giovedì 12 maggio 2016

Quando dare i numeri fa bene alle donne


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Giovanna Badalassi
Tempo di lettura: 3 minuti

Gli italiani, si sa, sono un popolo di umanisti e fini linguisti. Abbiamo un non so che di genetico che ci tiene a debita distanza dai numeri e, orrore, dalle statistiche. Ho visto fior di assessori, funzionari e dirigenti impallidire di fronte a istogrammi, prospetti, tabelle. Un bisbiglio imbarazzato: “Sai..io e i numeri..non ..”. Mio marito, per farmi accettare dagli amici, spiega il mio lavoro con un: “Mia moglie fa le torte”, molto più rassicurante per tutti, anche se le mie torte statistiche non prevedono uova e burro. E insomma, ho la chiara consapevolezza che una donna che fa statistica non è proprio la cosa più glamour che ci sia, e me ne sono fatta una ragione.

Epperò.

Se parliamo di cose serie, come ogni tanto capita qui a Ladynomics, dobbiamo dirci con chiarezza che le statistiche, soprattutto quelle sociali e di genere, sono indispensabili per affrontare e risolvere politicamente qualsivoglia problema. Come diceva un guru del management, Robert Kaplan, “non si può gestire quello che non si può misurare e non si può misurare quello che non si può descrivere”.

Non si può quindi governare assolutamente nessun fenomeno, nessun problema o evento se non si hanno delle chiare e corrette chiavi interpretative legate ai numeri. Come si possono affrontare i più gravi problemi sociali con strumenti e strategie adeguate se non li possiamo descrivere con i numeri?

Solo le statistiche sono infatti in grado di circoscrivere l’esatta dimensione del problema e dare indicazioni sulla forza politica ed economica che occorre impiegare per affrontarlo.

Va da sé che, quando si tratta di numeri che interessano le cose e il patrimonio, roba molto da uomini, non si lesina nelle informazioni. Pensiamo al sistema capillare di raccolta dati dei prezzi per formare il paniere di beni utile al calcolo dell’inflazione. Credo che esista una serie storica dal dopoguerra ad oggi dei prezzi delle zucchine e delle carote. Provate invece a cercare di sapere quante sono le donne povere oggi in Italia, come vivono, perché sono povere, che livello di istruzione hanno, com’è la loro famiglia. Troverete ben pochi dati. Quando si parla di descrivere con i numeri le persone, uomini e donne, la loro vita, la loro esistenza, i loro problemi, la statistica pubblica improvvisamente annaspa.

Anche qui, si mostra con evidenza la forza del capitalismo dell’economia patriarcale, centrata sui beni e sui mezzi che si dota di strumenti di informazione e di governo ad oggi invece ancora inaccessibili per l’economia sociale, quella a noi cara, che parla invece di persone e dei loro bisogni.

Il caso di Linda Laura Sabbadini, al cui fianco anche Ladynomics si è schierata, non è quindi grave solo per l’insulto che è stato portato ad una studiosa carismatica di livello internazionale. Questo episodio rappresenta infatti solo la punta dell’iceberg di un processo di smantellamento dello stato sociale che ci stiamo portando dietro da alcuni anni. La progressiva riduzione delle risorse pubbliche destinate al sociale, la pressione politica per la contrazione di tutto quello che è welfare e sanità raggiunge ora , con quest’ultimo colpo alla statistica sociale, un punto di non ritorno.
Se i problemi sociali non vengono monitorati, osservati e definiti con i numeri, finiscono infatti con il non esistere più nella rappresentazione pubblica e politica, quindi non c’è più bisogno di destinarvi risorse.

Un’operatrice dei centri antiviolenza ha detto una volta ad un convegno: “ho assistito donne vittime di violenza a partire dai primi anni 70, ma è solo con la prima indagine Istat sulla sicurezza delle donne del 2006 che anche io ho capito la reale portata e gravità di questo fenomeno, prima ho sempre pensato che il mio fosse un punto di osservazione marginale nella società”.

Ecco, se in questi ultimi anni il tema della violenza sulle donne, ad esempio, ha conosciuto tanto interesse mediatico, è stato anche grazie a questi numeri che hanno permesso di capire la portata di un fenomeno che ancora oggi interessa un terzo delle donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito violenza almeno una volta nella vita.

Anche se possono essere barbose (ma credetemi, se le conoscete non lo sono mai), le statistiche, sia sociali che di genere, sono quindi fondamentali per poter sviluppare politiche adeguate.
La battaglia per i numeri non è quindi un lamento di poche studiose ma è davvero una battaglia politica forte e indispensabile per tenere acceso l’interesse pubblico verso i problemi reali delle persone e della società.

Occorre quindi che non cali l’attenzione e l’interesse verso le statistiche sociali e le statistiche di genere e che, con o senza Sabbadini (e noi ci auguriamo chiaramente con), continui la pressione pubblica per dare sempre più visibilità, ricchezza e profondità di analisi a questi tipi di dati.
Da parte di Ladynomics, un primo contributo:
Ci farebbe tanto piacere, ad esempio, che la raccolta tematica di statistiche sui giovani e gli anziani, recentemente pubblicata dall’Istat, venisse esposta con dati di genere che non fossero solo quelli indispensabili. Su 136 indicatori complessivamente riportati, solo 23, il 16% sono di genere, di questi 11 sono riferiti agli uomini e 12 alle donne.
Eppure tra donne e uomini giovani e donne e uomini anziani la differenza economica e sociale è importante e notevole.

Certo, andando a interrogare i vari data base Istat si trova per qualcuno di questi indicatori anche la declinazione di genere, ma, insomma, se visibilità deve essere per i temi dei giovani e degli anziani, che lo sia anche per le donne.
Toc Toc Istaaaat?? Ci sieteeeeee???

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