domenica 18 giugno 2017

Automazione, lavoro, disoccupazione, abbondanza e libertà.



Come ogni tessera di un mosaico così ogni popolo ed ogni individuo è un elemento unico ed insostituibile nella misura in cui concorre a relazionarsi armonicamente con il Tutto, con gli altri popoli, il suo simile, gli animali ed ogni essere vivente. Ogni essere è parte di un solo grande organismo, in cui nessuna parte può essere esclusa, ferita o mutilata senza causare disarmonia all’insieme. Come ogni tessera del mosaico ha la sua insostituibile importanza nel piano complessivo della vita, ogni popolo ed ogni individuo trova la sua giusta collocazione per la massima valorizzazione delle sue risorse nella volontà di interagire armonicamente con il resto.
(Franco Libero Manco)

Immagina un giorno non molto lontano, quando finalmente avremo liberato tutti gli animali su questo pianeta, quando la specie umana capirà che non è giusto ne etico cibarsi dei nostri simili anche se di specie diversa, quando ci libereremo di tutte le infrastrutture come gli stati, i governi, le polizie, i tribunali e le carceri e gli eserciti create per sottomettere noi umani e gli altri esseri viventi non umani, quando gli strumenti come telefonini, social, blog e ammennicoli vari che al momento ci sono indispensabili per comunicare fra noi, diventeranno obsoleti nel momento in cui gli animali decideranno di riprendere a comunicare telepaticamente con noi umani,  ricorda sempre le parole di una grande donna, Arundhati Roy
Per arrivare a comprendere che un altro mondo è possibile ti invito a leggere fino in fondo questi due illuminanti articoli:


Automazione, lavoro, disoccupazione, abbondanza e libertà.


È possibile al contempo: minimizzare il lavoro umano, garantire la piena occupazione e riuscire ad assicurare l'accesso a beni e servizi di elevata qualità a tutti gli esseri umani?

Per cercare di rispondere a questo domanda, è indispensabile riflettere su di una questione preliminare inerente l'ambito lavorativo:

perché nonostante i moderni apparati tecnologici lavoriamo ancora così tanto?

Se ci pensiamo, possiamo individuare facilmente alcuni punti di criticità:

Anziché produrre beni durevoli e di elevata qualità, realizziamo prodotti scadenti, se non appositamente progettati per guastarsi subito dopo il termine della garanzia, facendo in modo che non sia conveniente ripararli.

Anziché delegare il lavoro ad automazioni e sistemi d'intelligenza artificiale ogni qual volta la conoscenza scientifico-tecnologica lo rende possibile, continuiamo a impiegare gli esseri umani nelle mansioni che potrebbero essere svolte altrettanto efficacemente da apposite macchine.

Anziché attuare solamente dinamiche funzionali alla realizzazione e alla fornitura di beni e servizi utili, concretizziamo una iper-produzione e un iper-consumo tanto dannosi quanto evitabili.

Anziché suddividere il lavoro realmente necessario su tutta la popolazione che potrebbe effettivamente lavorare, preferiamo mantenere in essere un gran numero di persone inattive, vale a dire i disoccupati.

Invece di cooperare per un fine comune, legittimiamo l'esistenza di mansioni e ruoli sociali il cui scopo è procurarsi una rendita parassitaria ricavata dallo sfruttamento del lavoro altrui.

Perché accade tutto ciò? Perché il fine che indirizza le azioni nel mondo del lavoro è il profitto, non l'efficienza e tanto meno il benessere degli esseri umani.

Quali sono le conseguenze di queste scelte?

Realizzare prodotti scadenti e non riparabili, costringe a produrre e ri-produrre inutilmente gli stessi oggetti più e più volte, invece, se questi fossero stati progettati e costruiti per avere un'elevata durata e per essere riparati, avrebbero permesso di liberare gli esseri umani dal futile iper-lavoro dovuto alla loro continua ri-produzione.

Così facendo s'introduce del lavoro addizionale superfluo poiché collegato al fenomeno dell'iper-consumo che, a sua volta, comporta un indesiderabile aggravio del consumo di materie prime e di energia, contribuendo negativamente all'impatto ambientale.

Senza contare che tutti preferirebbero avere oggetti durevoli e di elevata qualità al posto di prodotti scadenti e appositamente ideati per guastarsi, che costringono a ricomprare il medesimo oggetto più volte per svolgere la medesima funzione.

Evitare di delegare il lavoro alle macchine, quando possibile, rappresenta un'ulteriore condanna per gli esseri umani, che in questo modo devono subire un aggravio in termini di ore di lavoro chiaramente evitabile.

Ma se può lavorare un robot, per quale assurdo motivo ci ostiniamo a far lavorare gli esseri umani?

Perché l'odierno sistema non è in grado di gestire in modo intelligente il fenomeno della disoccupazione, e invece di cambiare le logiche dell'economia e del mondo del lavoro, continuiamo a costringere gli individui a lavorare per guadagnarsi lo stipendio.

È così che l'iper-lavoro diviene addirittura auspicabile, nonostante sia un fenomeno chiaramente dannoso e insensato per l'ambiente e l'umanità.

Anche la legittimazione di mansioni inutili e ruoli parassitari, oltre a essere un'eclatante fonte d'ingiustizia sociale, introduce dell'ulteriore inefficienza.

I parassiti, infatti, pur consumando, non contribuiscono allo svolgimento del lavoro necessario per soddisfare i propri bisogni.

Alle mansioni effettivamente utili si sommano quelle inessenziali che contribuiscono ad aumentare ulteriormente il carico di lavoro complessivo, così, chi effettivamente produce beni e servizi necessari, è gravato anche della parte di lavoro che potrebbe essere svolto dagli individui che praticano mansioni parassitarie socialmente inutili.

Un'analoga argomentazione sussiste anche per i disoccupati.

Evitare di suddividere il lavoro su tutta la popolazione che può lavorare, condanna gli occupati a subire orari più elevati di quelli che potrebbero essere ottenuti ripartendo il carico di lavoro sulla totalità della popolazione attiva.

In sintesi: quale sarebbe la strategia più efficace per il mondo del lavoro?

Produrre beni e servizi di alta qualità, concepiti per essere durevoli e riparabili;

automatizzare, per quanto reso possibile dalla conoscenza scientifico-tecnologica, tutti i processi di produzione e fornitura di beni e servizi, al fine di minimizzare il lavoro umano;

eliminare ogni tipo di ruolo inutile o parassitario, mantenendo esclusivamente quelli che effettivamente servono;

ripartire il carico di lavoro umano residuo, ovvero quello che non può essere svolto dagli apparati tecnologici, su tutta la popolazione attiva che può lavorare.

Quali sarebbero le conseguenze dell'adozione di queste strategie?

Se immaginiamo di produrre elettrodomestici concepiti per durare 100 anni, invece che per essere gettati dopo 10 anni, scopriamo che la produzione destinata all'Unione Europea e agli Stati Uniti negli ultimi 50 anni, sarebbe stata più che sufficiente per fornire elettrodomestici all'intera umanità.

Vediamo un piccolo esempio pratico.

La popolazione europea è composta da 750 milioni di abitati.

Supponiamo che ogni famiglia, formata in media da 3 persone, negli ultimi 5 decenni abbia posseduto una lavatrice mediamente sostituita ogni 10 anni.

Questo significa che in 50 anni sono state realizzate 750/3*5=1.250 milioni di lavatrici, ovvero circa una lavatrice ogni due famiglie per tutti gli abitanti della terra.

Immaginando che gli esseri umani siano disposti a usare in comune una lavatrice ogni due famiglie, ecco che avremmo risolto il problema di fornire lavatrici a tutto il mondo per un secolo utilizzando i prodotti destinati alla sola Europa.

Generalizzando questa semplice idea ci accorgeremmo che produrre oggetti durevoli e di elevata qualità consentirebbe di realizzare beni in quantità tale da poter essere forniti all'intera umanità, senza neanche il bisogno di aumentare l'odierna capacità produttiva, che al contrario risulterebbe addirittura sovradimensionata per le necessità mondiali.

Si deve guardare all'efficienza, non al profitto, perché è solo in questo modo che il genere umano può sperare di riuscire a soddisfare i veri bisogni di tutti in modo sostenibile.

L'automatizzazione della produzione di beni e servizi renderebbe gli esseri umani sempre più liberi dall'asservimento del lavoro, aumentando il tempo a disposizione per vivere la vita in condizioni di abbondanza e libertà.

Avendo un maggior numero di ore per curare le relazioni sociali, la salute fisica e dedicarsi alle proprie vere passioni, gli individui sarebbero meno stressati, più sani e felici.

I servizi automatizzati sarebbero disponibili 24h su 24h, garantendo una maggiore accessibilità.

Eliminare mansioni e ruoli inessenziali e parassitari, oltre a ridurre il carico di lavoro complessivo, significherebbe anche compiere una doverosa azione di giustizia sociale.

Perché mai la collettività dovrebbe mantenere col frutto del proprio lavoro preti, vescovi e papi, il cui impiego principale consiste nell'indottrinare la massa al fine di legittimare il proprio potere?

Qual è il contributo in termini reali di un azionista o di un banchiere?

Nessuno. Si tratta di inutili parassiti della società, che hanno trovato un modo astuto e disonesto per arricchirsi sfruttando i propri simili.

L'azionista spostando alcuni bit d'informazione per trasferire un capitale virtuale da un server d'una banca a un altro, si garantisce una rendita parassitaria scaricata sul lavoro di altri esseri umani, a fronte di un contributo metafisico che è pari al nulla, se analizzato in termini reali.

Un'analoga dinamica parassitaria accade per le banche. Si pensi solo ai meccanismi dei prestiti, nei quali un individuo s'indebita con denaro creato dal nulla a costo zero nei confronti del sistema bancario, condannandosi a restituire una cifra maggiorata degli interessi che deve procurarsi col frutto del proprio lavoro.

Azionisti, banchieri e preti non potrebbero contribuire ad alleggerire il carico di lavoro agli altri esseri umani lavorando anch'essi per realizzare beni e fornire servizi utili all'umanità?

Ripartendo il carico di lavoro residuo su tutti gli esseri umani, il problema della disoccupazione sarebbe definitivamente risolto.

Perché lasciare delle persone inoccupate dal momento che potrebbero aiutare a svolgere il lavoro compiuto dagli altri?

Senza più problemi inerenti alla disoccupazione, si potrebbero eliminare tutte le mansioni inutili ai fini della produzione e fornitura di beni e servizi necessari, anche quelle pretestuose il cui vero scopo è soltanto assicurarsi uno stipendio che oggi, invece, esistono perché le persone devono guadagnare denaro.

Ogni sistema ha bisogno di un certo quantitativo di burocrazia per funzionare, ma qual è la reale funzione di molti degli attuali burocrati, se non quella di trovare una sorta di pretesto per ricevere uno stipendio?

Il vero salto rivoluzionario consiste nel creare un sistema socio-economico che elimini l'obbligo di guadagnare denaro per vivere e con esso tutti gli espedienti insensati e ignobili che questo vincolo micidiale spesso comporta.

In questo modo si potrebbero far sparire definitivamente tutte le inefficienze mantenute in essere solo perché sono in grado di assicurare uno stipendio, e si potrebbe anche iniziare a delegare il lavoro alle automazioni senza alcuna ricaduta negativa sia per i lavoratori che per gli altri membri della società.

In estrema sintesi, la sinergia dei punti appena esposti comporterebbe: una drastica diminuzione dell'orario lavorativo;

la fine del falso problema della disoccupazione; l'eliminazione dei mestieri inutili e che causano un aumento dell'inefficienza;

una produzione quantitativa e qualitativa tale da poter garantire l'abbondanza materiale all'intera umanità in modo sostenibile;

la fine della povertà e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo; un maggior tempo libero per vivere la vita, sviluppando ed esprimendo il proprio essere in libertà.

La risposta alla domanda iniziale, quindi, è affermativa: possiamo realizzare l'abbondanza materiale in modo sostenibile producendo oggetti qualitativamente elevati; minimizzare il lavoro umano grazie alla tecnologia; eliminare per sempre la disoccupazione ripartendo il carico di lavoro residuo su tutta la popolazione attiva.

E tutto ciò può avvenire assicurando a tutti l'accesso ai beni e ai servizi di cui hanno bisogno per una buona qualità di vita.

Qualcosa non torna: se l'orario lavorativo si riduce, diminuisce anche il compenso dei lavoratori. Come faranno quest'ultimi ad acquistare beni e servizi di elevata qualità che intuitivamente risulteranno più cari?

Pianificando l'economia.

Immaginiamo di realizzare un sistema produttivo scientificamente calibrato per produrre e fornire un quantitativo di beni e servizi necessari per soddisfare i veri bisogni degli esseri umani, il tutto all'interno di una società dove il carico di lavoro che non può essere svolto dalle macchine viene ripartito equamente tra tutti gli individui che possono lavorare.

Ebbene, in un simile sistema non esiste nel modo più assoluto alcun ostacolo da superare per far sì che tutti possano avere accesso ai beni e ai servizi disponibili, che non sia riconducibile all'attuale visione ideologica che ci suggerisce con forza che tutto ciò non sia possibile, pur nella sua fattibilità fisica.

Infatti, una volta liberate le nostre menti dalle gabbie di pensiero inerenti le logiche del profitto, ci accorgiamo che se i beni e i servizi fossero disponibili in quantità sufficiente da poter essere distribuiti a tutti, allora nulla vieterebbe di poterlo effettivamente fare.

Non solo, si potrebbero addirittura distribuire beni e assicurare l'accesso ai servizi gratuitamente, eliminando l'uso del denaro.

Se invece si preferisse mantenere l'uso del denaro, si potrebbe pensare d'integrare il compenso dei lavoratori in modo tale che lo stipendio percepito lavorando a orario ridotto risulti sufficientemente elevato da consentire di vivere un'esistenza più che dignitosa;

oppure si potrebbe istituire un reddito d'esistenza universale e irrevocabile, concesso in modo incondizionato per tutta la durata della vita di ogni individuo.

Le soluzioni esistono, si tratta di cambiare l'economia rimettendo al centro i veri bisogni degli esseri umani, invece di adattare gli esseri umani alle esigenze di un'economia pessima come quella attuale.

Per quanto il sistema tenti di farci credere il contrario, non esiste solamente l'attuale organizzazione socio-economico-culturale.

Quella che vediamo è soltanto una delle manifestazioni delle organizzazioni possibili e, alla luce delle attuali condizioni di vita sperimentate dai membri della società e dei disastri ambientali prodotti, la potremmo tranquillamente classificare tra le peggiori.

Ma se le soluzioni esistono perché non vengono attuate?

Non è che non siamo in grado di produrre oggetti di elevata durata e qualità, è solo che a causa delle logiche capitalistiche, quando si realizzano beni e servizi non si tiene conto delle reali esigenze dell'umanità, ma s'insegue il profitto, che è cosa ben diversa.

Produrre e ri-produrre oggetti scadenti permette di vendere e rivendere la stessa cosa più e più volte alle stesse persone. Questo meccanismo diabolico, in estrema sintesi, rappresenta il vero motore dell'odierna società consumistica.

Al contrario, realizzando prodotti durevoli, una volta forniti all'intera umanità, si provocherebbe un collasso del sistema produttivo e con esso del sistema capitalistico così come lo conosciamo: fine del gioco, fine dei profitti.

Delegando il lavoro alle automazioni si potrebbe ridurre in modo notevole l'orario di lavoro pur producendo lo stesso numero di beni e servizi.

Volendo, gli esseri umani potrebbero avere a disposizione una maggiore libertà, oggi negata a causa delle costrizioni lavorative, che consentirebbe di sviluppare il proprio potenziale al riparo dalla povertà.

Potremmo riconvertire la produzione di beni e servizi automatizzandola e informatizzandola in modo massiccio già da oggi nel giro di pochi anni, eliminando, o quasi, l'obbligo del lavoro umano, ma non lo stiamo facendo.

Tutto fa pensare che continueremo ancora a lungo a far lavorare gli esseri umani al posto delle macchine, non perché questo "scambio" sia fisicamente impossibile, ma per giustificare l'attribuzione di uno stipendio, perché siamo così arretrati da non riuscire ad accettare l'idea che si possano dare soldi, o direttamente beni e servizi, alle persone indipendentemente dal fatto che lavorino.

D'altro canto le élites che dominano il mondo intendono mantenere in essere l'odierno sistema socio-economico che gli assicura potere e ricchezza, e intendono conservarlo così com'è, perché una società dove per procurarti il denaro che ti serve per vivere devi lavorare ma il lavoro è scarso, e quando c'è è totalizzante, rappresenta quanto di meglio possa essere realizzato per esercitare il controllo sociale, in special modo se quelle élites gestiscono anche la moneta, dispongono di ingenti capitali, si arrogano la proprietà dei mezzi di produzione e possono controllare i mass media a loro piacimento.

Se per disgrazia gli esseri umani avessero la certezza di poter disporre di un reddito indipendentemente da tutto il resto, nessuno sarebbe più disposto ad accettare le condizioni di sfruttamento disumane imposte dai detentori di capitale, e così avrebbe inizio un processo rivoluzionario che potrebbe condurre al superamento del capitalismo così come lo conosciamo oggi.

I processi produttivi potrebbero essere delegati alle automazioni senza creare alcun dramma sociale dovuto alla disoccupazione, perché i lavoratori non avrebbero più necessità di lavorare per avere il denaro necessario per vivere.

La disoccupazione non sarebbe più un male da combattere, ma un obiettivo da raggiungere.

Lasciare individui disoccupati mentre altri lavorano per tutto il giorno, però, non avrebbe senso, ma a quel punto l'orario di lavoro potrebbe essere ridotto, in modo tale che ciascuno possa tornare a dare il proprio contributo sociale per mezzo di un lavoro che non sarebbe più totalizzante ma minimizzato.

La sinergia di automazioni, intelligenza artificiale ed esseri umani che si ripartiscono equamente il carico di lavoro residuo, consentirebbe di produrre tutti i beni e i servizi necessari per la collettività con un orario lavorativo di gran lunga inferiore alle odierne 8-10 ore al dì, perché tutta questa mole di lavoro oggi non è dovuta a una reale ed effettiva esigenza, ma a un'apposita ed evitabile inefficienza indotta dall'iper-consumo e dal fatto che ci si ostina a far lavorare gli esseri umani al posto delle macchine.

Siamo ancorati all'idea che per vivere si debba per forza lavorare per guadagnarsi il denaro, una concezione antiquata che lo sarà sempre di più a causa dell'imminente avvento dell'era delle automazioni e delle intelligenze artificiali.

In un futuro non troppo lontano le macchine svolgeranno la quasi totalità dei compiti, a quel punto gli esseri umani non troveranno più lavoro, perché il sistema produttivo e di fornitura dei servizi non avrà più bisogno, o quasi, del loro contributo.

Per quanto gli economisti tentino di creare artificiosamente lavoro introducendo inefficienze e sprechi, il processo che va sotto il nome di disoccupazione tecnologica è già in atto, si tratta di riconoscerlo e iniziare a sfruttarlo a vantaggio dell'umanità, invece di contrastarlo con degli espedienti dannosi e inconcludenti.

C'è una forte necessità di rivedere radicalmente l'approccio al consumo, altrimenti i capitalisti continueranno a spingere in direzione dell'iper-produzione, l'ecosistema collasserà e l'umanità rischierà l'estinzione.

L'iper-consumo deve essere eliminato, per iniziativa dei singoli e grazie a nuove regole socio-economiche che impediscano comportamenti pazzeschi e dannosi quali l'induzione al consumo attuata mediante i condizionamenti mentali derivanti dalla pubblicità et similia, o le strategie di produzione atte ad aumentare i ritmi di produzione-consumo-ri-produzione, come l'obsolescenza programmata.

L'umanità dovrebbe comprendere l'importanza di avere il giusto e consumare il necessario, ma anche l'assurdità e la dannosità collegati ai meccanismi consumistici in generale.

I prodotti a disposizione dei consumatori dovrebbero essere scientemente e scientificamente realizzati per minimizzare l'impatto ambientale.

In altre parole, si dovrebbe abbandonare la follia degli usa e getta, quando possibile, dei prodotti che non possono essere riparati e di quelli di breve durata. E così via.

Ma fin quando rimarremo ingabbiati nelle logiche attuali, la tecnologia non sarà utilizzata con lo scopo di migliorare le condizioni di vita degli esseri umani ma per massimizzare il profitto.

L'uomo-macchina continuerà a lavorare al posto delle vere macchine fin quando queste ultime non saranno considerate economicamente vantaggiose, nonostante potrebbero sostituire grandemente i lavoratori già da oggi.

I disoccupati, non avendo reddito, preferiranno sprecare la propria vita pretendendo di svolgere un qualsiasi lavoro, anche al costo di ostacolare l'automatizzazione dei processi produttivi.

La follia di queste dinamiche è chiara agli occhi di chi vuol vedere:

potremmo creare una società senza povertà, nella quale gli esseri umani vivrebbero in libertà, e invece sprechiamo la nostra unica esistenza per lavorare, perché siamo così poco evoluti a livello di coscienza da non riuscire a concepire e attuare una nuova organizzazione delle logiche dell'economia e del mondo del lavoro che guardino, finalmente, al benessere e alla felicità dell'umanità.

Oggi l'automatizzazione avviene quando il capitale ritiene che attraverso di essa riuscirà a generare un maggior guadagno, il tutto a discapito dei lavoratori, ovviamente, che invece di vedersi ridurre l'orario partecipando ai profitti dovuti agli incrementi di produttività, si ritrovano disoccupati.

Ripartire il carico di lavoro su tutta la popolazione eliminerebbe per sempre il problema della disoccupazione, ma all'interno dell'attuale sistema questa soluzione non sarebbe accettata neanche dai lavoratori, che vedrebbero decurtarsi lo stipendio a causa di una riduzione d'orario.

Lo stipendio potrebbe comunque essere aumentato ricorrendo ad apposite politiche monetarie e a meccanismi di redistribuzione della ricchezza, ma tutto ciò non viene attuato, perché la disoccupazione rappresenta uno strumento in grado di disciplinare i lavoratori e abbattere il costo del lavoro.

D'altro canto, se i lavoratori avessero la certezza di poter ritrovare facilmente un'occupazione, allora verserebbero in una condizione di forza tale da pretendere tutele e stipendi maggiori, il tutto a discapito del profitto dei capitalisti.

Per questi motivi chi detiene il potere non ha nessuna vera intenzione di eliminare totalmente la disoccupazione.

Tutti si rendono conto dell'esistenza di ruoli il cui unico fine è la realizzazione di una rendita ottenuta mediante l'introduzione d'inefficienza o di una qualche forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma eliminare quelle categorie sociali risulta estremamente difficile perché, guarda caso, chi fa parte di quell'insieme di pseudo-lavoratori o detiene i mezzi necessari per mantenere in essere il ruolo al quale appartiene o è tutelato in modo clientelare da chi è al potere.

Del resto, se anche solo un 1% della popolazione traesse vantaggio dall'attuale organizzazione socio-economica e avesse la possibilità di mantenerla in essere - una valutazione che attualmente si avvicina di molto alla realtà dei fatti - per quale motivo dovrebbe volere un cambiamento a proprio sfavore?

Al contrario, quell'1% pur di non perdere i privilegi acquisiti sarebbe disposto a tutto.

Figuriamoci poi se chi ha accumulato con tanta avidità il proprio denaro sarebbe disposto a subire dei processi redistributivi in favore dei poveri e degli oppressi;

piuttosto preferirebbe far morire 24.000 persone al giorno: un orrore che accade oggi, non nel mondo dell'immaginazione, ma in quello della realtà.

Uno dei maggiori ostacoli che ci separano dal raggiungimento dell'ambizioso obiettivo di costruire una società a misura di essere umano, non è rappresentato dalla scarsità delle risorse a nostra disposizione e nemmeno delle attuali conoscenze scientifico-tecnologiche, bensì dai limiti e dalle distorsioni indotti da un costrutto metafisico: l'economia.

L'attuale sistema economico ci dice di produrre per inseguire il profitto, non le reali esigenze del genere umano.

L'economia del profitto restringe il campo del realizzabile dal fisicamente possibile all'economicamente ammissibile, che però ne rappresenta soltanto una piccola parte, ovvero un sottoinsieme dell'attuabile.

Così, ciò che appartiene all'insieme del possibile non può effettivamente essere realizzato non per l'impossibilità intrinseca dovuta alla sua natura, bensì per vincoli auto-imposti che la comunità si sforza di rispettare, comportandosi come se fossero effettivamente ineludibili.

Ma se l'attuale sistema economico non è in grado di supportare le scelte di base che potrebbero garantire un elevato benessere all'umanità, dov'è il problema?

L'economia è un sistema ideato dagli esseri umani il cui scopo dovrebbe essere quello di raggiungere il benessere collettivo.

Anche se in molti oggi sembrano esserselo dimenticato, ogni sistema economico, al contrario delle leggi di natura, può sempre essere modificato per assecondare le vere esigenze dell'umanità.

Al di fuori di una visione dogmatica e fideistica delle cose, non esiste alcun ostacolo che c'impedisca di rimettere totalmente in discussione qualsiasi sistema socio-economico che si riveli inefficiente, fallimentare o inappropriato per assicurare il benessere e la felicità di tutti.
E allora: che cosa stiamo aspettando?

Mirco Mariucci



DA QUANDO HO SMESSO DI MANGIARE LA CARNE…

Da quando ho smesso di mangiare la carne, mi succede spesso di sentirmi diversa e anormale in un mondo che considera con indifferenza l’uccisione per il solo piacere del gusto.
Ma devo ammettere, con un certo imbarazzo, che da allora molte cose per me sono cambiate.
Fino al momento in cui ho preso la decisione di non nutrirmi più con la vita di qualcun altro, mi era sempre sembrato naturale addentare una bistecca chiacchierando allegramente con gli amici.
E certamente non ignoravo che la carne, prima di essere cucinata, condita e servita in un piatto, era un corpo e apparteneva a qualcuno.
Qualcuno che sicuramente non voleva morire per soddisfare il mio appetito ma che, probabilmente, desiderava vivere ancora.

Lo sapevo anche allora, solo che la mia mente cercava di dimenticarlo perché anche io, proprio come chiunque altro, non volevo pensarci e nascondevo con noncuranza questa informazione facendo finta che non fosse così.
Guardavo il sangue e sentivo soltanto l’acquolina in bocca.
Lasciavo che il mio palato venisse soddisfatto dagli aromi, mi abbandonavo al piacere della conversazione e ammutolivo la consapevolezza, annegandola nel cibo e nella compagnia.
Da quando ho smesso di mangiare la carne, però, questo meccanismo di difesa (chiamato in gergo psicologico “rimozione”) ha smesso di funzionare e così sono sempre terribilmente lucida su ciò che è vita e ciò che invece è morte.
Adesso, quando vedo tutti quei pacchetti incellofanati, con dentro le membra squartate e sanguinolente di tante creature miti, fiduciose e innocenti, sento le lacrime pungermi gli occhi e il mondo mi appare in una luce intensa e senza ombre.
Da quando ho smesso di mangiare la carne, la vita ha assunto una chiarezza che evidenzia la verità, senza censure e senza mistificazioni, e una trasparenza che mette in luce i lati negativi di me stessa in tutta la loro dolorosa realtà.
C’è un prezzo da pagare per ogni scelta e quella di diventare vegana non è stata facile, mi è costata molte privazioni e sacrifici.
Ho rinunciato a credere nella bontà, mia e degli altri, e ho dovuto ammettere la crudeltà di un mondo che ignora la sofferenza.
Ho sacrificato la mia ingenuità, imponendo a me stessa di guardare l’indifferenza negli occhi quando con dolore ne ho scoperti i sintomi fin dentro la mia stessa anima.
Avrei preferito poter salvare almeno la coerenza e non dover riconoscere i crimini, commessi con superficialità e ignoranza, per aver concesso al mio bisogno di approvazione di seguire il branco in quei riti tribali, chiamati pranzi e cene, dove si compiono i sacrifici di tante vittime innocenti.
Ma come molti altri anche io ho goduto, ignorando la morte e il dolore, convinta che fosse del tutto naturale uccidere per soddisfare il piacere del gusto.
Ho dovuto privarmi della mia immacolata perfezione e accettare che, proprio come il peggiore dei nazisti, per mano dei miei sicari ho torturato e ucciso creature che non mi avevano fatto niente, giudicandole inferiori e perciò passibili di morte e di ogni abominio, sulla base dei tratti somatici e di una cultura differente da quella della razza in cui mi riconosco e sento di appartenere.
Avrei voluto scoprirmi migliore e proclamare a testa alta la mia innocenza davanti ai delitti di chi ammazza per divertimento, per sport e per il piacere del proprio palato.
Ma ho dovuto rinunciare al vantaggio di stare dalla parte del giusto e confessare che, come tutti gli altri, sono stata spietata, cinica, indifferente, insensibile e priva di umanità perché anche io ho lasciato che la morte si perpetuasse senza sosta, solo per il piacere di sentire un sapore buono in bocca.
Che brutta sorpresa scoprirmi così crudele e priva di discernimento!
Che sofferenza tollerare di essere gregaria, conformista, qualunquista e opportunista, priva di amore, di pietà e di rispetto per gli altri esseri che insieme a me popolano la terra.
Esseri che non distruggono il pianeta per mangiare innumerevoli volte in un solo giorno, che non soffrono di sovrappeso, cellulite e obesità, che non prendono psicofarmaci e che non hanno malattie mentali, prostituzione, pedofilia, sfruttamento, inganno e usura.
Esseri che rispettano la natura e che convivono con le altre specie senza distruggere ciò che hanno intorno per divertimento.
Esseri miti che si lasciano condurre a morire piuttosto che ribellarsi alla violenza e alla ferocia dei loro carnefici.
Quando ho smesso di mangiare la carne, ho dovuto anche smettere di credere a quello che dicono tutti, per cominciare a seguire le istruzioni del mio cuore.
E ho scoperto che non è possibile vivere sereni cibandosi di morte, perché la nostra anima conosce i crimini commessi nel silenzio e in quel silenzio li osserva, senza giudizio e piena di dolore, aspettando con pazienza che arrivi il momento di liberarsi da quella zavorra di angoscia che appesantisce il cuore.

Ma tanti strati di sofferenza inespressa creano una coltre sulle percezioni e intorpidiscono la comprensione della vita rendendola greve e priva di significato.
Scoprirsi complici di tanti abomini oscura l’immagine idealizzata che vorremmo avere di noi stessi e ci costringe a cambiare per diventare migliori.
Perciò, da quando ho smesso di mangiare la carne, a malincuore ho dovuto rinunciare a credere nella mia bellezza illuminata di essere prescelto da Dio per portare la saggezza in un mondo popolato di bestie, rozze e prive d’intelligenza.
E ho dovuto ammettere con umiltà che proprio quelle bestie sono i maestri venuti a dimostrare con l’esempio della loro esistenza cosa vuol dire rispettare il creato, la natura e la vita.
Così, da quando ho smesso di mangiare la carne, non sono più l’eletta rappresentante di una razza superiore ma una fra tanti, colpevole di aver creduto con presuntuosa arroganza che al mondo esistano vite di serie A e vite di serie B.
E con umiltà ho dovuto riconoscere che la vita è sempre un valore assoluto, a chiunque appartenga.
Oggi, quando mi trovo in mezzo a una di quelle belle riunioni conviviali, ricche di antipasti e di tante portate succulente, sono oggetto di curiosità, di scherno o di commiserazione, da parte di quelli che, proprio come me, occultano a se stessi la consapevolezza in nome di un sapore a cui sacrificano il valore della vita.
Spesso mi piacerebbe raccontare cosa si prova scegliendo di non cibarsi della morte, e spiegare come il percorso verso il raggiungimento dell’umanità passi attraverso il riconoscimento che ogni creatura ha diritto alla propria esistenza, senza essere il pasto di nessuno.
Ma so che è inutile intestardirsi nel tentativo di combattere la rimozione per proporre un’idea che ancora non può essere accolta nella coscienza.
So che io stessa in passato sono stata così, insensibile e priva di umanità.
Ognuno deve fare il suo percorso e trovare da solo, nascoste in fondo all’anima, le ragioni per cui la vita è degna di essere vissuta con amore, con umiltà e con rispetto.
Perciò, da quando ho smesso di mangiare la carne, lascio che tutti compiano i propri sbagli con noncuranza, convincendo se stessi di essere nel giusto e soffrendo un dolore di cui diventa sempre più difficile scovare le radici perché strati di prevaricazione censurata impastano l’anima dando forma a una vita senza chiarezza.
E mentre cerco di condividere il mio pensiero e le mie scelte, capisco che ciò che è giusto per me è incomprensibile per qualcun altro, convinto di appartenere a una razza prescelta da un Dio che fa figli e figliastri, e perdona e punisce secondo un criterio arbitrario e pericolosamente narcisista.
Allora parlo, sapendo che le mie parole raggiungeranno soltanto le persone pronte per condividerle, e con gratitudine ringrazio chi, nel passato, ha avuto con me la stessa risoluta determinazione, mentre da sola costruisco un mondo in cui non ci sarà sopraffazione, ma tutti potremo vivere in armonia scambiando i doni delle nostre culture gli uni con gli altri.
Carla Sale Musio

Nessun commento: