martedì 21 febbraio 2017

European Vegetarian Union: la lobby vegan






Il cornetto gelato vegan recentemente lanciato da Algida, azienda controllata dalla multinazionale anglo-olandese Unilever, è solo la punta dell’iceberg di un progetto ben più amplio mirato a rafforzare la mercificazione degli ideali che caratterizzano l’antispecismo: un’operazione condotta dal mercato già da diversi anni che punta ad allargare il proprio monopolio su quello che non è un marchio, ma lotta contro ogni forma di dominio.

Entro la fine del 2017, infatti, circa 500 prodotti alimentari controllati da Unilever verranno bollati con l’etichettatura EVU (European Vegetarian Union), questo grazie a quella che dalla stessa organizzazione europea è stata definita come una “partnership pionieristica” tra la V-label e la multinazionale in questione.
L’obiettivo è fin troppo chiaro: veicolare i consumatori (indispensabile fonte di finanziamento) verso quei prodotti che le stesse multinazionali vogliono che vengano acquistati. Un processo, questo, che mira a completare quell’opera di consumer-grabbing (accaparramento dei consumatori) iniziata quando il mercato si è reso conto dell’esistenza della fetta vegan, e dell’opposizione che questo avrebbe potuto o dovuto portare.


L’etichettatura uniforme significa che sarà più facile e veloce per i consumatori in tutto il continente identificare quale dei loro marchi Unilever molto amato è adatto per le diete a base vegetale. (Dal sito di Unilever)

Un veganismo che, espropriato di ogni suo principio e criticità, viene ridotto a mera scelta alimentare, un processo che porta Unilever ad avviare parallelamente quel percorso di greenwashing (pulizia dell’immagine) abbracciato da molte multinazionali in questi ultimi anni, al fine di apparire più sostenibili agli occhi del consumatore.


Questa è la prima volta che una grande collezione di marche sarà soggetto al regime della EVU. (Dal sito della V-label)
EVU, un’organizzazione ombrello che riunisce diverse aziende, rappresenta una delle tante espressioni figlie del capitalismo che ultimamente cercano di affrancare il veganismo riducendolo ad uno dei tanti marchi e offerte di mercato disponibili, in questo caso rappresentato da una delle molte multinazionali a provocare sfruttamento ambientale, animale e sociale.
Unilever, membro dell’RSPO, è una delle principali multinazionali a finanziare il mercato dell’olio di palma; fa uso abituale della sperimentazione animale che utilizza per la produzione della sua linea per la pulizia della casa e l’igiene personale; ha all’attivo diversi casi di inquinamento e sversamenti di sostanze chimiche smaltite in maniera abusiva; promuove il mercato degli organismi geneticamente modificati impiegandoli anche nella realizzazione dei propri prodotti; ha condotto e conduce operazioni di land-grabbing e relativa oppressione dei popoli colpiti.
Una multinazionale “nascosta”, perché a differenza delle più note Nestlé, Ferrero, Coca Cola ecc., i cui prodotti sono facilmente identificabili sugli scaffali di ogni supermercato, il marchio Unilever non compare direttamente, ma controlla a sua volta altre aziende tra cui figurano: Knorr, Bertolli, Algida, Lipton, Calvé, Hellmann’s, Glysolid, Svelto, Cif, Dove, Axe, Fissan e molti altri.
Questo rende più complicata l’applicazione di quello strumento a disposizione di tutti/e che prende il nome di boicottaggio: una delle pratiche più efficaci a disposizione del consumatore che attraverso le sue scelte quotidiane determina che direzione dare al mercato.
In molti/e, di fronte all'”apertura” del mercato al veganismo, hanno uralto alla vittoria per l’incremento del numero di prodotti a loro disposizione. Paraocchi dispensati dalle multinazionali che intanto, indisturbate, stanno azzerando le istanze di liberazione con la collaborazione di chi gioisce per un’illusione di cambiamento senza rendersi conto di finanziare quello stesso sistema di sfruttamento basato su dominio e prevaricazione.
Il veganismo non è un marchio, l’antispecismo non è un business, gli ideali di liberazione non vanno mercificati a vantaggio di chi vuole mutare la lotta in moda, mantenendo così invariate le sorti dello/a schiavo/a di turno, ma assicurandosi anche i guadagni da parte di chi, teoricamente, dovrebbe rappresentare quell’opposizione radicale al sistema di sfruttamento globalizzato.
Non c’è interpretazione in questa storia, ma solo un’analisi della propria coscienza e la consapevolezza dell’obiettivo che ci si pone: lottare per la liberazione animale, umana, della Terra significa, anche, boicottare le multinazionali, vegan e non, prendendo le distanze dalla GDO (grande distribuzione organizzata) dal sistema capitalista e da quelle dinamiche di dominio che da esso derivano.
Diversamente si resterà nel contempo schiavi e complici di chi, per mere ragioni economiche, riduce la Terra al proprio personale supermercato, schiavizzando e sfruttando chi la popola.
Una rivoluzione, per definirsi tale, non deve conoscere compromessi né tanto meno politiche dei “piccoli passi”: per auspicare la liberazione totale bisogna innanzitutto liberare se stessi dalla dipendenza da ciò che vomita il mercato.

Fonte: Earth Riot

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