sabato 15 agosto 2009

Le favole di nonno Gianni. Dal racconto La tribù di Moro Seduto. Di Stefano Benni.


In alto: Buon ferragosto, immagine tratta dal blog
http://sottoilcielodirlanda.splinder.com/


La democrazia permette ad ogni uomo di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo solo la scuola. Perché solo essa può aiutare a scegliere ed essa sola può creare le persone degne di essere scelte. Da tutti i ceti sociali. Piero Calamandrei, 11 febbraio 1950


E' sintomatico come il caso abbia fatto coincidere la pubblicazione del brano di Stefano Benni, Le favole di nonno Gianni, scritto oltre trent'anni addietro, quando il fu presidente della FIAT era ancora vivo ed alle prese con la crisi economica di quegli anni, e le notizie circolanti in questi giorni su un presunto miliardo di euro depositato in nero presso una banca svizzera... Pensare che tutto quello che sta avvenendo in questi ultimi decenni lo aveva anticipato Stefano Benni con i suoi libri ed i suoi articoli, continua a a convincerci l'idea che Benni dovrebbe essere studiato a scuola, oltre al suo sito, si può visionare Benniologia un'enciclopedia dedicata interamente a lui; Un altro articolo molto interessante per essere informati su quello che sono le banche ed il loro potere, si può trovare nel blog di Antonella Randazzo, il tema è il signoraggio.

Le favole di nonno Gianni. Dal racconto La tribù di Moro Seduto. Di Stefano Benni.
Era una bella sera di dicembre. Il fuoco ardeva nel caminetto nel reparto fusione della Fiat Mirafiori. Gli operai stavano attorno alla fiamma, e sul loro viso il calore disegnava un riverbero sanguigno. Al centro tra loro, brizzolato e impeccabile, sedeva nonno Gianni. Carezzava con la mano destra un pastore tedesco e con la sinistra Gianluigi Gabetti. Ogni tanto urlava «Cuccia!» e Gabetti e il pastore si appiattivano a terra terrorizzati, al che nonno Gianni, benevolo, diceva: «Ma no, ma no, chiamavo Enrico Cuccia della Mediobanca». E il caporeparto, uomo rozzo e aduso alla fatica, disse: «Nonno Gianni, qua per noi operai va sempre peggio. Raccontaci una delle tue favole».
Nonno Gianni accese la pipa e con voce calma e profonda iniziò:
«C’era una volta, al di là dei mari, una lega di paesi molto ricchi che si chiamavano il paese dei califfi. In esso c’erano miniere di un liquido molto pregiato, che faceva muovere le macchine, e fiammeggiare gli accendini. I califfi di questo paese erano diventati, in breve tempo, spaventosamente ricchi. Rahun-el-bashid, sceicco di Haman, aveva 606 Cadillac, color panna, con 606 autisti color cioccolato, e una volta gli ruppero 606 deflettori e gli rubarono 606 mangianastri e il suo assicuratore si buttò nel Nilo. Suo cugino, Ahmar-el-Cafi il benevolo, andava tutti i week-end a Londra a comprare pizze. Gli piacevano moltissimo. Ne aveva più di due milioni. Le più rare erano al prosciutto e lapislazzuli, e una Margherita che piangeva e sapeva dire “Mamma” e “Origano”.
«L’emiro di Hahamt, Bir-el-hungabi il giocatore, perse 90 milioni a scalaquaranta contro Omar Sharif.
«C’era poi il califfo Samhalan il pio, che pregava 12 volte al giorno, per un totale di 22 ore e nelle restanti due ore telefonava in teleselezione al suo confessore canadese.
«Il paese dei califfi, insomma, trasudava benessere da ogni poro. Ma i califfi si annoiavano. Non sapevano più cosa comprare. Uno di essi, Ahmar-el-Salem, si recò allora in un paese chiamato Italia. Giunto in una città chiamata Milano, vide, davanti a un teatro, signori in frac e signore ingioiellate che si recavano a uno spettacolo.
«“Che cosa succede?” chiese il califfo a un poliziotto.
«“Stiamo dando la prima di un’opera lirica nel quadro di un riavvicinamento tra il popolo e l’arte” rispose tranquillo il poliziotto.
«“Davvero?” disse il califfo, e in quel momento giunse Paolo Grassi urlando: “Via di lì, lei! Non compriamo tappeti! Guardi che questo è il teatro popolare più esclusivo del mondo!”. Tosto dieci poliziotti afferrarono il califfo e gli diedero una salutare lezione popolare.
«Ahmar-el-Salem tornò nel suo paese e disse ai califfi riuniti:
«“Amici, c’è in Europa un paese ricco a dismisura. Pensate che in esso c’è un teatro popolare dove si va in visone e in smoking. Gli industriali, che sono alla fame, hanno miliardi di valuta all’estero. Il governo regala soldi alle grandi industrie, i deputati chiedono aumenti, gli editori hanno disavanzi di miliardi e non battono ciglio.”
«“Incredibile” dissero i califfi, sgranando gli occhi secondo una tradizione che in quei paesi si tramanda di figlio di padre in figlio.
«“Vi giuro! Pensate, se questa è la crisi cosa sarà quel paese quando la sua economia sarà un po’ più florida.”
«“Bisogna investire in Italia” dissero i califfi. E tutti inforcarono lambrette, jeep, e aerei personali, Jumbo, elicotteri e panfili, e fecero rotta verso l’Italia.
«Fu così che un giorno, mentre rifacevo per la terza volta i conti dell’affitto, e mi arrabattavo per tirare avanti fino al 27, si aprì la porta e vidi davanti a me il colonnello Gheddafi. Serio e silenzioso, mi salutò, pregò tre volte rivolto alla Mecca e poi disse: “Hai jamman in di heilan un hemman”.»
«Che cosa vuol dire?» chiese il caporeparto operaio, uomo rozzo e limitato.
«Studiati l’arabo» disse seccamente nonno Gianni e continuò: «Insomma, grazie a Cuccia e Gabetti e alla buona sorte la trattativa andò avanti, e io vendetti il 10% della Fiat. Appena si seppe la notizia, tutti gli altri italiani si diedero da fare per entrare anche loro in affari con la Libia. Cefis si offrì di inquinare tutto il Sahara, comprese le oasi, e creare una nuova razza mostruosa di cammelli a schiena liscia. Attilio Monti disse subito, andate a comprarmi un Corano, e ci rimase molto male quando glielo portarono, perché credeva che fosse un uccello, e aveva già preparato il trespolo e i bruscolini. Allora pregò tre volte rivolto a Montecitorio e tre volte a destra, nel far ciò seminando un bel po’ di assegni, e urlò disperato: “Allah, allah, sarom, sarom!”. Ma nessuno gli diede retta. E i giornali dissero: “che ne sarà della nostra libertà”, e la borsa disse: “che ne sarà dei miei titoli”, e i finanzieri: “che ne sarà del nostro denaro?”. E io dissi: “state tranquilli. Nessuno toccherà i vostri guadagni; anzi, il capitale straniero ci aiuterà a uscire dalla nostra crisi”».
«E gli operai?» chiese il caporeparto, uomo rozzo e inopportuno.
«Gli operai» rispose nonno Gianni «cosa c’entrano gli operai? Questa è alta finanza. Questo è l’affare del secolo. Per gli operai, si vedrà. Forse, chissà, anche per loro... risolti naturalmente gli altri problemi...»
«È proprio una bella favola» dissero gli operai commossi, e tornarono al lavoro, stanchi, ustionati, ma contenti che nonno Gianni vegliasse su di loro.

Che cos'è il signoraggio bancario? Dal blog di Antonella Randazzo alcune informazioni video su questo ostico e indigesto argomento:

REBUS - Signoraggio, la grande truffa 1/5

Negli ultimi tempi alcuni personaggi di regime cercano di creare confusione per impedire la comprensione del Signoraggio bancario e di altri meccanismi che hanno permesso ai banchieri di colonizzare il mondo.
In realtà non è difficile capire questi meccanismi e su Internet ci sono diversi documenti che possono aiutare in questo senso.
In questo video Maurizio Decollanz tratta l'argomento con diversi ospiti.
Per capire, consiglio di vedere l'intero video e di leggere qualche libro degli autori ospiti di questa trasmissione.

Sempre vigili su quello che succede in Abruzzo, una bella notizia viene da Paganica, uno dei centri colpiti dal sisma, è stata costruita a tempo di record una biblioteca in bioedilizia, dal quotidiano Il Manifesto:

Una biblioteca contro il terremoto
BibliPaganica con i suoi 65 metri quadri da un paio di settimane esiste. L’edificio di bioarchitettura con pannelli solari e senza barriere architettoniche è fatto di una sala per la lettura, una stanza con due letti di fortuna e un bagno e oggi ospita un polo d’informazione indipendente, il ciclostile col quale si stampa una delle newsletter dei comitati delle tendopoli Sollevati Abruzzo e un osservatorio sulla legalità promosso da Libera che contiene anche la memoria storica delle speculazioni edilizia degli anni precedenti al terremoto. Mancano i computer e qualche scaffale, ma i libri della biblioteca destinata a ragazzi e bambini in parte ci sono, tanti ne stanno arrivando donati da diverse case editrici ed entro settembre saranno catalogati.
BibliPaganica è nata come un fungo in cinque giorni, a tempi record, in uno dei municipi del Comune dell’Aquila più colpiti dal sisma del 6 aprile scorso ed è stato un progetto costruito dal basso, il primo in Abruzzo creato dalla società civile e voluto dagli abitanti.
... Continua

Lidia Ravera è una delle autrici fra le più impegnate sul sociale, ha militato fra le femministe negli anni settanta e in questo articolo lancia un allarme a tutte le donne:

La rivoluzione interrotta delle donne
di Lidia Ravera

Ho provato una vera gioia, leggendo la «conversazione» con Nadia Urbinati, ieri, su questo giornale. Quando dice: «c’è, da parte delle persone attorno a noi, una specie di accettazione. Il senso dell’inutilità collettiva». Ho pensato: ha messo, come si dice, “il dito nella piaga”. E mai frase idiomatica fu più opportuna. Qui si parla proprio di piaghe: indicarle è necessario, anche se sarebbe più elegante voltarsi dall’altra parte. Toccarle fa male. Ma attraverso il dolore, passa l’unica speranza di guarigione.

Dunque diciamolo: è morta la dimensione collettiva. Il “noi” che rafforzava i tanti “io” di cui era composto, latita. Era onnipresente, la prima persona plurale. Ora è scomparsa. Non è mai stata facile da declinare: includere l’Ego degli altri, sistemarlo accanto al proprio, non è mai naturale, tocca smussare angoli, reprimere individualismi, concedere generalizzazioni, perdere qualcosa di sè. Però si può fare, anzi: si deve.

Soltanto una massa di “io” ordinati in un “noi”, che li sovrasta e li protegge e li rappresenta, nel corso della storia, ha saputo abolire lo schiavismo, difendere il lavoro, conquistare diritti uguali per tutti, combattere il fascismo. L’individuo, da solo, può regalare all’umanità soltanto il godimento dell’arte. È necessaria, l’arte, ma non è sufficiente. Non oggi e non qui, in Italia.

Ha ragione la Urbinati quando dice: «Quel che fa questo governo non è ridicolo...è tragico». È tragico usare la paura e la fragilità psichica dei cittadini, aggravate entrambe dalla crisi economica, per disegnare una società che esclude e divide, che radicalizza le differenze e governa col ricatto milioni di solitudini. Poco più di metà degli italiani ha votato qualche anno di fiducia all’attuale Premier e alla sua “weltanschaung”. Poco meno di metà degli italiani ha cercato, votando il centrosinistra, di segnalare il proprio “no”.

Si tratta di milioni di donne e di uomini, dispersi e quindi condannati alla dimensione privata del dissenso: il lamento. Per le donne è una sorta di revival: ve la ricordate la rivolta “da camera” delle nostre madri? Erano donne che avevano vissuto la giovinezza a cavallo della seconda guerra mondiale e che, nell’Italia in rapido sviluppo degli anni sessanta, impigliate nel codice antico dell’esistenza vicaria, stavano maturando un disagio crescente per i ristretti ambiti delle loro vite. Che cosa facevano, mentre le loro figlie scendevano in piazza bruciando le icone della femminilità tradizionale? Si lamentavano. Opponevano un fiero cattivo umore ad un destino che vivevano come immutabile. Era il canto della loro sconfitta, il lamento.

Ci dava ai nervi. Giurammo che noi no, noi non ci saremmo sacrificate. Giurammo che avremmo imposto nuove regole, saremmo state parte attiva, a letto, al lavoro, in casa, in piazza. Lì per lì ci illudemmo di aver vinto. Non era così. La rivoluzione delle donne non è stata né vinta né persa. È stata interrotta.

Interrompere una rivoluzione è pericoloso: non riesci a imporre nuove valori, a radicarli, a estenderli a tutti, come quando vinci. Non vieni travolto dalla restaurazione del vecchio, come quando perdi. Quando lasci una rivoluzione a metà la restaurazione è lenta e strisciante. Incominciano a bombardarti con l’icona della “ragazza tette grandi/ cervello piccolo”, non ci fai caso. Occupa i teleschermi (anche quelli del servizio pubblico) per vent’anni. Spegni la televisione. Diventa protagonista della scena pubblica, corpo in vendita, carriera, oggetto di scambio, trastullo stipendiato di un modello di maschio potente/impotente che era già vecchio quando eri ancora giovane. Ti scansi, spegni l’audio, non vuoi sentire.

Finché ti accorgi che, nel silenzio/assenso generale, si è tornati indietro. Come prima e peggio di prima. Devi di nuovo essere complemento, protesi, utensile del piacere. Madre se proprio ti va, come lato B della carriera. A tua figlia regalerai “Miss Bimbo”, il gioco elettronico che insegna a diventare Velina, Escort o moglie di miliardario. Sei di nuovo povera.

Possiedi, come anticamente i proletari, soltanto il tuo corpo e quello devi far fruttare. E sbrigati: hai meno di 20 anni di tempo. Qualcuno dice che qualche ragazza ha trovato, per lo più all’estero, riconoscimento ai suoi talenti. Qualcun altro rimprovera “le femministe”, queste ormai mansuete streghe in prepensionamento, di tacere. Ma non è vero.

Tutte noi, noi poche, abbiamo, in questi anni, parlato. Sole davanti allo schermo dei nostri computer, come si usa oggi. Abbiamo confezionato tristi arringhe, abbiamo segnalato, puntuali come Cassandre, rischi e degenerazioni. Non è successo niente. Le parole delle donne non pesano un grammo. Per questo bisogna ricominciare daccapo. Portare i nostri corpi in piazza, occupare spazio, farci vedere, farci sentire. Contarci, per ricominciare a contare.


Si preannunciano delle grandi novità alla ripresa delle attività di governo alla fine di agosto, Michele Serra ne è venuto a conoscenza:

L'inno uga uga eseguito al Quirinale
di Michele Serra
Il governo è al lavoro per i preparativi del centocinquantenario dell'Unità d'Italia. Mancano solo pochi dettagli. Tra cui decidere quale sia la data esatta

I preparativi per il centocinquantenario dell'Unità di Italia sono a buon punto. Manca solo qualche dettaglio, ad esempio stabilire la data esatta della ricorrenza. Secondo Oscar Luigi Scalfaro, che con Giolitti fu tra gli animatori del cinquantenario, si tratterebbe del 1861. Secondo Berlusconi la data giusta è il 1982, inizio delle trasmissioni su scala nazionale di Rete 4. Secondo la Lega bisogna andare indietro nel tempo fino al 589, quando il re longobardo Urgugulfo, detto il Gutturale, conquistò Varese, abbattendo le porte della città assediata con un rutto. A parte queste discrepanze, che il governo potrà facilmente risolvere con un decreto legge, il programma delle celebrazioni è a buon punto.

Tricolore
Il Tricolore, dopo un'animata discussione in seno alla maggioranza, potrebbe rimanere la bandiera ufficiale, ma su richiesta della Lega dovrà ospitare al centro, in campo bianco, un enorme sputo stilizzato, ricamato a mano dalle celebri ricamatrici della Val Bombasca, rinomate perché cuciono a dita nude, senza bisogno dell'ago. La Lega ha anche proposto un grande spettacolo di fuochi pirici al Quirinale, al chiuso e dopo avere allontanato i pompieri e blindato le porte. Ma secondo gli esperti, si tratta solo di un'abile strategia mediatica.

Inno nazionale
Trovato il compromesso. Resterà l'Inno di Mameli, ma tradotto in celtico a cura della Facoltà di Lingue Antiche di Saronno, istituita per dare un rettorato al meritevole figliolo di Bossi. Così i primi due versi della nuova versione: 'Uuuurg, urg, uga! Uga Uga uuurg! Grunt, grunt, uaaaargh! Uga, Scipio, Urg!'. Verrà eseguito al Quirinale, in presenza di Napolitano, dal Piccolo Coro dei tagliaboschi della Val Trompia, diretto dal maestro Piero Elementare. La Lega ha anche proposto di trasformare il Quirinale in un discount di canottiere, ma secondo gli esperti si tratta solo di un'abile strategia mediatica.
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Nell'era del computer chi scrive più a penna? Umberto Eco racconta di quando si scriveva in bella calligrafia:

Pensieri in bella copia
di Umberto Eco
La tragedia è cominciata ben prima di pc e telefonini. Quando le stilografiche dai deliziosi pennini Perry vennero sostituite nel dopoguerra dalle biro. La scrittura perse anima e stile

Una decina di giorni fa Maria Novella De Luca e Stefano Bartezzaghi hanno occupato tre pagine di 'Repubblica' (ahimè, a stampa) per occuparsi del declino della calligrafia. Ormai lo si sa, tra computer (quando lo usano) e sms, i nostri ragazzi non sanno più scrivere a mano se non con uno stentato stampatello. In una intervista una insegnante dice anche che fanno tanti errori di ortografia, ma questo mi sembra un altro problema: i medici conoscono l'ortografia e scrivono male, e si può essere calligrafo diplomato e non sapere se si scrive 'taccuino', 'tacquino' o 'taqquino' come 'soqquadro'.
In verità io conosco bambini che vanno in buone scuole e scrivono (a mano e in corsivo) abbastanza bene, ma gli articoli che citavo parlano del 50 per cento dei nostri ragazzi e si vede che per indulgenza della sorte io frequento l'altro 50 (del resto è lo stesso che mi capita in politica).

Il problema è piuttosto che la tragedia è iniziata molto prima del computer e del telefonino. I miei genitori scrivevano con una grafia leggermente inclinata (tenendo il foglio di traverso) e una lettera era, almeno per gli standard di oggi, una piccola opera d'arte. È verissimo che vigeva la credenza, probabilmente diffusa da chi aveva una pessima scrittura, che la bella calligrafia era l'arte degli sciocchi, ed è ovvio che avere una bella calligrafia non significa necessariamente essere molto intelligenti, ma - insomma - era gradevole leggere un biglietto o un documento scritto come dio comanda (o comandava).
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Tempo di vacanze, come va' la crisi economica, l'opinione di Altan:


A proposito di crisi economica, siamo tutti sulla stessa barca? Da Mauro Biani una risposta confortevole:

La stessa barca (2)


Memorandum: la stessa barca 1


Il foglio clandestino, il quotidiano La Padania, uscira in dialetto padano, Gavavenezia commenta cosi':

grana padana


















Le soluzioni del governo per uscire dalla crisi viste da Maramotti:

























Invalidi al sud e redditi al nord visti da Staino:


























Pillola del giorno: Fare l'amore il sabato sera è un'abitudine perfettamente ridicola, perchè se la domenica piove non si sa più cosa fare.
Andrè Dahl.

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