mercoledì 13 febbraio 2019

Sono anarchico, dunque antispecista



La lunga linea del potere

Anche Maria Soledad Rosas ha vissuto all'asilo occupato di torino, nel 1997. Si occupava di benefit per i compagni e le compagne arrestate. Si interessava di ecologia, lotta al capitalismo, studiava le multinazionali e non mangiava carne. All'epoca ci si chiamava animalisti radicali. Erano parole importanti, oggi non hanno più valore ma all'epoca avevano un significato preciso. -Animalista radicale- era un termine internazionale e intersezionale, perchè guardava a tutte le lotte contro ogni oppressione. L'antispecismo era nella pelle in quegli anni ma ancora non se ne parlava in italia. Ed era un'anarchica. Forse una delle ultime rivoluzionarie del secolo scorso. Le donne anarchiche nel 900 hanno dato un fondamentale contributo (in azioni e purtroppo anche in perdite di vite) al movimento libertario internazionale e Sole, argentina, seguiva quelle orme meravigliose che partivano da Emma Goldman, Lucy Parson, Virginia Bolten fino a Dora Marsden, Etta Federn, Virgilia D’Andrea, Germaine Berton, Luce Fabbri, Maria Luisa Berneri. E tante altre.

I centri sociali non sono "covi di terroristi" come vogliono farci credere ma luoghi di condivisione, di solidarietà, di mutuo appoggio. Organizzano giornate per difendere dal razzismo i migranti, fanno teatro, danza, fotografia, insegnano le lingue, danno aiuto ai senzatetto. Fanno insomma la vera politica solidale dal basso, libertaria non partitica. E questo approccio non piace e non è mai piaciuto perchè la libertà, la fantasia, la sorellanza e fratellanza fanno paura. "La fantasia mina il potere" diceva un giovane attore di teatro americano. Il Più importante teatro alternativo al mondo, il "Living Theatre" (tanto amato dai radical-borghesi che oggi gridano all'impiccagione degli occupanti dell'asilo) è stato fondato negli anni 40 del secolo scorso in un teatro occupato di new york. Poveretti, se lo sapessero butterebbero via i loro poster e libri sul "Living". Nel ventennio fascista bruciavano e sgomberavano le "Società di mutuo soccorso" e le "Case del popolo" (i centri sociali dell'epoca) e sapete quali erano le motivazioni che il potere dispensava all'opinione pubblica?

"Sono covi di sovversivi e banditi"

Esattamente come oggi.

Il secolo di lotta del 900 è finito con Sole. "Suicidata" dal potere a 24 anni.

Oggi avrebbe avuto 45 anni e sarebbe stata, certamente, al fianco dell'Asilo.

Quando morì ripensai a quella foto che aveva fatto il giro del mondo, in cui lei appena uscita dall'obitorio, dove su un letto di acciaio era sdraiato il suo compagno di vita, alzò al cielo le dita medie circondata dalla polizia. Aveva appena salutato il suo amore ma nonostante questo urlava la sua rabbia. Quella foto ancora oggi mi crea dolore e orgoglio nello stesso momento. 
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A Sole

Il vento urla la nostra rabbia
Sole, creatura di montagna
fino alla fine di ogni gabbia
corpo reietto 
ucciso in battaglia

I giornali argentini scrissero:
"principessa dei matti"
"l'idealista della fine del secolo"
ma eri solo guerriera 
mai scesa a patti

Tu, argentina dal coraggio raro
tu, libertà allo stato brado
Sole
niente altro
un bacio lontano



Sono anarchico, dunque antispecista

Ho già avuto modo di parlare del rapporto tra anarchismo e antispecismo (vedi “Anarchismo e antispecismo: un nesso inscindibile” in A-Rivista Anarchica, anno 45 n. 403, dicembre 2015 gennaio 2016), e con quest’altro intervento vorrei cercare di approfondire maggiormente la questione. Innanzitutto va detto che non si vuole in alcun modo andare a riprendere le teorie e gli scritti dei pensatori anarchici che, per quanto importanti e fondamentali essi siano, non sono in questo ambito di irrinunciabile menzione. Voglio dire che la questione antispecista non deve andare a cercare legittimazione attraverso ciò che i filosofi libertari hanno scritto e diffuso ma, a prescindere dalle loro teorie, la corrente antispecista deve rappresentare una nuova visione della società libertaria per cui si lotta, e una nuova pratica del quotidiano.
In ciò che ho già avuto modo di scrivere, affermo che seppur non voglio ricoprire il ruolo di giudice che sentenzia chi è l’anarchico e l’anarchica, personalmente ritengo che, secondo il mio modo di intendere la teoria libertaria, l’antispecismo ne è una componente non solo importante, ma necessaria e imprescindibile. Ed è proprio da qui che vorrei ripartire. Anarchismo e antispecismo, ad oggi, rappresentano due teorie diverse, seppur con basi sottostanti comuni e a volte indistinguibili. Ciò che differenzia la prima teoria dalla seconda è il fine ultimo: se l’anarchismo classico si limita a prevedere la libertà, intendendo questa parola nell’accezione più estensiva possibile, e quindi la libertà dal dominio e dalle gerarchie (politico-sociali-economiche), solo in riferimento all’emancipazione umana, l’antispecismo intende estendere quella stessa libertà anche nei confronti di tutte le altre specie animali di qualsiasi appartenenza, liberando dunque i rapporti sociali, intra e interspecifici, dalle maglie del nesso disposizione-subordinazione.
A questo punto i quesiti sono due: l’antispecismo è una parte necessaria all’anarchismo, oppure restano due teorie seppur simili, comunque distinte? Di conseguenza, sono anarchico e quindi antispecista?
In quanto alla prima domanda, anche se in riferimento a me stesso, ho in precedenza già risposto. A tal proposito, senza volere irritare alcuno, credo che l’antispecismo rappresenti una componente imprescindibile dell’anarchismo e, dunque, quando si parla di anarchismo non dovrebbe specificarsi che si vuole estendere la libertà per cui si lotta anche agli animali non umani ma, al contrario, dovrebbe risultare un qualcosa di ovvio che non necessita di un distinto richiamo. Risulta infatti lapalissiano constatare che disporre della vita di animali, per qualsiasi fine umano questo avvenga (ricerca scientifica, nutrizione, cosmetica, divertimento, sport), contribuisce a costruire quella società verticistica e padronale contro cui l’anarchismo combatte. E altrettanto indiscutibile è la constatazione che l’atto di disporre della vita di animali, oltre a non essere in alcun modo necessaria sotto qualsiasi punto di vista, significa provocare sofferenza e privare della libertà, che noi anarchici e anarchiche invochiamo per gli umani, a tanti altri esseri animali solo ed esclusivamente sulla base di una diversa appartenenza di genere, tanto che anche dal punto di vista dell’anarchismo classico la domanda a cui bisognerebbe rispondere non è perché io, anarchico, sono antispecista, ma perché tu, anarchico, non lo sei. Risulta evidente pertanto che l’estensione dell’idea di libertà anche agli animali non umani rappresenta un’evoluzione dell’idea di società libertaria che vogliamo costruire, e un allargamento delle prospettive future e dell’agire presente e quotidiano rispetto ai pensatori dell’anarchismo classico. Infatti, seppur con qualche eccezione, è innegabile che agli albori dell’anarchismo il pensiero si sia concentrato quasi esclusivamente sulla liberazione degli umani, fondando una corrente che seppur condivisibile, si è costruita su basi profondamente antropocentriche e speciste (come qualsiasi teoria non antispecista d’altronde). A ben guardare, la sola considerazione che siano gli umani a decidere se allargare o meno la libertà all’autodeterminazione, alla libertà soggettiva, al riconoscimento delle prerogative individuali e sociali dei non umani e dunque se liberare i rapporti ecosistemici dall’oppressione e dalla dominazione umano-specista, evidenzia come tutte le dinamiche siano eminentemente costruite sulla gerarchia e il potere dell’umano su tutto il resto. Infatti, se sono io a decidere se concederti la libertà, significa che sono io a detenere il potere di decidere sulla tua vita. Questo si traduce in dominio, si tratta infatti di nulla di più di un puro e assoluto dominio, i cui dominanti si autolegittimano ad esserlo: niente di diverso dalle varie gerarchie che le teorie anarchiche cercano di distruggere. In conclusione, rispetto al primo quesito, la risposta dovrebbe essere positiva: l’anarchismo non dovrebbe prescindere dall’antispecismo se davvero si intende liberare totalmente le società dal dominio e dal potere padronale.
Per quanto riguarda la seconda domanda, ovvero se sono anarchico e quindi antispecista, voglio partire dal presupposto che si può essere antispecisti ma non anarchici, ma anche anarchici senza essere antispecisti, ma con delle precisazioni. Se è indubbia l’esistenza di vegani etici, ossia di coloro che sono tali in quanto antispecisti (non si vuole dare in alcun modo credito ai vegani per motivi salutistici, ovvero a coloro che aderiscono a quella corrente che può essere chiamata veganspecismo), ma che comunque non riconoscono le basi dell’anarchismo come praticabili e valide, è altrettanto evidente che antispecista non è sinonimo di anarchico. Non mi riferisco alle destre xenofobe e fasciste che da più o meno un decennio cercano di impadronirsi di un’idea di profonda libertà stuprando l’accezione e le radici dell’antispecismo, ma di quelle persone antirazziste, antisessiste e antifasciste che si riconoscono nella liberazione animale ma non nell’anarchismo, o che comunque non l’hanno mai dichiarato. Penso ad esempio a Henry Spira, Gary Francione, Alex Hershaft, Zoe Weil ecc. che, con le dovute e necessarie differenziazioni rispetto all’azione diretta antispecista, si battono per la liberazione animale: non si parla di quel protezionismo cinofilo che non ha nulla a che fare con l’antispecismo, ma di un vero e proprio attivismo (1).
Va comunque sottolineato che per quanto l’antispecismo sia una corrente politica, filosofica e culturale relativamente “nuova”, e come tale è in continua formazione, risultano già esserci delle componenti imprescindibili, come ad esempio il tratto liberazionista, rifiutando invece quello abolizionista. A tal proposito, ad esempio, il summenzionato e più conosciuto Gary Francione è dichiaratamente abolizionista. Pertanto va tenuto conto del fatto che l’antispecismo non si batte attraverso la sensibilizzazione normativa e/o istituzionale per la rettifica o l’abolizione di una determinata norma, ma per la liberazione totale la quale, inevitabilmente, comprende anche quella animale, negando qualsiasi legittimazione all’intervento normativo come forma di lotta essendo la produzione legislativa essa stessa una struttura del dominio che si vuole abbattere.

Ugualmente, però, non può dirsi che tutti gli anarchici e le anarchiche aderiscano all’antispecismo ma, anzi, una piccola parte di essi lo fa. Come prima anticipato, a parer mio, va assolutamente fatta una precisazione, distinguendo tra anarchismo antropocentrista, di chiaro stampo specista, e anarchismo antispecista il quale dovrebbe semplicemente essere riconosciuto come anarchismo. Senza volere suscitare la rabbia di alcuno, in linea con la mia modesta idea di anarchismo, sarebbe quello che considero anarchismo antropocentrista, ossia che considera l’umano come essere superiore rispetto a tutti gli altri – va da sé infatti che disporre della vita degli animali non umani mi pone coscientemente o incoscientemente in una posizione di superiorità – a necessitare di specifica distinzione, considerando l’anarchismo come già portatore di interessi antispecisti. In effetti, posto che la legittimazione dello specismo si basa solo ed esclusivamente sulla diversa appartenenza, ogni anarchico inorridirebbe dinanzi ad una teoria di anarchismo nazionalista (che tra l’altro già esiste), ma non al cospetto di un anarchismo specista (inoltre, come si evince, in questo caso si specifica che si tratta di un “anarchismo” nazionalista). Cos’è che non legittima il primo “anarchismo” ma il secondo sì? Possiamo quindi considerare anarchia una qualche forma di nazionalismo, ossia di tante società “libertarie” costituite attraverso l’unità nazionale e che si dividono in comunità per così dire razziali, cioè di un anarchismo valido solo tra chi condivide la stessa identità nazionale? C’è chi sostiene di sì, i fautori del cosiddetto nazional-anarchismo appunto. Attenzione perché il confine è labile: se è valido l’anarchismo specista, ossia di una società libertaria che non accetta gerarchizzazioni e domini, ma valida solo tra gli umani, perché non considerare come valide anche tutte le altre differenze che costruiscono, ad esempio, il nazional-anarchismo? Chi può stabilire che il dominio umano su tutti gli altri animali non umani possa comunque realizzare un anarchismo reale, puro, autentico, a differenza di quel sedicente anarchismo che nasce dal dominio di classe, d’identità culturale e di provenienza? Va chiarito che personalmente non ho nulla da condividere con il nazional-anarchismo (anzi, non lo reputo in alcun modo anarchismo), e che sicuramente ritengo possibile la costruzione un percorso politico-sociale con gli anarchici non antispecisti ritenendole persone molto vicine a me e con le quali si può dialogare, ma d’altro canto credo che per costruire una società libertaria non si possa in alcun modo prescindere dall’antispecismo. In definitiva, guardando al mio personale vivere, per rispondere alla seconda domanda, ritengo di essere anarchico e quindi antispecista.
Nicholas Tomeo

NOTE
1- Va comunque sottolineato che per quanto l’antispecismo sia una corrente politica, filosofica e culturale relativamente “nuova”, e come tale è in continua formazione, risultano già esserci delle componenti
imprescindibili, come ad esempio il tratto liberazionista, rifiutando invece quello abolizionista. A tal proposito, ad esempio, il summenzionato e più conosciuto Gary Francione è dichiaratamente abolizionista.
Pertanto va tenuto conto del fatto che l’antispecismo non si batte attraverso la sensibilizzazione normativa e/o istituzionale per la rettifica o l’abolizione di una determinata
norma, ma per la liberazione totale la quale, inevitabilmente, comprende anche quella animale, negando qualsiasi legittimazione all’intervento normativo come forma di lotta essendo la produzione legislativa essa
stessa una struttura del dominio che si vuole abbattere.



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"❌Facciamo il primo passo fuori dal cerchio dell’oppressione: lottiamo, quindi siamo!

L'oppressore non intende ciò che il suo oppresso dice come un linguaggio, ma come un rumore. Né ascolta i discorsi o le grida di coloro che co-resistono accanto agli oppressi.
Nulla di sorprendente ... Questa è la definizione stessa di oppressione!
Quindi è inutile porsi come vittime.. Quando l'oppresso (e si suppone che lo aiuti a difendersi) si rende conto di questo, tira fuori i coltelli, i denti o gli artigli.
E’ lì capiamo che c'è qualcosa di sbagliato. Non prima.
Il coltello o l'uso di una violenza difensiva, non importa in quale forma, è l'unico modo per definirsi oppressi. L'unica comunicazione udibile.


Questo è il primo passo fuori dal cerchio ed è assolutamente necessario.

Sfortunatamente i gesti difensivi degli oppressi sono negati, resi invisibili e repressi con tale severità che ogni rivolta sembra impossibile.
Quindi “armare” gli oppressi con i nostri corpi, catene o qualsiasi altra arma "impropria", che si tratti di pavimenti che si rompono, o piedi di porco che aprono, o forche e rastrelli che preparano territori di accoglienza, è un gesto eminentemente rivoluzionario.
Essere consapevoli della guerra che è lì, agire in modo strategico, presuppone di comprenderla, di cogliere i rapporti di potere che la configurano e le polarità che la determinano.

Il vero obiettivo per i rivoluzionari è far crescere le forze viventi, costruire una forza rivoluzionaria per creare finalmente una situazione rivoluzionaria, e qualsiasi azione diretta difensiva vi contribuisce.

Ai nostri compagni."

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