giovedì 10 novembre 2016

Perché Trump? L'ascesa di Trump è perfettamente in linea con la virata a destra globale


Di Simona Mazza
A sorpresa ieri gli Stati Uniti d'America hanno eletto quale loro presidente il multimiliardario Donald Trump, inizialmente sfavorito nella corsa alla Casa Bianca, contro la rivale Hilary Clinton.
Nessuno dei due avrebbe di certo rappresentato un passo avanti verso la democrazia, tutt'altro, ma la candidatura del nazionalista Trump aveva fatto storcere il naso a molti.
Gli americani lo consideravano più come un soggetto da reality o al massimo credevano che la sua candidatura fosse uno svarione destinato ad autocorreggersi.
La campagna elettorale più squallida di tutti i tempi dovrebbe indurci a riflettere sul perché di questa anomala ondata liberista transnazionale (moderata quella di Clinton, pericolosamente "rivoluzionaria" fanatica, xenofoba ed isolazionista quella di Trump) che ha devastato le classi medie e lavoratrici ed esautorato gli elettori.
Unico collante è il diffuso sentimento di diffidenza e di manifesta ostilità nei confronti dell’ideologia liberal del politically correct, quella di chi nasconde la testa sotto la sabbia per intenderci.
Qualcuno ha scritto "se si volesse utilizzare una metafora clinica Trump è un sintomo mentre la Clinton rappresenta la patologia".

Perché Trump?
L'ascesa di Trump è perfettamente in linea con la virata a destra globale, la cui avanzata storicamente e ciclicamente coincide con i periodi di crisi.
Essa trova la sua espressione nelle barricate innalzate contro donne e bambini rifugiati, nel trionfo isolazionista della Brexit, nei vagoni piombati in Ungheria, nel trionfo di Viktor Orbán, Marine Le Pen, Nigel Farage e Matteo Salvini e nelle frontiere sigillate a Ventimiglia.
Trump viene visto come l'uomo del "vaffanculo" al sistema, una figura che pertanto piace al popolino.

I fatti
I repubblicani sono stati debellati in un batter d'occhio dallo "sfavorito" Trump.
La vittoria è avvenuta durante la convention all’interno del palasport di Cleveland ed all'esterno dagli slogan nei comizi degli «insurrezionalisti» di Trump, come quelli del leader dei burini razzisti Bikers for Trump, Chris Cox, che assicurava di portare a gennaio 1000 Harley Davidson a Washington per festeggiare l’insediamento del fascistone patriota.
Ciò che ha caratterizzato la campagna elettorale sono stati gli squallidi ammanicamenti: nelle primarie Trump aveva vinto sugli altri candidati repubblicani alleandosi dapprima con il Tea Party e adescando fasce di elettorato che si erano allontanate dal Great Old Party (di estrema destra).
Si era inoltre reso simpatico ai fautori degli antidemocratici del dark enlightment ed ai razzisti di ogni dove, che ancora oggi inneggiano alla supremazia bianca.
Hillary Clinton aveva invece vinto le primarie del Democratic Party sconfiggendo l'unico candidato socialista, ovvero Bernie Sanders.
Le due inspiegabili vittorie avevano causato il cedimento strutturale dei due partiti.

Trump/Clinton
Il "palazzinaro/finanziere" Trump è un isolazionista, disposto ad un accordo con la Russia, teso al rilancio della manifattura made in USA, Clinton e' fortemente interventista, e guerrafondaia, tesa al contenimento attivo della Russia, favorevole ad una politica tecnocratica-finanziaria.
Entrambi sono comunque dei ferrei conservatori, favorevoli allle ingerenze della grande industria manageriale all'interno della politica.
La partita è stata giocata proprio sulla questione tecnocrazia e burocrazia.


L'inaspettata vittoria
Come abbia fatto Trump a spiazzare i concorrenti di punta del partito e' una domanda che lascia spazio a molteplici interrogativi.
Anche perché il miliardario non è mai stato organico, all'interno dello stesso.
Ovviamente c'è chi grida ai brogli ed in effetto qualche pasticcio è emerso.


Adesso vedremo cosa combinerà Donald Trump nei prossimi quattro anni.
Cercherà davvero di riportare gli USA ad una politica isolazionista che permetta un disimpegno dal teatro mediorientale?
Precisiamo che gli idrocarburi possono arrivare dai prodotti di scisto statunitensi e canadesi e dal cortile di casa centro-sud americano, alla peggio si possono riaprire le miniere di carbone.
La sfida vera per lui è il rilancio della manifattura statunitense e relativo contenimento non solo della Cina ma anche degli paesi in via di sviluppo industriale del sud-est asiatico.
Questo renderebbe fattibile un accordo con il Cremlino: magari Putin riuscirà ad arginare il magnate.
L'unico dubbio è che adesso assisteremo alla decomposizione del corpo sociale: avanzerà il gap di reddito, la violenza poliziesca sarà legittimata, la sorveglianza di massa sempre più capillare, la crisi ambientale e la politica guerrafondaia ci porteranno ad un passo dalla fine del mondo?

Fonte: Simona Mazza

Nessun commento: