sabato 17 marzo 2018

Quale futuro per un'umanità dormiente che rischia l'estinzione?




A volte sono persuaso dall'idea che politici ed economisti stiano spendendo tutte le loro energie per inscenare il primo, e forse ultimo, tentativo di suicidio collettivo dell'umanità.

Ma forse c'è un'altra spiegazione per la scelleratezza delle odierne politiche economiche.

Popoliamo un pianeta di dimensioni finite, con una disponibilità di risorse limitata.

L'impatto antropico dovuto alle nostre quotidiane attività è così elevato da spingere oltre 15.000 scienziati a firmare un accorato appello nel quale s'invita l'umanità ad invertire la rotta, prima che sia troppo tardi...

Ma come se niente fosse, gli “esperti” esultano perché per il 2018 si prevede una crescita dell'economia mondiale pari al 4%. Io sinceramente mi chiedo che cosa ci sia da festeggiare.

La temperatura globale aumenta, gli animali si stanno estinguendo, l'inquinamento peggiora e noi celebriamo la crescita dell'economia, pur sapendo che ciò significherà maggiore inquinamento e minore sostenibilità.

Continuiamo pure a correre sempre più veloci su questa strada, ma prima o poi ci scontreremo con le conseguenze della nostra stupidità. E l'impatto sarà violento, perché dovremo scontare gli effetti cumulati di anni ed anni di eccessi.

Affinché questo scenario non si verifichi, ho deciso di dare un piccolo contributo, cercando di guardare al futuro di un'umanità di dormienti, i quali sembrerebbero preferire l'estinzione al loro risveglio.

A tal fine, analizzerò in modo qualitativo cosa potrebbe accadere all'umanità se gli Stati continueranno testardamente a far crescere le loro economie ignorando la finitezza della Terra.

Nel 2017 l'Earth Overshoot Day, vale a dire il giorno nel quale l'umanità consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta nell'anno corrente, è caduto il 2 agosto e il trend storico è in peggioramento.

Consumiamo risorse pari a 1.7 volte la capacità rigenerativa annuale della Terra ma, ad oggi, abbiamo un solo pianeta abitabile.

L'ecosistema mostra già i primi segnali premonitori di un probabile "collasso".

Ciò nonostante, i paesi del primo mondo inseguono la crescita per non far fallire le proprie economie, mentre i paesi emergenti fanno registrare tassi di crescita da record, perché i capitalisti si sono messi in testa di voler replicare i medesimi modelli di consumo e sviluppo dei paesi avanzati, così da realizzare dei lauti profitti.

Ciò è letteralmente impossibile che avvenga, perché un simile scenario richiederebbe le risorse di 4 o 5 pianeti per essere messo in atto e comporterebbe la completa distruzione dell'ecosistema.


Comprenderete quindi che, con elevata probabilità, la finitezza delle risorse combinata alla volontà di far crescere le economie condurrà a delle eclatanti situazioni di criticità.


Può darsi che venga ingaggiata una grande guerra per accaparrarsi le risorse necessarie ad alimentare la crescita di una certa nazione a discapito delle altre o magari i potenti troveranno un modo per sterminare una larga fetta di popolazione, così da diminuire l'impatto antropico e continuare ad alimentare il modello capitalistico, senza però distruggere definitivamente l'ecosistema...

Si aprono così numerosi scenari per il futuro dell'umanità, alcuni dei quali sono dettati dalla consapevolezza, dall'intelligenza, dall'amore e dalla volontà, altri invece dall'incoscienza, dall'ignoranza, dalla violenza e dall'obbligo.

Quale tra essi si presenterà, è difficile a dirsi. E non è da escludersi il verificarsi di una loro commistione.

A mio avviso, la miglior soluzione per i problemi socio-economici ed ecologici dell'umanità, la più sensata, ragionevole e razionale, ma anche quella che quasi certamente non sarà applicata, è basata su di una volontaria decrescita delle economie sovrasviluppate e sull'adozione da parte dei paesi sottosviluppati di un nuovo modello di sviluppo che sia orientato all'efficienza ed alla sostenibilità.

Mi spiego meglio. Chiunque riesce a comprendere che se i limiti che sanciscono la sostenibilità ambientale sono stati superati, la prima cosa da fare è ridurre l'impatto delle attività umane, ripristinando così una situazione di equilibrio.

È infatti del tutto evidente l'importanza e l'urgenza di questo obiettivo, eppure non c'è neanche un partito politico che abbia inserito nei suoi programmi una seria strategia per la decrescita economica.

Al contrario, tutti promettono più crescita e più lavoro, anche se la crescita non solo non è fisicamente sostenibile ma è addirittura dannosa e un ulteriore incremento di lavoro umano non serve per migliorare le condizioni di vita dell'umanità.

L'importante è che l'economia ed il lavoro aumentino, l'aspetto qualitativo di queste scelte viene del tutto ignorato.

Non so in quanti se ne siano resi conto, ma a me sembra che la principale occupazione della nostra specie consista nel lavorare per rovinare le nostre esistenze e per distruggere il pianeta sul quale viviamo.

Di questo genere di “lavoro” una specie di esseri intelligenti farebbe volentieri a meno. E invece no: i politici ne promettono addirittura altrettanto, fino a raggiungere la “piena occupazione”, perché in questo modo “salveranno l'economia”.

Ma quale sarà il costo per l'umanità di una simile imbecillità?

Non abbiamo bisogno di più lavoro ma soltanto di quel lavoro non dannoso che serva effettivamente a raggiungere l'obiettivo del benessere collettivo. Tutto il resto andrebbe immediatamente eliminato.

La stessa cosa può essere detta per la crescita economica: l'economia deve crescere se, e soltanto se, quella crescita è subordinata all'effettivo miglioramento delle condizioni di vita degli esseri viventi, altrimenti è doveroso che la crescita non abbia luogo.

La crescita non può e non deve essere un obbligo, per rispettare il quale dobbiamo addirittura essere disposti a sacrificare l'ecosistema e a schiavizzare noi stessi mediante un lavoro artificioso, tanto inutile quanto dannoso.

Invece di abbandonare gli imperativi metafisici ed arbitrati di un modello economico pessimo, concependone ed adottandone un altro ad esso superiore, ci si prodiga in modo indefesso per rispettare il presunto volere di un'entità astratta ed immaginaria auto-concepita ed auto-imposta dall'umanità sulla stessa umanità, come se fosse un vincolo reale ineludibile: questo è un classico esempio di ciò che può essere chiamato "cretinismo economico".

Ci vogliono far credere che siccome l'odierna economia deve crescere per non fallire, non possiamo decrescere, nonostante si possa decrescere migliorando addirittura le condizioni di vita dell'umanità, nonostante si debba decrescere, viste le eclatanti condizioni di inefficienza, inquinamento e iper-consumo dell'odierna società.

Basterebbe soltanto cambiare il modello economico, svincolando le nostre attività dalle logiche del profitto. Ma chiaramente un simile passo non viene mai preso in considerazione da chi ha tutto l'interesse a mantenere immutato l'attuale ordine delle cose.

Eppure, una decrescita delle attività economiche pianificata in modo razionale è l'unica via per salvare l'umanità da tragedie ben più grandi, che quando si presenteranno ci faranno rimpiangere amaramente di non aver diminuito con intelligenza il livello di consumo e l'impatto ambientale.

Già, perché i livelli di consumo diminuiranno, in un modo o nell'altro, potete starne certi, perché i nostri comportamenti non sono fisicamente sostenibili e i limiti fisici possono essere elusi soltanto nel mondo dell'immaginazione, ma non in quello della realtà.

Si possono concepire tutti i modelli economici meta-fisici che ci piacciono, anche quelli che per funzionare prevedono delle crescite infinite, ma se tali modelli non tengono conto della finitezza del pianeta sul quale vengono applicati, prima o poi saranno condannati al fallimento.

È ancora assai lontano il tempo in cui gli scienziati riusciranno a comprendere più a fondo le leggi della fisica e potranno trasformare, a loro completo piacimento, la materia in energia e l'energia in materia, risolvendo così ogni genere di problematica relativamente alla finitezza delle risorse ed all'impatto ambientale. E non è neanche detto che una simile conquista avverrà.

Pertanto, c'è ben poco da fare i capricci: si tratta di scegliere con consapevolezza se diminuire in modo intelligente i consumi per consentire a tutti di vivere in modo dignitoso o se continuare con grande incoscienza la strada della crescita infinita e del consumismo.

Una via, quest'ultima, che dopo aver compromesso l'ambiente e le nostre condizioni di vita, condurrà le nuove generazioni verso scenari ancora più tetri.

In questa fase storica, l'umanità è giunta a quello che potremmo definire un bivio esistenziale.

Ci sono due vie da intraprendere e conducono a futuri sostanzialmente diversi: la via della consapevolezza e la via dell'incoscienza.

La via della consapevolezza è quella che scaturisce in modo naturale da ogni mente sveglia e cosciente che ha compreso in modo profondo che siamo un tutt'uno sia con la natura che ci circonda che con gli “altri” esseri viventi.

Se tutti sono me e io sono gli altri, e noi tutti siamo anche la natura e pure la natura è noi, fare del male agli “altri” significa fare del male anche a se stessi. Il vero bene consiste nell'assicurare le migliori condizioni di vita possibili a tutti gli esseri viventi, nel rispetto della natura.

Tutto è vivo e partecipa dell'esistenza, perfino la Terra. Il sentimento che dirige l'azione dei consapevoli è un sentimento d'amore. L'armonia con il Tutto è la vera felicità.

La Terra è grande e può assicurare un livello di vita dignitoso a tutti i suoi abitanti, ma tale livello non può crescere in modo indefinito perché è vincolato al mantenimento di un equilibrio fisico.

Superare i limiti imposti dalla natura, significa fare del "male" alla Terra e di conseguenza, siccome tutto è Uno, significa anche danneggiare se stessi, ovvero l'umanità.

Lo scopo delle attività economiche è il raggiungimento del benessere collettivo e l'unico modo per conseguirlo consiste nella cooperazione sinergica in vista di un fine comune.

Agli antipodi di quanto appena esposto, troviamo la via dell'incoscienza.

Purtroppo conosciamo bene questa via, se non altro perché l'abbiamo sperimentata, direttamente o indirettamente, ed in molti la stanno ancora percorrendo, in particolar modo chi detiene il potere e dispone dei mezzi per condizionare l'esistenza dell'intera umanità.

Si tratta della via indicata dalla separazione, secondo la quale ogni cosa è un oggetto a sé stante indipendente da ciò che lo circonda.

Il sentimento che muove gli incoscienti è l'egoismo e la modalità d'azione che essi prediligono è la competizione.

L'incosciente pensa: siccome io sono io, e gli altri sono altro da me, io non ho legami con gli altri e non ne sono responsabile.

L'altro è visto come una cosa da sfruttare per migliorare le proprie condizioni di vita.

Il medesimo trattamento è riservato alla Terra, che viene considerata non come un essere vivente, ma come un ammasso di risorse da sfruttare in modo indiscriminato.

Non c'è una meta comune per l'umanità, ma degli obiettivi individuali distorti da falsi valori e da un illusorio senso d'illimitatezza.

Lo scopo dell'agire è il successo personale, che va di pari passo con: la notorietà, il possesso di oggetti e persone, il profitto, il potere, l'esercizio del controllo sociale.

L'incosciente crede che la felicità dipenda dal livello di ricchezza che è in grado di raggiungere. Più si è ricchi e più si è felici, perché si possono avere più cose. In questo modo egli avrà, ma non sarà.

L'esistenza si riduce a sacrificare se stessi per guadagnare denaro ed esercitare il potere nei confronti degli altri.

Ognuno deve lottare per accaparrarsi la più grossa fetta della torta, perché il "successo" va conquistato e soltanto i meritevoli hanno diritto di vivere nel lusso.

Gli altri non esistono, a meno che non siano funzionali al raggiungimento dei propri obiettivi economici.

I livelli empatici sono bassi. Il dolore e la sofferenza altrui non sono un problema di cui preoccuparsi, neanche quando siamo noi stessi a causarli.

L'incosciente pensa che se gli altri sono poveri e soffrono è perché, a sua differenza, se lo sono meritato; evidentemente non erano capaci o non si sono impegnati a fondo.

Ma l'incosciente si sbaglia e nonostante il suo apparente successo paga direttamente le conseguenze della propria ignoranza sperimentando una tragedia esistenziale.

Egli ignora le conseguenze delle proprie azioni, perché sperimenta un sonno della mente così profondo da non essere neanche in grado di coglierle.

ll male che causa agli altri gli ritorna con gli interessi e rende la sua esistenza miserabile.

Più soffre e causa sofferenza agli altri, e più continua a credere di essersi impegnato troppo poco e continua testardamente a perseguire con tenacia la via dell'inconsapevolezza.

È disposto a tutto, pur di evitare di risvegliarsi. E così s'adopera incessantemente per accresce il suo malessere e quello dell'umanità.

Non a caso, la via dell'incoscienza è la via della separazione, della sofferenza, della distruzione, della guerra e della morte, mentre la via della consapevolezza è la via dell'unione, della gioia, della creazione, della pace e della vita.

Non puoi essere felice fintantoché ci sono altri esseri viventi che soffrono, non puoi vivere in salute se hai compromesso l'ambiente in cui vivi, non puoi essere sereno se con il tuo agire generi ostilità, perché le condizioni di ognuno si riflettono in quelle degli altri e quelle degli altri si riflettono in ciascuno.

L'infelicità degli altri è anche la tua infelicità, la malattia della Terra è anche la tua malattia, il conflitto degli altri paesi è anche il conflitto del tuo paese, perché tutto è Uno.

Per imboccare il giusto sentiero, uno dei passi fondamentali da compiere consiste nel ricominciare a rispettare la natura.

Se il nostro sistema economico è divenuto troppo "grande" per essere compatibile con l'integrità dell'ecosistema, è necessario ridimensionare l'economia, fino a raggiungere quell'equilibrio che sancisce la complessiva sostenibilità.

Una volta che si è compreso ciò, le domande fondamentali da porsi sono le seguenti: chi dovrebbe decrescere e soprattutto come?

Non si può pretendere di far attuare una decrescita ai paesi in via di sviluppo. Sarebbe come voler togliere del cibo ad un affamato.

Al contrario, in quei luoghi è doveroso che vi sia una crescita economica, ma non così come l'abbiamo intesa fino ad oggi: l'umanità ha bisogno di un nuovo tipo di sviluppo, se non vuole replicare gli errori commessi nel passato.

Si apre così un'ulteriore riflessione di fondamentale importanza.

La prescrizione principale da rispettare è di evitare nella maniera più assoluta di riprodurre gli scellerati modelli di crescita e consumo dei paesi del primo mondo, perché se così fosse, lo stesso sviluppo, invece di migliorare le condizioni di vita generali degli esseri umani, contribuirebbe ad accelerare gli scenari di declino della nostra specie.

Bisogna cominciare ad ammettere in modo chiaro e limpido che la messa in atto di un sistema economico basato sulla produzione e sul consumo scellerato di beni superflui e di merci appositamente concepite per durare poco, utilizzando fonti energetiche inquinanti e non rinnovabili, danneggiando l'ambiente e sprecando lavoro, energia e risorse, è stato, ed è ancora, uno dei peggiori crimini compiuti dall'umanità contro l'umanità.

Guardate a cosa ha portato il falso benessere delle società basate sui consumi, e comprenderete la mia sentenza. Un simile scenario non può più essere tollerato e dev'essere in ogni modo scongiurato, perché altrimenti l'umanità sarà condannata.

Bisogna abbandonare i vecchi schemi mentali che ci hanno condotto fin qui, per procedere verso il futuro adottando una nuova concezione dell'economia.

Gli Stati che intendono svilupparsi dovrebbero farlo minimizzando l'impatto ambientale, localizzando la produzione, favorendo fonti energetiche pulite e rinnovabili, minimizzando la produzioni di oggetti e di rifiuti, puntando sulla qualità, la durevolezza e l'utilizzo condiviso di beni e di servizi, impiegando ove possibile materiali riciclabili e bio-compatibili.

È però evidente che anche il miglior sviluppo porterebbe con sé un certo impatto ambientale, che purtroppo, data l'attuale impronta ecologica, l'ecosistema della Terra non sarebbe in grado di sopportare.

Ed è qui che dovrebbero intervenire i paesi più sviluppati con delle sane politiche di decrescita, “sgonfiando” le loro economie ipertrofiche quel tanto che basta per ristabilire la sostenibilità ambientale e per creare le condizioni affinché la crescita possa aver luogo anche nei paesi in via di sviluppo.

Questa soluzione ha anche il grande pregio di risolvere i problemi sociali dovuti agli odierni flussi migratori, i quali, continuando con le attuali politiche economiche, in futuro, non potranno far altro che peggiorare.

Esistono diversi motivi che spingono gli individui ad emigrare, ma sono tutti sostanzialmente legati ad una qualche condizione di malessere esistenziale. Nessuno fuggirebbe dal proprio paese se ci fossero le condizioni per vivere in pace e prosperità.

Si emigra a causa della guerra e della povertà, ed ovviamente ci si dirige verso i paesi più sviluppati, dove si spera di costruire una vita migliore.

Ciò che i membri dei paesi del primo mondo non riescono proprio a comprendere è che sono loro stessi la causa dei fenomeni migratori dei quali si vanno tanto lamentando.

In realtà, quando compriamo un oggetto tecnologico o andiamo in giro con le nostre auto alimentate a derivati del petrolio, stiamo alimentando il colonialismo, le guerre e la miseria.

Anche se per molti è dura da ammettere e ancor più da “digerire”, sono i nostri stili di vita che causano le guerre, la miseria altrui e i fenomeni migratori.

I rimpatri e la chiusura delle frontiere, tanto sbandierati da talune forze politiche, potranno tenere alla larga dalla vista dei ricchi le disgrazie delle vittime dovute al loro tenore di vita, ma non risolveranno il problema, sotto nessun punto di vista.

Se il consumismo non cesserà e continueremo ad utilizzare petrolio e derivati, nel mondo continueranno ad aver luogo delle guerre per impadronirsi con la forza delle risorse da impiegare per continuare ad alimentare il nostro sistema.

Anche chi promette di “aiutare i migranti a casa loro”, senza però proporre di ritirare gli eserciti e di evitare di consumare la quota di risorse che spetterebbe a quei paesi per lasciarli sviluppare, si sta limitando soltanto a fare della ridicola propaganda.

La vera soluzione per risolvere i problemi legati al fenomeno delle migrazioni, consiste nel cessare immediatamente ogni conflitto armato, nel redistribuire le risorse in modo tale che ogni paese del mondo possa assicurare un'esistenza dignitosa ai propri abitanti e nel fare in modo che l'impronta ecologica complessiva si attesti su livelli di sostenibilità.

E per farlo, i paesi del primo mondo dovrebbero far decrescere le proprie economie, così che anche gli altri paesi possano svilupparsi. Tutto il resto è pura retorica.

Fin dal suo concepimento, si è fatto un gran terrorismo a livello mediatico affinché la decrescita felice non fosse compresa dalle masse. E non è neanche difficile comprendere il come ed il perché ciò sia accaduto.

L'attuale sistema economico basato sul profitto rifugge anche la più infima decrescita economica.

Se il PIL decresce anche di un solo punto percentuale tutto il sistema entra in crisi, le aziende falliscono, manca il lavoro, le persone si impoveriscono e alcuni finiscono a dormire per strada.

Pertanto, le persone quando sentono parlare di decrescita pensano solo ed esclusivamente a quel genere di scenario.

Ecco perché a livello mediatico la decrescita felice non funziona: da un punto di vista psicologico proporre alla massa di decrescere significa evocare i temibili scenari di una crisi economica.
Ma non esiste un solo modo per decrescere.

Un conto è decrescere perché l'economia entra in crisi e le aziende falliscono, un conto è decrescere in modo razionale, perché ad esempio s'incrementa l'efficienza del sistema e al contempo si redistribuisce la ricchezza, con il risultato (solo all'apparenza paradossale) che le persone dispongono degli stessi beni lavorando ed inquinando di meno.

Ciò può essere fatto e comporta una diminuzione del PIL, pur aumentando la qualità della vita degli esseri umani. Esattamente all'opposto di quanto vorrebbero far credere i sacerdoti della crescita infinita, secondo i quali decrescita significa sempre e solo peggiorare le condizioni di vita dell'umanità.

Così come c'è una crescita buona ed una cattiva, c'è anche una decrescita buona ed una cattiva. Si tratta d'implementare un nuovo sistema economico che escluda dal dominio delle possibilità i casi negativi e renda possibili quelli positivi, sia che si tratti di crescita che di decrescita.

Non come accade oggi, dove a causa dei vincoli economici non si può decrescere perché si è costretti a crescere, e ogni genere di crescita è sempre ben vista, anche quando in realtà peggiora le condizioni di vita dell'umanità.

Con le odierne logiche economiche, se una politica incisiva basata su di una decrescita sostanziale venisse messa realmente in atto, il sistema sarebbe condotto verso un totale fallimento.

Questo però non significa che la decrescita debba essere necessariamente un male, significa che il sistema ha esibito in modo manifesto i suoi limiti e che se si vuole decrescere in modo sostanziale bisogna cambiare modello economico, perché le logiche che stiamo utilizzando sono inadeguate, in quanto non consentono di mettere in atto ciò che invece sarebbe auspicabile per l'umanità.

Decrescere in modo intelligente, infatti, non significa impoverire le persone, come invece si vorrebbe far intendere alle masse, significa ad esempio non sprecare le risorse e salvaguardare l'ambiente.


Oggi invece lo spreco e l'inquinamento sono leciti, ben ammessi, se non addirittura scientemente ricercati, ogni qual volta consentono di generare un profitto: questo rappresenta un secondo eclatante esempio di cretinismo economico, tipico del capitalismo.

L'unico “problema” della decrescita risiede nella sua incompatibilità con il modello economico attuale, perché decrescere in modo razionale significa spezzare le logiche del profitto e ciò, a sua volta, significa porre fine a quel meccanismo che ha reso ricca e potente un'élite di parassiti e di criminali, che si è avvalsa dello sfruttamento indiscriminato di esseri umani e risorse comuni.

Alcuni pensatori hanno sostenuto che si possa decrescere pur agendo entro le regole dell'odierno sistema economico. Io invece ritengo che questa tesi non sia del tutto corretta.

Perché se da un lato è vero che nel breve periodo è certamente possibile attuare qualche iniziativa volta alla decrescita creando addirittura lavoro e incrementando il PIL, dall'altro nel medio-lungo termine quelle medesime iniziative causerebbero disoccupazione e diminuzione del PIL, rischiando così di generare una crisi economica.

Inoltre, voler decrescere all'interno dei vincoli dell'odierno sistema economico, significherebbe tagliar fuori dal dominio delle possibilità tutta un'ampia gamma d'iniziative utili all'umanità che sarebbero giudicate come "economicamente insostenibili", pur essendo fisicamente possibili.

Per questo, in estrema sintesi, io ritengo che il capitalismo, e le sue logiche economiche basate sul profitto e sul mercato, siano fondamentalmente incompatibili con la decrescita, e che una seria politica decrescitista per essere implementata abbia bisogno di un nuovo tipo di economia che infranga i limiti metafisici imposti dal mercato e consenta di mettere in atto tutto ciò che è effettivamente utile e necessario all'umanità e non più soltanto ciò che è ritenuto economicamente ammissibile all'interno di un sistema limitato dal vincolo del profitto.

Nel corso delle mie riflessioni, ho compreso con grande chiarezza che per portare a termine gli obiettivi della decrescita felice, la migliore strategia a disposizione dell'umanità consiste in una totale pianificazione dell'economia, che abbia luogo mediante un nuovo sistema economico che sia intrinsecamente fondato sulla fisica delle risorse e non sulla meta-fisica del denaro.

Ma come chiunque avrà già intuito, una simile visione del mondo è completamente incompatibile con l'odierna organizzazione sociale.

Per questo chi detiene il potere cercherà in ogni modo di far credere al maggior numero di persone che la decrescita sia dannosa e che lo scopo dei decrescitisti sia quello di far impoverire l'umanità.

Niente di più falso: decrescere significa rendere l'umanità più libera e più ricca, ma di una forma superiore di ricchezza, che potremmo definire come la vera ricchezza umana.

Non più la falsa ricchezza basata su di uno scellerato consumo di beni materiali, ma quella ricchezza che può scaturire soltanto da relazioni umane autentiche e sincere, non più subordinate alle logiche economiche, e da una gran quantità di tempo libero vissuto al riparo da costrizioni e povertà da impiegare per ricercare ed esprimere il proprio vero essere in libertà.

Lo scopo dei decrescitisti non è togliere cose ai membri dei paesi sviluppati, ma è fare in modo che i beni durino a lungo, così da non dover stupidamente produrre e riprodurre di continuo le medesime cose, danneggiando l'ambiente e lavorando inutilmente in eccesso.

I decrescitisti sostengono che sia più efficiente ed intelligente utilizzare i beni in comune, quando possibile e ragionevole, perché in questo modo si possono soddisfare le medesime necessità con un minor numero di oggetti e, di conseguenza, con un minor lavoro ed un minor impatto ambientale.

Tutto all'opposto delle ricette proposte dai crescitisti, secondo i quali bisognerebbe dare a tutti la possibilità di consumare il maggior quantitativo di beni possibili, massimizzando così lavoro, spreco di risorse ed inquinamento.

E tutto ciò andrebbe fatto perché "ce lo chiede l'economia", nonostante un simile obiettivo sia dannoso, inefficiente ed inessenziale e, per giunta, sottragga tempo prezioso alla vita di ciascuno, oltre che danneggiare l'ambiente: ecco a voi un altro eclatante esempio di cretinismo economico.

Spero che ora abbiate capito che la decrescita non è un male ma è una questione d'impiego intelligente delle risorse, dell'energia e del tempo della vita degli esseri umani.

La decrescita dei paesi ricchi è una strategia ragionevole e razionale per fare in modo che tutti abbiano l'essenziale per vivere in modo libero e felice. Non toglie nulla a nessuno, ma dona a tutti la possibilità di esistere.

Una condizione, quest'ultima, che è resa impossibile proprio dalla ricerca ad ogni costo di una crescita infinita, in forza della quale vengono sottratte risorse a chi invece ne avrebbe bisogno.

Il capitalismo realizza profitto per pochi e danni per molti, invece che benessere per tutti.

Pertanto, il terrorismo mediatico andrebbe giustamente propagandato contro le follie delle logiche capitalistiche, le quali per prime non consentono all'umanità d'impiegare in modo sensato e razionale le risorse ed il lavoro per una vera e reale finalità di benessere collettivo.

Che cos'è preferibile: un mondo con un ambiente sano, in cui si vive in pace, in salute ed in armonia perché tutti hanno il giusto e condividono il resto con gli altri, o un mondo con un ambiente fortemente compromesso, in cui si vive in guerra e con una salute precaria, perché si è voluto assicurare con la forza ad una minoranza d'individui la possibilità di consumare cose perlopiù inutili in modo illimitato, mentre la maggior parte delle persone sperimenta lo sfruttamento, la povertà e la fame?

È di questo che stiamo parlando: decrescere per consentire un diffuso benessere o continuare ad essere sordi alla sofferenza e alle necessità degli altri, pur di alimentare la megamacchina capitalistica messa in piedi ad esclusivo vantaggio di una minoranza della popolazione?

E come se ciò non fosse già più che sufficiente, il consumare in modo illimitato e scriteriato in vista del profitto, così come avvenuto nei paesi del primo mondo, ha prodotto felicità?

No, esattamente al contrario, ha creato una diffusa infelicità per primi proprio tra i consumatori, senza dimenticare anche altri esseri umani, sfruttati e oppressi da un lato e costretti ad un sottosviluppo dall'altro, e tutto ciò per consentire ad una minoranza di uomini senza coscienza di poter iper-consumare per cercare di colmare invano i loro vuoti esistenziali causati proprio dai loro stili di vita e dai loro falsi valori.

Abbiamo da tempo oltrepassando ogni limite dettato dalla decenza e dal buon senso: l'ipertrofia delle economie del primo mondo non è un fatto fortuito, è resa possibile dall'asservimento coatto di una parte dell'umanità nei confronti della volontà dei più forti.

Prima prendiamo consapevolezza di questo fatto e meglio sarà per l'umanità. Basta osservare come vengono ripartire le risorse disponibili, per comprendere l'enorme iniquità a cui ha dato luogo il capitalismo.

Come credete che sia possibile che il 20% della popolazione totale possa sfruttare l'80% delle risorse mondiali?

Con l'utilizzo della forza e della violenza, che può essere esplicita, come nel caso della guerra fatta con le armi, o implicita, come nel caso delle "guerre" condotte con strumenti economici.

In un mondo ragionevole, il 20% della popolazione sfrutterebbe il 20% delle risorse, e invece oggi non è affatto così.


Il motivo non è difficile da comprendere: al netto delle questioni relative alla sostenibilità, non ci sono risorse per sostenere un'economia consumistica per tutti gli abitanti del pianeta.

Ecco a cosa servono le guerre: a rubare agli altri le risorse da impiegare per consumare iniquamente ciò che invece sarebbe spettato di diritto pro-quota al resto dell'umanità.

E allora, se il consumismo e la crescita dei paesi del primo mondo non sono sostenibili, e laddove sono stati implementati non hanno prodotto felicità, se impediscono alle economie dei paesi emergenti di svilupparsi, perché dovremmo continuare a riprodurre questo genere di modello economico?

Non è vero che non si può assicurare un livello di vita dignitoso a tutti gli esseri umani. Non si può fare in modo che tutti iper-consumino così come hanno fatto gli abitanti dei paesi del primo mondo, questo sì.

Ma se invece di sprecare risorse e lavoro avessimo realizzato una produzione qualitativa ed avessimo condiviso i beni prodotti, con la produzione che abbiamo già messo in atto in passato, a quest'ora avremmo fornito beni e servizi essenziali a tutta l'umanità.

Il lavoro sarebbe diminuito drasticamente e le persone avrebbero potuto vivere la propria vita in libertà disponendo del necessario.

E invece i “geni” laureati in economia hanno preferito che i ricchi comprassero, gettassero e ricomprassero le stesse cose più e più volte, lasciando nella miseria la maggior parte della popolazione.

Ed ora che tutte quelle merci, insieme agli scarti e alle emissioni dovuti alle loro lavorazioni, si trovano nella terra ad avvelenare il nostro cibo, negli oceani ad inquinare la nostra acqua e nel cielo a rende l'aria irrespirabile, comprendiamo gli strepitosi successi del capitalismo: abbiamo barattato la distruzione dell'ambiente, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e la povertà degli oppressi, con la possibilità di far arricchire qualche criminale e di far iper-consumare inutilmente ad una minoranza della popolazione mondiale merci concepite per finire in discarica il prima possibile, affinché la ruota del criceto continuasse a girare.

Ma ciò nonostante, le ricette di politica economica sono rimaste sostanzialmente invariate, perché la ruota del criceto deve continuare a girare, anche a costo di distruggere l'ecosistema o di sterminare l'umanità.

Ecco spiegato perché la decrescita dei paesi del primo mondo, accompagnata dall'adozione di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, rappresenta la miglior strategia per salvare l'umanità da scenari futuri ben più temibili.

Io sono convinto che le nuove generazioni costrette a sopravvivere miseramente in un mondo reso ostile dagli odierni modi di consumo, malediranno la nostra eclatante stupidità.

Capite bene che ai loro occhi cose come l'eliminare il consumo superfluo e il condividere alcuni oggetti, sembreranno questioni di poco conto, rispetto al veder morire milioni d'individui a causa del collasso dell'ecosistema o delle guerre effettuate per accaparrarsi le risorse disponibili.

Perché se ancora non dovesse esser chiaro, è di questo che si sta parlando, quando si guarda ai danni che stiamo causando, oggi, con le nostre azioni scellerate, i cui effetti con tutta probabilità dovranno essere scontati dalle generazioni che verranno.

Ma a quel punto sarà troppo tardi, perché il momento di agire per cambiare il futuro è ora, non quando l'ambiente sarà oltremodo compromesso o quando una nuova grande guerra sarà combattuta.

Ho già affermato che la strategia basata sulla decrescita e sullo sviluppo sostenibile non sarà attuata, pur rappresentando la migliore soluzione per risolvere i problemi della società.

Le motivazioni a supporto di questa mia convinzione sono diverse, ed alcune di esse sono già state anticipate. In sostanza, l'attuale livello di coscienza non è ancora sufficientemente elevato per compiere un simile passo.

Il sistema educativo e quello informativo concorrono a mantenere i popoli nel sonno della mente, mentre i membri delle élites intendono fare tutto il necessario per continuare a mantenere potere e ricchezza.

Ecco perché ritengo che il sistema continuerà ancora a crescere per un po', contro ogni ragionamento logico-razionale, contro ogni evidenza empirica, contro natura e contro il buon senso, anche se tutto ciò condurrà l'umanità alla rovina.

In questa seconda parte della trattazione, assumiamo che il modello economico non sarà modificato e cerchiamo di prevedere che cosa accadrà a questa disgraziata umanità.

Se si vuole continuare a crescere, ma si sono superati i limiti fisici dovuti alla finitezza del pianeta a tal punto da minacciare la nostra stessa sopravvivenza, è chiaro che, prima o poi, anche i potenti vorranno implementare una strategia per mettere una toppa a questo problema.

Siccome abbiamo ipotizzato che il paradigma economico non sarà rimesso in discussione, bisognerà volgere lo sguardo altrove.

Una prima soluzione che può venirci in mente, consiste in una riduzione della popolazione mondiale: meno individui, significa meno consumi e quindi una maggiore sostenibilità.

Data la situazione in cui versa l'ambiente, e visti i tempi che stringono, stiamo parlando di una rapida e drastica riduzione della popolazione, e non di una diminuzione lenta e controllata.

Questa semplice idea, però, spalanca le porte ad alcuni scenari a dir poco drammatici: non riesco a quantificare quanti individui bisognerebbe “eliminare” per rendere nuovamente il sistema sostenibile, ma certamente stiamo parlando di 1, 2 o 3 miliardi d'individui, o forse più.

Capite bene che un simile piano comporterebbe l'attuazione di un vero e proprio sterminio di massa, per forza di cose applicato con metodi illeciti, violenti ed assolutamente immorali, che causerebbero dolore, sofferenza ed ingiustizie indicibili.

Diverso sarebbe il caso di una diminuzione volontaria della popolazione attuata con la consapevolezza ed il consenso della popolazione.

Ad esempio, le donne potrebbero accettare, per un certo lasso di tempo, di mettere al mondo un numero di figli inferiore al tasso di sostituzione della nostra specie (stimato in circa 2,1 figli per donna) così da far diminuire la popolazione mondiale.

Questo metodo potrebbe essere attuato entro i limiti sanciti da una buona etica, in particolare senza uccidere nessuno, e senza causare dolore e sofferenza, ma avrebbe il “difetto” di essere “troppo” lento per risolvere di per sé il problema della sostenibilità, vista la situazione emergenziale in cui ci troviamo.

Una tale politica di controllo demografico, applicata in concomitanza di una decrescita dell'economia, contribuirebbe senz'altro a rendere più rapida e semplice la risoluzione delle criticità che l'umanità si troverà ad affrontare in ambito socio-economico-ambientale.

Ad esempio, l'adozione di un criterio razionale delle nascite potrebbe essere ragionevolmente utilizzato per stabilizzare la popolazione mondiale, perlomeno fin quando il conseguimento di un nuovo livello scientifico-tecnologico non renderebbe possibile un incremento di efficienza tale da assicurare in modo sostenibile un'esistenza dignitosa ad un maggior numero d'individui.

Quello che è assolutamente certo, è che non possiamo pensare di continuare a far crescere sia l'economia che il numero degli abitati della Terra, perché in un mondo finito anche il miglior sistema economico concepibile, foss'anche totalmente dedito all'efficienza ed alla minimizzazione dell'impatto ambientale, sarebbe per forza di cose messo in ginocchio da una continua crescita della popolazione.

Da qui segue la necessità di una complessiva pianificazione del numero delle nascite, in modo da rispettare i limiti della sostenibilità.

In un sistema in equilibrio, si tratterebbe di aumentare la popolazione solo quando possibile, magari a seguito di nuove scoperte scientifico-tecnologiche, e di mantenerla stazionaria negli altri casi.

Nulla di traumatico, come qualcuno potrebbe pensare, perché per quanto detto in precedenza, la condizione di stazionarietà della popolazione mondiale si ottiene richiedendo a tutte le donne di avere 2,1 figli in media.


Il nostro caso però è diverso: noi abbiamo già sforato grandemente i limiti della sostenibilità e non siamo disposti a modificare il sistema economico. Quindi, per rientrare all'interno dei parametri, dobbiamo per forza di cose ridurre drasticamente la popolazione.

Ora, qualunque individuo sano di mente scarterebbe immediatamente e senza neanche rifletterci su per più di un istante l'idea dello sterminio di massa, e magari cercherebbe d'implementare lo stesso una politica demografia razionale con metodi etici, democratici e volontari, pur sapendo che di per sé non sarebbe totalmente efficace.

Ma le élites hanno più e più volte dimostrato nel corso della Storia di essere incuranti delle condizioni delle masse e dell'altrui sofferenza, mettendo in atto genocidi di ogni genere, con la complicità d'individui totalmente privi di coscienza.

Purtroppo, anche oggi esistono sia delle élites di psicopatici prive di empatia, sia una massa d'individui privi di coscienza.

Per scongiurare i peggiori degli scenari, basterebbe che il livello di pensiero degli esseri umani si elevasse quel tanto che basta da abbracciare la non violenza, ma purtroppo così non è.

Inoltre, la moderna tecnologia sta fornendo alle élites una nuova possibilità: quella di disporre di mezzi da guerra automatici, come droni e soldati robot, dotati d'intelligenza artificiale (anche se forse in questo caso sarebbe più opportuno parlare di stupidità artificiale) programmati da individui, anch'essi privi di coscienza, per obbedire ciecamente alla volontà di qualche pazzo criminale.

E come chiunque sarà in grado di comprendere, tutto ciò non è affatto rassicurante.

Siccome la via dello sterminio della popolazione potrebbe rapidamente risolvere il problema della sostenibilità ambientale consentendo di mantenere in essere per un altro po' di tempo quel sistema che avvantaggia le élites, chi ci assicura che quando la situazione sarà prossima ad un punto di rottura queste ultime non sceglieranno di eliminare, ad esempio, qualche miliardo di poveri?

Nessuno, anzi dal punto di vista folle, scellerato e criminoso di chi oggi governa il mondo, questo genere di soluzione sarebbe certamente preferibile alla decrescita economica a parità di popolazione mondiale, perché così facendo la loro posizione sociale non solo non sarebbe alterata ma ne uscirebbe addirittura rafforzata.

Vorrei che fosse chiaro a tutti che da un eventuale sterminio di massa i potenti avrebbero soltanto da guadagnare, considerando anche il fatto che, grazie all'avvento delle automazioni, gli schiavi umani da utilizzare per produrre e fornire beni e servizi già non servono più come in passato ed in futuro serviranno sempre di meno.

Chi terrà a bada le nuove masse di disoccupati tecnologici socialmente “inutili” al modello economico capitalistico?

Se gli schiavi non servono più, le élites li vedranno soltanto come un grande “problema” da gestire e quindi tanto meglio procedere con la loro eliminazione.

Con la strategia dello sterminio, le élites risolverebbero in un sol colpo sia il problema della sostenibilità ambientale che quello dovuto ad una massa di esseri umani disoccupati che, per forza di cose, pretenderebbe (giustamente) di veder migliorare la loro condizione di vita redistribuendo la ricchezza dovuta all'accrescimento della produttività legata all'avvento delle automazioni.

E magari proprio quelle masse riuscirebbero a comprendere che se i mezzi di produzione fossero pubblici, invece che privati, potrebbero essere impiegati per il vantaggio di tutti, invece che per quello di un piccolo gruppo di parassiti.

Non sia mai: un simile scenario è assolutamente da evitare dal punto di vista del potere. Meglio sterminare i poveri, le persone “economicamente inutili”, i rivoltosi, chi comprende l'ordine delle cose e così via.

Capite quindi che, da un certo punto di vista, questo genere di argomentazioni sono del tutto razionali, pur nella loro insana follia.

Vedete, la scienza oggi mette a disposizione delle élites tante modalità per uccidere un gran numero di persone. Si può, ad esempio, creare appositamente una pandemia, ma da un punto di vista storico uno dei mezzi più utilizzati per uccidere esseri umani è senz'altro la guerra.

Morte, distruzione e redistribuzione dei rapporti di forza, e quindi della disponibilità delle risorse, sono le tipiche conseguenze dei conflitti armati.

Per quanto possa sembrare assurdo, ancora una volta tutte queste conseguenze sono positive dal punto di vista del potere.

I “vantaggi” derivanti dalla diminuzione della popolazione sono già stati discussi.

La distruzione, invece, può essere vista come un'ottima strategia per azzerare e rimettere in moto il sistema economico, aprendo così enormi opportunità di profitto, perché una volta terminato il conflitto, le popolazioni devono ricostruire e ricomprare praticamente tutto quello che avevano già.

Inoltre, i vincitori della guerra acquisiscono il controllo del territorio conquistato e, di conseguenza, possono scegliere come impiegare le nuove risorse resesi disponibili.

Quest'ultima evenienza ci fa comprendere il perché, qualora nessuna nazione fosse disposta a rinunciare di far crescere la propria economia, lo scenario di una grande guerra sarebbe altamente probabile.

È infatti oltremodo evidente che, in un mondo finito nel quale sono già stati ampiamente superati i limiti della sostenibilità, l'unico modo che si ha per continuare a far crescere la propria economia consiste nel sottrarre agli altri la possibilità di fare altrettanto.

Del resto, per alimentare la crescita in modo indefinito servono risorse in quantità illimitate, ma le risorse sono finite e quindi, prima o poi, non saranno più sufficienti per assecondare le volontà di tutti.

Immaginiamo, per un istante, di vivere in un mondo ideale, dove tutte le risorse disponibili sono state equamente suddivise tra i vari paesi del mondo in ragione della loro popolosità.

Se un paese vuole continuare ad accrescere la sua economia oltre i limiti consentiti da un'equa distribuzione delle risorse disponibili, dovrà fare in modo che altri paesi non sfruttino una parte della loro quota di risorse appropriandosene.

Ma sottrarre ad altri parte delle loro risorse, significa condannare il loro sistema economico ad un sottosviluppo, con conseguenze negative per le popolazioni di quei territori.

È quindi ragionevole supporre che le popolazioni di quei luoghi si oppongano duramente ad un simile scenario.

Ma i governati del primo paese intendono ad ogni costo continuare a perseguire la crescita della propria economia, pur non disponendo delle risorse per farlo.

Ed ecco che la guerra diviene il miglior strumento per conseguire i propri fini, ovvero per imporre agli altri con la forza la propria volontà contro l'altrui volontà.


Dinamiche del tutto simili sono valide anche per il discorso relativo alla sostenibilità ambientale.

Infatti, partendo da un mondo ideale dedito all'efficienza il cui sistema socio-economico è in perfetto equilibrio con l'ecosistema perché ogni paese ha un'impronta ecologica esattamente pari all'unità, l'unico modo che si avrebbe per evitare di superare il complessivo livello di sostenibilità volendo consentire ad un paese d'incrementare il proprio impatto ambientale, consisterebbe nel fare in modo che altri Stati fossero così virtuosi da ridurre la propria impronta ecologica portandola sotto l'unità, in modo da compensare gli eccessi di quel paese.

Ma per quale motivo i popoli di alcuni Stati dovrebbero impegnarsi e sacrificarsi oltre misura per compensare le inefficienze e le manchevolezze degli altri paesi?

Anche in tal caso, è evidente che se il paese indisciplinato volesse comunque sforare i parametri troverebbe l'opposizione degli altri Stati e, per proseguire con il suo obiettivo, dovrebbe imporre la propria volontà agli altri con l'uso della forza.

Si comprende quindi la stretta analogia tra gli scenari della gestione delle risorse e quelli relativi al controllo dell'impronta ecologica dei vai paesi del mondo.

Ovviamente, l'odierna situazione reale è assai più complicata ma le dinamiche di base possono essere ricondotte a quanto è stato esposto.

Ci sono paesi sovrasviluppati che hanno potuto diventare tali sottraendo risorse ad altri, e ci sono paesi in via di sviluppo che vorrebbero crescere ma per farlo avrebbero bisogno di appropriarsi di maggiori risorse di cui però non dispongono.

Alcuni Stati hanno indici d'impronta ecologica a dir poco scandalosi, e non si pongono neanche il problema di ridurre il loro impatto ambientale continuando invece a parlare di crescita, mentre altri hanno un impatto ambientale bassissimo, ma non perché siano rispettosi dell'ambiente o perché non intendano crescere, piuttosto a causa del loro forzoso sottosviluppo economico.

Nel complesso, chi per un motivo, chi per un altro, chi a ragione, chi a torto, tutti gli Stati vorrebbero far sviluppare le proprie economie, dimenticando che, così come la concepiamo oggi, la crescita economica porta con sé un incremento dell'impatto ambientale e del quantitativo di risorse da utilizzare, il tutto in un ecosistema sempre più compromesso ed in un mondo dalle risorse finite.

Ed ecco che le volontà delle nazioni entrano in contrasto tra loro. E non appena i potenti si renderanno conto che per salvare la loro pelle dovranno iniziare a salvaguardare seriamente l'ambiente, ai loro occhi la guerra apparirà come un'ottima soluzione.

Non solo la guerra consentirà all'una o all'altra fazione di accaparrarsi le risorse utili per i propri obiettivi di crescita economica, ma imporrà agli altri una brutale decrescita, sia della popolazione che dell'economia, a tutto vantaggio della sostenibilità ambientale.

Non solo la guerra sarà un'eclatante fonte di profitto, ma consentirà alle élites di mantenere in essere l'odierno sistema socio-economico, e con esso le loro posizioni di potere e di ricchezza.

Veniamo quindi all'ultimo punto della nostra analisi, quello relativo al collasso dell'ecosistema.

Quando si parla di “collasso” alcuni pensano che un giorno avverrà una sorta di crollo improvviso, come in una slavina.

In verità, la dinamica dell'ecosistema è così complessa che nessuno è in grado di prevedere con esattezza se, come e quando il collasso avverrà.

I teorici del crollo sostengono che, siccome l'ecosistema è regolato da fenomeni non-lineari, una volta che si sia raggiunta e superata una certa soglia di criticità, le dinamiche potrebbero cambiare in modo drastico, concretizzando in tempi rapidi degli effetti devastanti per la sopravvivenza dell'umanità.

In realtà, non è detto che ci sarà un “crollo”. Può darsi che gli effetti siano progressivi e graduali, ma questo non significa che le loro conseguenze non possano essere altrettanto letali.

Non so se conoscete il Principio della rana bollita...

Una rana nuota tranquilla in un pentolone colmo d'acqua fredda. Qualcuno accende un fuoco al di sotto di essa, ma la fiamma brucia lentamente.

Dopo un po' l'acqua è tiepida e la rana continua a nuotare in tutta tranquillità, provando addirittura piacere.

Piano piano, l'acqua continua a scaldarsi e ad evaporare. Ora, la temperatura è di poco superiore a quanto la rana avrebbe desiderato. Tuttavia l'animaletto continua a nuotare. Si stanca un po', ma non s'allarma.

Ora l'acqua è davvero troppo calda, tanto che la rana inizia ad agitarsi per uscire: il bordo della pentola però è troppo in alto per consentirle di fuggire, perché nel frattempo il livello dell'acqua è diminuito.

La rana finisce le energie e la temperatura continua a salire, fin quando l'animaletto muore bollito.

Questa storia chiarisce in modo intuitivo la potenziale pericolosità di una successione di piccoli cambiamenti lenti ed inesorabili.

Se la rana fosse caduta in un pentolone contenente acqua a 50 gradi centigradi, avrebbe reagito immediatamente e si sarebbe salvata con un gran balzo, invece, la gradualità ed il progressivo adattamento l'hanno condotta alla morte.

La morale che si può evincere da questa storia, è che bolliti o meno, a causa dell'inquinamento e del surriscaldamento globale, se non daremo una drastica sterzata alla direzione che abbiamo intrapreso, rischieremo di causare la nostra stessa estinzione, perché magari, quando ci renderemo veramente conto della gravità della situazione, le soluzioni a nostra disposizione non saranno sufficienti per risolvere in modo efficace i problemi.

Probabilmente qualcuno sopravviverà alla catastrofe e dalle ceneri di questa (in)civiltà rinascerà una Nuova Umanità, ma onestamente preferirei di gran lunga che ci si risvegliasse in tempo per scongiurare un simile scenario.

Tralasciando i discorsi legati all'inquinamento, per colpa del quale muoiono già oggi, ogni anno, diversi milioni d'individui, i soli effetti del surriscaldamento globale, se non opportunamente contrastati, saranno di per sé sufficienti a mettere in ginocchio l'umanità.

Ci sarà o no un motivo se il WWF arriva ad annunciare che «L’uomo sta distruggendo la vita sul pianeta»?

Io non riesco a comprendere come sia possibile che dopo simili dichiarazioni, invece di fermarci, acquisire consapevolezza e cambiare i propri comportamenti, la specie umana continui imperterrita come se niente fosse a fare esattamente quello che l'ha condotta a questa situazione, quando addirittura non s'impegna per incrementare i comportamenti dannosi!

Siamo tutti perfettamente consapevoli dei disastrosi effetti legati al consumo di fonti fossili, eppure stando a quanto dichiarato dalla banca d’affari americana Morgan Stanley, la domanda mondiale di petrolio nei prossimi anni è destinata a crescere con tassi ben maggiori rispetto ai trend storici.

E come ciliegina sulla torta dell'insostenibilità, nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà la quota di 9-10 miliardi, a seconda delle stime.

Questo, a mio avviso, significa essere completamente privi d'intelligenza. Noi siamo una forma di vita, e se l'umanità sta distruggendo la vita, significa che l'umanità rischia di distruggere pure se stessa.

Noi umani saremo gli ultimi a perire, perché abbiamo dimostrato di avere delle elevate capacità di adattamento, anche grazie alla nostra peculiare capacità di sviluppare tecnologia "avanzata".

Ma non bisogna dimenticare che, per ironia della sorte, è stato proprio un impiego scriteriato della tecnologia che ha contribuito a causare i nostri problemi.

In verità, non c'è da stupirsi: per impiegare in modo saggio le potenzialità della tecnologia, servirebbe un livello di coscienza estremamente elevato, una caratteristica che gli esseri umani hanno inequivocabilmente dimostrato di non possedere.

Ciò nonostante, in molti ripongono la propria fiducia rispetto alla “salvezza” dell'umanità dai disastri da essa stessa causati proprio nelle soluzioni che arriveranno dalla scienza.


Il punto cruciale da chiarire è cosa s'intende per “soluzioni”: un conto è vivere in un pianeta verde ed incontaminato ed un altro è sopravvivere, grazie alla tecnologia, in un mondo reso ostile ed inospitale.

Si ritorna sempre alla solita questione fondamentale ampiamente ignorata: le soluzioni proposte affrontano le cause del problema, oppure si limitano soltanto ad alleviare i sintomi?

I rimedi tecnologici che non risolvono le cause mascherano gli effetti ma non risolvono il problema, alimentando così la pericolosa convinzione che si possa andare avanti esattamente come è stato fatto fin ora, perché tanto anche in futuro ci sarà sempre una qualche soluzione tecnologica che ci salverà, quando in realtà non è affatto detto che sia così.

Ed ecco che l'umanità ignora gli effetti del surriscaldamento globale perché è intimamente convinta che, prima o poi, arriverà qualche salvatore che rimetterà tutto a posto, senza che nessuno modifichi il proprio stile di vita, neanche di una virgola.

Io credo che non ci sia un atteggiamento più infantile ed irresponsabile: agendo in questo modo, l'umanità correrà il serio rischio di fare la fine della rana bollita.

Eppure, questo genere di false soluzioni, sono proprio quelle preferite dal potere.

Il motivo è evidente: le vere soluzioni sono già state esposte all'interno di questo scritto, ma incidentalmente cozzano con gli obiettivi delle élites, mentre il limitarsi a trattare i sintomi consente all'odierno sistema socio-economico di mantenersi in essere esattamente uguale a se stesso nelle sue dinamiche di base ancora per un po' di tempo.

Non stupisce affatto che il direttore della CIA John O. Brennan abbia dichiarato ufficialmente che la geo-ingegneria potrebbe aiutare ad invertire il surriscaldamento globale. Cito testualmente, ma rimando alle fonti riportate nelle note per verificare di persona quanto dichiarato:

«Un’idea che mi ha personalmente attratto è l’iniezione di aerosol nella stratosfera, la cosiddetta SAI (Stratospheric Aerosol Injection, ndr). Si tratta d'inseminare la stratosfera di particelle che possono aiutare a riflettere il calore del Sole, così come fanno, più o meno, le eruzioni vulcaniche. Un progetto SAI potrebbe limitare l’aumento della temperatura globale, riducendo alcuni rischi connessi con le temperature più elevate, e fornendo all’economia mondiale ulteriore tempo per la transizione dai combustibili fossili. Questo processo è anche relativamente poco costoso. Il National Research Council stima che un programma SAI pienamente operativo costerebbe circa 10 miliardi di dollari all’anno».

In parole povere, invece di risolvere il problema causato dalle fonti fossili accelerando il passaggio alle fonti pulite e rinnovabili e minimizzando i consumi energetici, secondo la CIA bisognerebbe implementare un programma di geo-ingegneria del tutto simile a quello denunciato dai teorici del complotto delle scie chimiche, rischiando così d'inquinare l'aria con delle non ben precisate “particelle” riflettenti e di squilibrare le naturali e assai complesse dinamiche dell'ecosistema.

Questo è un ottimo esempio di come avvalendosi delle “geniali” trovate della (falsa) scienza, si finge di risolvere un problema causandone addirittura degli altri, pur di difendere gli interessi di alcune multinazionali.

Capite quindi che i potenti sono disposti a tutto per continuare a mantenere in essere l'attuale sistema, perfino ad irrorare i cieli di tutto il mondo con delle sostanze chimiche.

Bisogna inoltre tenere sempre in considerazione che il potere non favorirà mai l'attuazione di tutte quelle soluzioni che, per qual si voglia ragione, non siano concordi ai loro interessi. E per quanto fin qui sostenuto, purtroppo, ciò esclude dal dominio delle possibilità anche le vere soluzioni già esposte.

È assai arduo trarre delle conclusioni dopo una simile analisi, pur con tutte le sue inevitabili semplificazioni.

In questo periodo della mia esistenza, a causa di quanto ho potuto direttamente osservare, sono assai sfiduciato rispetto all'eventualità di un generale risveglio delle coscienze.

Il tempo in cui i popoli della terra intraprenderanno la via della consapevolezza illuminando il mondo intero con un radioso sentimento d'amore, è ancora di là da venire.

Pertanto, mi sento di escludere una soluzione collettiva che muova volontariamente dal basso, nonostante io sia intimamente convinto che questo scenario rappresenti il migliore tra quelli possibili.

Temo che le dinamiche sociali saranno ancora una volta gestite dall'alto e che i comportamenti delle folle saranno eterodiretti a suon di ricatti economici, condizionamenti mentali e con l'ausilio della forza, quando necessario.

Di certo, l'attuazione delle vere soluzioni sarà rimandata, causando un generale peggioramento sia delle complessive condizioni socio-economiche che di quelle ambientali.

Probabilmente, si verificherà una mescolanza degli scenari fin qui illustrati.

Le nazioni vorranno crescere ed i loro interessi entreranno in forte contrasto. La popolazione aumenterà. Nel mentre, l'impronta ecologica peggiorerà e le risorse cominceranno a scarseggiare.

Anche l'inquinamento peggiorerà, di pari passo con le condizioni di salute psico-fisica della popolazione. I ghiacciai si scioglieranno, i livelli dei mari si innalzeranno, gli oceani si acidificheranno.

L'aria, l'acqua e la terra si contamineranno ancor più di quanto non lo siano già, avvelenando il cibo di tutti i viventi. Molte specie di animali si estingueranno.

La scarsità idrica sarà un serio problema da risolvere. Ci saranno grandi migrazioni, a causa delle guerre, della povertà e degli effetti dovuti ai cambiamenti climatici.

Il lavoro sarà sempre più automatizzato e la ricchezza si concentrerà, perché la tecnologia non sarà impiegata nell'interesse generale.

In molti rimarranno disoccupati e un'ampia fetta della popolazione sperimenterà la miseria più nera lavorando in modo saltuario e precario.
La criminalità aumenterà, di pari passo con il peggioramento delle condizioni sociali.


Per mantenere l'ordine, in tutta la sua distopica follia, il potere metterà in atto un meccanismo di controllo totale nei confronti della popolazione.

La perdita della libertà individuale di azione e di pensiero sarà imposta in nome della giustizia e della sicurezza. Tutti i comportamenti saranno monitorati, analizzati e giudicati. Il controllo sull'informazione sarà totale e verrà istituita la censura.

Gli individui che devieranno dalla “normalità” definita dal potere verranno prontamente individuati, reindirizzati, puniti, arrestati o uccisi, a seconda dei casi.

Molti esseri umani moriranno, per fame e malattie, sotto le bombe dei conflitti armati o a causa dei programmi di sterminio emanati dalle élites.

L'odio, la violenza e la follia cresceranno inseme all'incoscienza, causando dolore e sofferenza. L'ecosistema sarà compromesso a tal punto da mettere in dubbio la sopravvivenza dell'umanità.

Questo è quanto potrebbe accadere se non abbandoneremo la via dell'incoscienza per intraprendere la via della consapevolezza.

Alcuni si sono già risvegliati. E molti altri si stanno risvegliando: siamo ancora in tempo per scegliere il nostro futuro.


Mirco Mariucci

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