martedì 2 ottobre 2018

Brescia 6/10 – di Capitalismo si muore: Fabian Tomasi open gallery

fabian tomasi murales

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

#Antispecismo è #Antifascismo... e viceversa

Non è un'opinione, ma un dato di fatto, imprescindibile e indiscutibile, troppo spesso tralasciato, dimenticato o, volutamente, ignorato a favore delle innumerevoli derive che la lotta di liberazione animale (ovvero di ogni vivente) ha subito in questi anni, tra mercificazione e infiltrazioni fasciste, fenomeni che hanno contribuito a svuotare l'Antispecismo del suo più radicale e profondo aspetto politico.
Se di #Liberazione si parla, questa non potrà essere raggiunta contrastando in modo settoriale le varie forme di schiavitù, discriminazione e sfruttamento, ma lottando al fine di sgretolare la cultura del dominio in ogni sua espressione.

Per approfondire:
-Infiltrazioni e collaborazioni ambigue: http://earthriot.altervista.org/blog/5263-2/
-Mercificazione e svendita degli ideali:


Brescia 6/10 – di Capitalismo si muore: Fabian Tomasi open gallery

Una condizione di libertà fittizia, servita dal sistema un tanto al chilo quanto basta per darci l’illusione di poter esprimere delle scelte.
La consapevolezza di vivere in regime di monopolio, vittime, ma a nostra volta fautori attiv* del sistema di schiavitù vigente, rappresenta forse il primo passo sulla strada che conduce alla Liberazione di ogni vivente.
Tra le nocività che riducono la Terra stessa a un laboratorio di sperimentazione a cielo aperto del capitalismo, un ruolo centrale lo riveste l’industria agrochimica.
Quel fenomeno definito agrobusiness, oggi tra le prime cause del cambiamento climatico in stretta correlazione con l’industria della carne e dei derivati animali, di cui Monsanto è stata pioniera inquinando il suolo attraverso la diffusione di sementi geneticamente modificate.
Un processo volto a subordinare l’agricoltura mondiale al controllo di una manciata di multinazionali che, allo stato attuale, gestiscono il 60% del mercato globale dei semi tradizionali, il 100% di quello dei semi ogm e il 70% del settore agro-chimico (pesticidi e simili).
Si tratta delle tre macro-potenze generatesi nel 2016 dalla fusione tra le principali lobby del settore: Bayer-Monsanto, Syngenta-ChemChine, DuPont-Dow Chemical, con Basf e Cargill che si spartiscono gli avanzi.
Multinazionali non più sconosciute, che non compaiono sugli scaffali di supermercati e discount, ma il cui operato basato su accaparramento delle terra (land-grabbing), monopolio del mercato dei semi e relativa diffusione di pesticidi specifici, determina come e cosa viene prodotto e commercializzato.
Venerdì 7 settembre 2018, Fabian Tomasi, attivista contro l’industria agrotossica che, affetto da una grave forma di polineuropatia tossica contratta a causa dell’esposizione a pesticidi (glifosato in testa), ha spezzato il silenzio usando il proprio corpo per mostrare al mondo i danni provocati da queste sostanze, è morto.
Il ragazzo, ex fumigador di Entre Rios (Argentina), grazie al suo coraggio ha permesso di puntare il riflettore su quella che è la condizione Sud Americana, una delle terre maggiormente colonizzate dalla qualità di soia gmo Roundup Ready prodotta da Monsanto e la conseguente diffusione di glifosato: una vetrina del destino che spetta al resto del mondo se non si pone un freno all’operato di queste multinazionali.

Non sono aziende, sono operatori di morte.
Quando me ne sarò andato, continuate a difendere la verità.

A tale scopo vi invitiamo a partecipare ad un primo appuntamento dal titolo “di Capitalismo si muore: Fabian Tomasi open gallery” in programma presso il Circolo Anarchico Bonometti di Brescia (via Borgondio 6)

Sabato 6 ottobre, dalle ore 19, mostra del reportage Il costo umano dei pesticidi (realizzato da Pablo Ernesto Piovano nel 2015), apericena benefit, materiale informativo e dibattito sul tema dell’agrobusiness.


RWM, Ghedi, Camp Darby: weapons welcome!
Progetto ampliamento fabbrica RWM Domusnovas

La politica, quella partitica, italiana dell’accoglienza spiegata in tre mosse.
I progetti che prevedono l’ampliamento di tre punti strategici in ambito di mercato degli armamenti sono l’emblema di come lo stato offra grande spazio al business della guerra, respingendo al contempo le persone che fuggono da quei conflitti alimentati e supportati dalla stessa industria italiana del settore.
Chiarito il ruolo centrale di Leonardo nei principali conflitti in Medio Oriente e non solo, il traffico di armamenti prodotti dall’ex Finmeccanica e da collaboratori di oltre oceano (Lockheed Martinsu tutte) necessita dell’appoggio di basi per lo stoccaggio, l’assemblaggio e la rivendita degli stessi.
Allo scopo di “far fronte alle sfide del mercato internazionale e consolidare, così, il ruolo strategico della RWM Italia SpA”, il Gruppo Rheinmetall, la multinazionale tedesca che insieme a Nobel Sport e Alsetex si è aggiudicata anche il bando per la fornitura in Francia di veicoli militari anti-zadistes, ha approvato i lavori di ampliamento dello stabilimento di Domusnovas, in Sardegna.
Stabilimento in provincia di Iglesias nel quale, già da anni, vengono prodotte le bombe Mk80 vendute all’Arabia Saudita e utilizzate nel conflitto in Yemen.
Grazie all’assegnazione di un bando di gara rilasciato dal ministero della difesa, anche l’aereo base militare di Ghedi di prepara ad un opera di ampliamento, in questo caso funzionale ad ospitare i 90 F-35 assegnati all’Italia dal Pentagono il 25 aprile 2018, mentre si celebrava la Liberazione dal nazifascismo.
Il progetto prevede la realizzazione di una nuova palazzina comando, un hangar per le manutenzioni e piccoli hangar per ospitare i nuovi F35, destinati a sostituire i vecchi Tornado.
Alle riqualifiche strutturali dello stabilimento di Domusnovas e della base di Ghedi, si aggiunge l’ampliamento di Camp Darby (in provincia di Pisa) il cui progetto non potrebbe esporre in modo più chiaro la stretta correlazione tra cultura della guerra e devastazione della Terra, allora scopo di limitare o azzerare la libertà di movimento e dell’esistenza stessa.
Ne è un esempio la barriera costruita dallo stato turco sul confine tra Siria e Turchia: un muro di 764 chilometri costato l’abbattimento di centinaia di ulivi.
Per far posto alle nuove infrastrutture richieste dal Pentagono, attraverso il progetto presentato dal subordinato ministero della difesa e approvato Comipar (comissione mista governo americano e italiano), l’ampliamento di Camp Darby prevede l’abbattimento di 937 alberi tra cui pini domestici, farnie, aceri, lecci, biancospino e olmi, per ragioni di sicurezza nazionale.
Il progetto, ritenuto strategico per la salute delle persone e la sicurezza pubblica, e il conseguente abbattimento degli alberi è funzionale alla costruzione di una linea ferroviaria di 2 chilometri e mezzo e la realizzazione di un ponte girevole sul Canale dei Navicelli, il tutto dedicato al trasporto di container, carichi di armi e munizioni.
Il Pentagono, avviando con estrema puntualità la sua personale campagna di greenwashing, giustifica il progetto promettendo la ri-piantumazione di 5.727 alberi, la demolizione e bonifica di alcune aree dismesse, come se la Terra fosse un Lego da smontare e rimontare a secondo degli interessi economici del momento.

Fonte: Earth Riot

Nessun commento: