanto caro alle multinazionali, funzionale a ripulire la propria immagine mascherando così i danni causati dal proprio operato e che in questo caso si traduce nella fondazione McLamore.
Un progetto che prevede la creazione di borse di studio destinate a studenti meritevoli di Stati Uniti, Canada e Porto Rico, sponsorizzato dalla stessa Cargill che nel 2014 ha donato a BK una somma a cinque cifre.
Buge, invece, è una multinazionale delle Bermuda che si occupa dell’esportazione di soia a livello internazionale, della trasformazione di prodotti alimentari, del commercio di grano e fertilizzanti, ed è la principale artefice della deforestazione che ha colpito il Cerrado brasiliano, un’area della Terra che rappresenta la grande savana tropicale.
Quello che va compreso è che questi sono solo simboli. L’attenzione posta nei confronti di ogni multinazionale è funzionale ad indicare l’origine del problema, che per essere dissolto va combattuto a prescindere dall’etichetta o dall’insegna dietro cui si cela, con la consapevolezza che a muovere la macchina della deforestazione, della schiavitù animale e dello sfruttamento sociale è sempre la mano del consumatore: pedina imprescindibile del mercato le cui scelte quotidiane determinano e finanziano direttamente le dinamiche di dominio citate.
No, questa volta non parliamo di McDonald’s, ma del suo naturale alter-ego che da qualche anno sta cercando di raggiungere la più famosa multinazionale, non solo nell’ambito economico, ma anche a livello di sfruttamento globalizzato: Burger King.
Fondato a Miami (Florida) nel 1954 dove venne aperto il primo fast food della catena statunitense, Burger King fa il suo esordio in Europa nel 1975, a Madrid, avviando così l’espansione a livello internazionale.
Espansione internazionale fa rima con sfruttamento globale e Burger King sta calcando le orme già lasciate da McDonald’s, che al suo attivo ha più campagne di boicottaggio e iniziative di protesta solo perché negli anni è sempre stata identificata come la multinazionale che più di ogni altra rappresenta i danni che questi colossi arrecano alla Terra e a chi la popola.
Puntare il riflettore su queste “sorelle criminali” (CoCa Cola, Nestlé, Ferrero, KFC, Pepsi, Barilla, Kellogg’s, Danone, Kraft e molte altre) ha lo scopo di mostrare al consumatore quella realtà spesso celata e percepita come distante che però non è vincolata solo dall’operato delle multinazionali più famose, ma che appartiene ai cicli produttivi tradizionali, che si tratti di regimi “intensivi”, “estensivi”, “bio”, “etici” o “compassionevoli”.
Burger King è co-responsabile della scomparsa di circa 2000 ettari di foresta in Brasile e di oltre 800.000 ettari in Bolivia, terre convertite in monocolture di soia destinata all’ingrasso degli animali rinchiusi negli allevamenti, per la produzione di carne e derivati animali.
Uno sfruttamento animale al quadrato quindi, perché oltre alle milioni di vittime causate dall’industria della carne, l’opera di land-grabbing (condotta attraverso la solita pratica degli incendi appiccati a tappeto) ha provocato la morte di numerose specie tra gli animali selvatici che abitano le zone colpite: giaguari, formichieri giganti e bradipi sopratutto.
Una deforestazione direttamente causata da due dei principali fornitori di Burger King, Cargill e Buge, che riforniscono anche McDonald’s, Subway e KFC.
Cargill, multinazionale leader nel settore alimentare per quanto riguarda la trasformazione di alimenti e la produzione di sementi geneticamente modificate, fa parte di quella compagnia dei veleni (big 6) che controlla il settore agro-chimico e tra cui figurano Monsanto, Bayer, Syngenta, Basf e DuPont.
Una partnership che vede Cargill ricoprire un ruolo da protagonista anche nell’aspetto “sociale” promosso da Burger King, nell’ambito di quel fenomeno di greenwashing tanto caro alle multinazionali, funzionale a ripulire la propria immagine mascherando così i danni causati dal proprio operato e che in questo caso si traduce nella fondazione McLamore.
Un progetto che prevede la creazione di borse di studio destinate a studenti meritevoli di Stati Uniti, Canada e Porto Rico, sponsorizzato dalla stessa Cargill che nel 2014 ha donato a BK una somma a cinque cifre.
Buge, invece, è una multinazionale delle Bermuda che si occupa dell’esportazione di soia a livello internazionale, della trasformazione di prodotti alimentari, del commercio di grano e fertilizzanti, ed è la principale artefice della deforestazione che ha colpito il Cerrado brasiliano, un’area della Terra che rappresenta la grande savana tropicale.
Quello che va compreso è che questi sono solo simboli. L’attenzione posta nei confronti di ogni multinazionale è funzionale ad indicare l’origine del problema, che per essere dissolto va combattuto a prescindere dall’etichetta o dall’insegna dietro cui si cela, con la consapevolezza che a muovere la macchina della deforestazione, della schiavitù animale e dello sfruttamento sociale è sempre la mano del consumatore: pedina imprescindibile del mercato le cui scelte quotidiane determinano e finanziano direttamente le dinamiche di dominio citate.
Fonte: Earth Riot
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