mercoledì 2 marzo 2016

IL BRUCO

IL BRUCO


La terra gli carezzava il corpo e lui percorreva le asprezze di quel lembo di prato, innalzandosi ogni tanto a scrutare all’intorno, sostenuto dai morbidi anelli della coda.

Un bruco colorato e setoso, ecco cos’era.

Quando alzava la testa, vedeva poco più dei sassolini, del terriccio, delle foglie cadute dai rami.

Il brulicare delle formiche, il colorato andare di altri vermi, i ramoscelli da superare con una certa fatica: questo era tutto il suo mondo.

Ma un giorno, l’involontario volgersi del capo verso il cielo gli offrì una visuale straordinaria: ad un’altezza immensa, scorse lo sfrecciare potente di animali alati, le discese veloci di corpi agili, lo scarto improvviso di ali e code nel volo.

Rimase assolutamente conquistato.

Come avrebbe voluto anche lui attraversare il cielo, sentire l’aria potente, sfidare il vento…

Ma l’abbattersi del proprio capo sul terreno lo riportò alla realtà e ai morbidi anelli colorati del suo corpo.

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Le risate, le corse, il cibo consumato seduti sull’erba: era un giorno di festa e molti abitanti del villaggio si erano recati nella valle per trascorrere alcune ore di svago e per vedere l’attrazione del giorno: una mongolfiera colorata doveva innalzarsi, lenta e sicura, verso il cielo.

Il bruco usò tutta al sua attenzione per mettersi al riparo da piedi veloci, gonne svolazzanti, cani zampettanti.

Temendo per la propria esistenza, si portò a fatica su una delle funi che trattenevano la mongolfiera. “Almeno qui” si disse “non mi schiacceranno”.

Ma accompagnata dal clamore di molte voci, poco dopo la mongolfiera fu liberata dai lacci e si innalzò solennemente, lenta ma inesorabile, verso l’azzurro.

Il bruco, allora, aderì disperato alla fune pendula con le sue molte zampette e con sforzo immane si trascinò sino al cesto della mongolfiera.

Poi lasciò che quella lo trasportasse.

E affidò la propria vita al destino.

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Che emozione terribile!

Sotto di lui la terra, sopra e intorno lo splendido azzurro del cielo.

Rondini, passeri, storni, tutto un mondo irraggiungibile gli stava accanto e lui non smetteva di stupirsi nel vedere quegli esseri volanti, curiosi dell’arnese colorato che si innalzava senza ali.

Il bruco pensò che gli era riservata un’esperienza irripetibile.

A lui, essere strisciante, era concesso di salire verso il cielo.

Fu così potente questa rivelazione che si distrasse e, senza volerlo, allentò la presa delle zampe. Il vento se lo portò via.

Leggero com’era, cominciò a cadere lentamente, ma capì subito che quella discesa sarebbe stata inesorabile.

Allora, sentendo crescere la disperazione, cercò di placarsi: rivide tutto il bello che la sua breve vita gli aveva donato e ringraziò in cuor suo il verde dell’erba, le formiche veloci, gli steli colorati.

E infine si disse che per la bellezza di quel viaggio nell’azzurro, davvero si poteva morire.

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Un urto potente, ma non doloroso: inaspettatamente era atterrato sulla morbida schiena di una rondine.

Lei non si accorse di nulla, presa com’era dalla gioia del volo.

Il bruco le si attaccò disperatamente alle piume e aderì il più possibile al dorso di lei, temendo che il vento lo trascinasse ancora via.

Ma quando lei si abbassò a sfiorare con il ventre il verde del prato, il bruco colse l’occasione e si lasciò cadere sull’erba, rotolando sino a fermarsi.

Affranto da tanti avvenimenti, raggiunse uno stelo robusto e gli si accomodò addosso, desideroso solo di riposare.

Sprofondò in uno stato simile al sonno, il corpo sempre più pesante.

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Lo riscosse una sensazione potente, forte come uno strappo, violenta come una lacerazione.

Non capiva cosa stesse avvenendo: sentiva il suo corpo espandersi, percepiva una pressione che dolcemente si allentava.

Poi qualcosa, simile a una veste stretta, gli scivolò di dosso e due ali frementi si aprirono a stento. Sconvolto da tanto prodigio, il bruco si guardò e non si riconobbe per niente.

Ancora uno sforzo estremo.

Appena le ali si estesero, tutte aperte nel loro splendore, lui si levò verso il cielo.

La luce del sole brillava sui colori di quel corpo leggero.

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Era diventata una farfalla talmente bella che si incantarono a guardarla le formiche del prato, le foglie, i fuscelli.

E anche le rondini in cielo.

Gloria Lai

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