“Gli animali sono creature complete e finite, dotate di un’estensione dei sensi che noi abbiamo perso, o non abbiamo mai posseduto, e che agiscono in ottemperanza a voci che noi non udremo mai. Non sono per noi dei fratelli inferiori, non sono degli schiavi. Appartengono ad altri gruppi viventi, presi, insieme a noi, nella rete della vita e del tempo. Sono nostri compagni di prigionia nello splendore e nel travaglio di questa terra.”
– Henry Beston
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di Franco Libero Manco
Spesso considerarsi onnivori è solo il tentativo di giustificare la propensione a non rinunciare alla bistecca. L’onnivorismo umano è un’invenzione dell’uomo, un’insana abitudine contratta per estreme necessità di sopravvivenza, non per disposizione naturale.
Se per onnivorismo si intende mangiare di tutto, tutte le specie animali possono essere considerate onnivore, dal momento che tutte, in periodi di carenza, e per brevi periodi, possono mangiare tutto ciò che è per loro più o meno commestibile. Ma per il carnivoro la carne resta il suo cibo elettivo, l’erba per l’erbivoro e la frutta per il frugivoro. Se il carnivoro si nutrisse costantemente, o per lunghi periodi, da onnivoro ne subirebbe le conseguenze; la stessa cosa succederebbe agli erbivori e ai frugivori, cosa invece adottata dall’essere umano, e per questo è soggetto alle molte malattie che da sempre si trova a combattere. In sostanza, anche per gli animali onnivori la carne è solo un cibo occasionale, non abituale.
La paleontologia, gli studi di anatomia comparata, l’istintologia, l’embriologia, la biologia ecc. affermano che il corpo umano è un corpo da frugivoro, come le scimmie antropomorfe che hanno in comune con noi il 98% del patrimonio genetico.
Che cosa abbiamo noi umani in comune con gli animali considerati onnivori, come l’orso, il maiale, gli uccelli, le formiche? Se fossimo onnivori la natura ci avrebbe fornito gli strumenti anatomici necessari a procurarci la carne come cibo, cioè la necessaria velocità a rincorrere la preda, l’insensibilità a squartarla, a divorarla interamente e ancora palpitante, comprese le interiora, le ossa, le cartilagini, la pelle; ci avrebbe fornito di artigli per afferrarla, denti secodonti adatti a lacerare la carne, lingua a raspa utile a lambire il sangue, potenti acidi nello stomaco per disintegrare le ossa, la presenza dell’enzima uricasi per neutralizzare l’acido urico, l’intestino corto, liscio e adatto ad espellere rapidamente la carne in rapida putrefazione. Strumenti che non possiede l’essere umano. Tra l’altro, il carnivoro mangia l’animale intero con ossa, cartilagini, pelle, interiora ecc. cosa che non fa l’essere umano.
Gli animali che mangiano la carne hanno intestini circa 3-4 volte la lunghezza loro tronco, negli esseri umani gli intestini sono lunghi 8-10 volte la lunghezza del tronco, e questo causa permanenza della carne che causa putrefazione con formazione di istamina, putrescina, cadaverina, indolo, scatolo ecc.: sostanze che intossicano l’organismo e avvelenano il sangue. Dall’intestino intossicato infatti partono gran parte delle malattie umane.
Per capire qual’è il cibo adatto alla nostra specie occorre far riferimento alla “macchina” umana, alla sua struttura anatomica e fisiologica e considerare che se gli animali più vicini a noi come le scimmie antropomorfe pur essendo dotate di canini potenti e ben sviluppati sono fondamentalmente fruttariani, e che solo occasionalmente si nutrono anche di insetti o altri prodotti di derivazione animale, tanto più gli esseri umani sprovvisti di qualunque strumento naturale adatto a lacerare la carne dovrebbero convincersi che la natura non aveva previsto che l’uomo si nutrisse di carne. E’ la conformazione fisica dell’organismo, gli organi interni, gli enzimi, gli ormoni, i succhi gastrici, l’acidità del sangue ecc. che stabilisce a quale categoria appartiene un animale. Una gazzella, una farfalla, un coniglio… non hanno armi naturali d’offesa; questo dimostra che non è nella loro natura esprimersi in modo violento e lesivo, come dovrebbe essere per l’uomo.
Ma più che considerare la specie occorre far riferimento alla nostra coscienza, al buon senso, all’intelligenza positiva. Anche se fossimo onnivori l’evoluzione ci dice che un tipo di alimento, adottato alle origini dei tempi, può non essere valido per sempre, può non essere adatto alle generazioni di milioni di anni dopo. Diversamente non ci sarebbe evoluzione. A quale periodo della nostra evoluzione dovremmo far riferimento? Ai Lemuri, al Pitecantropo, all’Australopiteco, all’Homo Erectus o al Sapiens Sapiens? L’alimentazione muta con l’evoluzione contestualmente al mutare della morfologia della specie e con essa le esigenze biochimiche, nutrizionali, cognitive, emotive, spirituali. Il cane per esempio, da puro carnivoro alle origini, oggi è a tutti gli effetti un animale onnivoro, molto spesso vegetariano se non addirittura vegano.
Come può l’alimentazione dell’uomo delle caverne essere adatta all’uomo attuale? C’è l’era dell’istinto, della sopravvivenza, della consapevolezza (o della ragione) e l’era dell’etica, dello spirito, cioè quella indicata dai grandi Precursori: opporsi a questa legge significa guardare al passato e ostacolare la nostra vera evoluzione.
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Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce una famiglia. Qualunque cosa che capita alla terra, capita anche ai figli della terra. Non è stato l’uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso. Qualunque cosa capita alla terra, capita anche ai figli della terra.
Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su sé stessi.
La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra.”
– Cervo Zoppo
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