mercoledì 8 febbraio 2017

Nel 1930 un economista aveva previsto che oggi avremmo lavorato solo 15 ore la settimana. Chi ha infranto quel sogno?




Nel 1930, John Maynard Keynes aveva previsto che entro la fine del secolo la tecnologia avrebbe fatto progressi sufficienti da permettere a paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti di ridurre la settimana lavorativa a 15 ore.

Ci sono tutte le ragioni per credere che avesse ragione.
Dal punto di vista tecnologico, certamente ne saremmo in grado.

Eppure ciò non è accaduto.
Anzi, semmai la tecnologia è stata assoldata per inventare maniere nuove di farci lavorare tutti di più. Al fine di raggiungere questo obiettivo, si son dovuti creare lavori, di fatto, inutili. La maggior parte delle persone, in particolare in Europa e Nord America, trascorrono tutta la loro vita lavorativa eseguendo attività che, in cuor loro, non credono siano necessarie.






Il danno morale e spirituale
che deriva da questa situazione è profondo.


È una cicatrice sulla nostra anima collettiva.


Eppure non ne parla praticamente nessuno.


Perché l’utopia promessa da Keynes – che sembrava sul punto di compiersi negli anni’ 60 - non si è mai materializzata?



La spiegazione ufficiale dice che lui non avesse previsto l’imponente incremento del consumismo odierno.

Messi davanti alla scelta fra meno ore di lavoro e più “giocattoli” e divertimento, avremmo optato in massa per la seconda. Sembrerebbe una favoletta morale, se non fosse che basta riflettere un attimo per capire che non lo è affatto. È vero, a partire dagli anni '20, abbiamo assistito alla creazione di una varietà infinita di nuove imprese e di nuovi impieghi, ma pochissimi hanno a che fare con la produzione e distribuzione di sushi, di iPhone, o di scarpe da ginnastica griffate.




Allora cosa sono precisamente questi nuovi lavori?




Un recente studio, confrontando l'occupazione negli Stati Uniti (e ho constatato, avvenne lo stesso nel Regno Unito) tra il 1910 e il 2000, ci fornisce un quadro più chiaro. Nel secolo scorso, il numero di lavoratori impiegati come collaboratori domestici, nell'industria e nel settore agricolo, è drasticamente crollato. Allo stesso tempo, esperti di settore, dirigenti, amministratori, addetti alle vendite e addetti ai servizi sono triplicati, crescendo "da un quarto a tre quarti del totale dei lavoratori."

In altre parole, i processi produttivi, come previsto, si sono in gran parte automatizzati (anche contando gli operai a livello mondiale, includendo le masse lavoratrici indiane e cinesi, non raggiungiamo neanche lontanamente una quota significativa della popolazione mondiale).


Ma anziché permettere una massiccia riduzione delle ore di lavoro per rendere libera la popolazione mondiale di dedicarsi ai propri progetti, piaceri, fantasie, e idee, abbiamo assistito alla vertiginosa espansione non tanto del settore dei "servizi", quanto piuttosto del settore amministrativo, fino ad includere la creazione di interi nuovi settori, come i servizi finanziari o quelli di telemarketing, o l'espansione senza precedenti dei settori legati al diritto societario, scolastico e all’amministrazione sanitaria, alle risorse umane e alle relazioni pubbliche.

E questi numeri non tengono conto di tutte le persone il cui compito consiste nel fornire supporto amministrativo, tecnico, o di sicurezza a questi settori, o per la miriade di imprese ausiliarie (come i toelettatori di cani o i fattorini che consegnano pizze tutta la notte) che esistono unicamente perché qualcuno sta passando troppo del suo tempo a lavorare per qualcun altro.





Questi sono ciò che propongo di chiamare “lavori di merda”.







É come se ci fosse qualcuno che stesse inventando lavori inutili solo per il gusto di tenerci impegnati a lavorare. E proprio qui sta il mistero: nel capitalismo, questo è proprio ciò che non dovrebbe accadere. Certo, nei vecchi inefficienti paesi socialisti come l'Unione Sovietica, dove l'occupazione era considerata sia un diritto, sia un dovere sacro, il sistema creava tanti posti di lavoro quanti dovevano essere (ecco perché nei grandi magazzini sovietici c’erano tre commessi per vendere un solo pezzo di carne).


Ma questo, naturalmente, è proprio il tipo di problema che la concorrenza di mercato avrebbe dovuto risolvere. Secondo la teoria economica, almeno, l'ultima cosa che una società interessata a realizzare profitto dovrebbe fare è sborsare soldi a lavoratori di cui non ha realmente bisogno. Eppure, in qualche modo, sta succedendo.



Mentre le grandi aziende si lanciano in spietati ridimensionamenti del personale, i licenziamenti ricadono invariabilmente su quelle classi di lavoratori che in realtà fabbricano, spostano, riparano e mantengono in funzione le cose. Per una strana alchimia che nessuno sa davvero spiegare, il numero dei salariati passacarte, alla fine, sembra aumentare. E sempre più dipendenti si ritrovano, non diversamente dai lavoratori sovietici, a lavorare 40 o 50 ore a settimana, sulla carta, ma lavorandone di fatto 15, proprio come previsto da Keynes, dal momento che il resto del loro tempo è impiegato per partecipare a seminari motivazionali, aggiornare i propri profili di Facebook o a scaricare intere serie TV.

Chiaramente la risposta non è economica: è morale e politica.

La classe dirigente ha capito che una popolazione felice e produttiva con del tempo libero a disposizione è un pericolo mortale (pensate a cosa iniziò a succedere quando tutto ciò iniziò a delinearsi negli anni '60).


Nella nostra società, sembra vigere una regola generale che, tanto più un lavoro è utile alle altre persone, meno viene retribuito. Anche in questo caso, una misura oggettiva è difficile da trovare, ma un modo facile per capirlo è chiedersi: che cosa accadrebbe se questa intera classe di persone improvvisamente scomparisse?

Dite quello che volete su infermieri, spazzini, o meccanici, ma è ovvio che se dovessero sparire in una nuvola di fumo, i risultati sarebbero immediati e catastrofici. Un mondo senza insegnanti e scaricatori di porto sarebbe presto nei guai, e anche uno senza scrittori di fantascienza o musicisti SKA sarebbe evidentemente un luogo peggiore.

Al contrario, non è del tutto chiaro se e come l'umanità soffrirebbe qualora svanissero tutti gli amministratori delegati, i lobbisti, gli addetti alle relazioni pubbliche, addetti al telemarketing, ufficiali giudiziari o consulenti legali, e così via. (Molti sospettano che il mondo migliorerebbe decisamente)

Tuttavia, a parte una manciata di, ben propagandate eccezioni (ad esempio i medici), la regola [tanto più un lavoro è utile alle persone, meno viene retribuito] funziona incredibilmente bene.


Se qualcuno avesse voluto progettare un regime di lavoro ritagliato su misura dei poteri del capitale finanziario, è difficile immaginare come avrebbero potuto fare di meglio. I lavoratori veri, produttivi, vengono inesorabilmente spremuti e sfruttati.


(David Graeber è un professore di antropologia alla London School of Economics. Il suo libro più recente,

Il Progetto Democrazia: una storia, una crisi, un Movimento è pubblicato da Spiegel & Grau.)

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