domenica 4 marzo 2018

Antispecismo e anticapitalismo




Intervento per l’Incontro nazionale di Potere al Popolo su animalismo e antispecismo, Salerno, 2018



Un saluto ai compagni e agli amici che sono intervenuti in questa giornata importante. Quindi anzitutto un sentito ringraziamento a Vincenzo Rocciolo per averla pensata e resa possibile.
Antispecisti e militanti impegnati da sempre nella lotta contro il capitalismo non possono che essere contenti oggi di questo incontro. Per motivi opposti ma convergenti. Perché queste due strade, troppo spesso isolate e lontane, diffidenti l’una verso l’altra, non possono invece che riconoscere oggi la propria profonda affinità.
Come mi è capitato di dire altre volte: “La liberazione animale senza liberazione umana è cieca, la liberazione umana senza la liberazione animale è vuota”. Cosa voglio dire con questo? Molto semplicemente che chi intende realizzare la liberazione animale senza rovesciare alla radice il sistema economico vigente sta semplicemente inseguendo un’illusione. Non importa quanto si pensi di essere “radicali”, non importa quanto si pensi di aver raggiunto un grado di “consapevolezza” nella lotta allo specismo, quanto ci si senta “estranei” al sistema magari perché si segue individualmente uno stile di vita “vegan”. Per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti. Il sistema economico, politico, sociale e culturale planetario che si chiama “capitalismo” continua e continuerà a distruggere la vita sul pianeta, trasformando umani e non-umani in schiavi, massacrandoli fino a quando sarà necessario per estrarne profitto. E tutto questo accadrà finché non si comprenderà che l’unico modo per porre fine alla sua logica è attaccarne il meccanismo fondamentale: il profitto che si accresce, si astrae e si disloca, diventa capitale finanziario che viaggia alla velocità della luce sul pianeta e condiziona con la sua potenza concentrata e pervasiva la vita di interi popoli, minacciando l’esistenza di interi ecosistemi. Come si può pensare di “liberare” gli animali in un mondo in cui gli umani sono ancora “schiavi”? Solo combattendo questa lotta contro il capitale, contrastando il suo potere di modellare il mondo a sua immagine e somiglianza, avremo la speranza di trasformare il nostro impegno individuale per la difesa della vita, in un progetto sociale condiviso, nella costruzione di una società solidale, aperta, democratica. Solo combattendo per una società più giusta sarà possibile combattere anche per un’umanità più giusta, che guardi all’animale non-umano come ad un fratello e non come uno schiavo. In una società che tratta gli umani “come animali”, l’animale non sarà mai un “fratello”, non importa quanto impegno si metta individualmente nella lotta contro lo specismo. Dov’era un io dobbiamo fare un noi. Dobbiamo capire che le leve della nostra miseria e di quella degli animali sono in parte le stesse e che dobbiamo cominciare a lottare da qui, e in prima persona, ma solo unendoci agli altri potremo raggiungere i nostri scopi, sì, con gli altri, anche con coloro che ancora non hanno compreso la centralità della lotta allo specismo. Perché la costruzione di una società democratica e solidale è qualcosa che riguarda tutti noi: lavoratori, precari, donne, migranti, bambini, anziani, malati. Oggi molti animalisti vivono nella loro piccola nicchia, celebrano la propria “purezza” mentre urlano il proprio dolore e il proprio rancore al resto del mondo come se la sofferenza e la morte che c’è fuori e distrugge le vite degli umani fosse qualcosa di “meritato”. In finale, dicono, l’Uomo distrugge l’Animale e quindi merita di soffrire. Ma quest’Uomo è la maschera con cui il Capitale agisce: tutto fa in nome dell’interesse “umano”. Guerre “umanitarie” e diritti “umani” servono a coprire gli interessi dell’imperialismo. Le famose “libertà dell’Uomo” sono sacrosante, soprattutto la libertà di “impresa” e di “sfruttamento” cui tutte le altre sono subordinate. Ed è sempre a favore del benessere “umano” che la tecnologia viene implementata, salvo poi essere utilizzata per il profitto o per migliorare il controllo poliziesco delle nostre esistenze. Gli animalisti che ancora parlano dell’Uomo come causa dei mali del pianeta sono vittime dell’ideologia che la classe dominante ci propina. L’attuale società non difende i diritti umani più di quanto difenda quelli degli animali. Allora è ora di abbandonare la misantropia e smettere di vedere nel vicino di casa il nemico, lo “specista”, verso il quale avrei l’unico compito di convertirlo al veganismo. Il nemico è altrove. E’ un sistema oppressivo il cui cuore è il capitale. E’ più importante lottare assieme a tutte le soggettività oppresse per costruire una società orizzontale, plurale, in cui il potere è di tutti, in cui si costruiscono relazioni nuove, libere, in cui si inventa la vita insieme. E questa lotta va portata avanti giorno per giorno, in ogni luogo, dal basso della nostra esistenza quotidiana, in casa, nei luoghi di lavoro, nei quartieri abbandonati a se stessi, fino ai piani alti dei palazzi del potere dove di decidono le leggi che regolano le nostre vite, su su fino agli scenari internazionali dove si combatte una lotta di classe planetaria che ancora oggi massacra, bombarda, distrugge milioni di umani e non-umani. La liberazione animale senza liberazione umana è “cieca” perché per vedere dove dobbiamo colpire è necessario recuperare l’unità degli oppressi e degli sfruttati, guardare là dove il capitale si nasconde e manovra occultamente le nostre esistenze. Tutto il resto potrà farci stare meglio interiormente, metterci a posto con la coscienza, ma non cambierà il mondo là fuori.
Allo stesso tempo, e d’altro canto, la liberazione umana senza liberazione animale è “vuota”. Perché? Per vari motivi. Anzitutto, perché se veramente quello che cerchiamo è un modo di produzione diverso da quello attuale, beh, le conseguenze non possono che essere radicali. Pensare di realizzare una società giusta ed equa che continui lo sterminio delle altre specie viventi, una società iper-produttivista, espansiva, egoistica, violenta e dominatrice è una contraddizione in termini. Ripensare la vita, condividere la vita, non può che significare aprirsi all’ascolto delle esigenze delle altre vite sul pianeta, inventare un modo di convivenza diverso, fatto sempre più di compenetrazione, di attenzione, di cura, di ricerca di una coesistenza pacifica, seppure nell’oggettiva difficoltà che questo progetto può comportare e che non voglio minimizzare. Ma si tratta di un processo che, per quanto lungo, dovrà prima o poi iniziare.
E non è possibile pensare che l’educazione di un’umanità finalmente libera, un’umanità finalmente liberata dall’ansia di accaparrare tutto, di schiacchiare il debole, dalla necessità del mors tua vita mea sia insensibile allo sguardo terrorizzato dell’animale in suo potere. Noi immaginiamo una società affrancata dal dominio come una società in cui alla cieca violenza dell’abitudine si è sostituita una cultura consapevole, riflessiva, autonoma, aperta al dialogo, al confronto, in cui la propaganda è stata sostituita dall’informazione libera, in cui le scelte etiche sono frutto di un’esperienza maturata nella consapevolezza del dolore universale e praticate con ragionevolezza. Ebbene se già oggi in questa società violenta, razzista ed egoista ci sono barlumi di una sensibilità nuova verso la sofferenza della natura – di cui l’antispecismo è l’avanguardia – perché una società in cui il tempo della vita è fatto finalmente di cooperazione e reciproco rispetto non dovrebbe finalmente realizzare quel passo ulteriore che porterà finalmente a sentire come affare mio il dolore di una vita che non mi appartiene e che pure mi somiglia abbastanza da chiamarmi ad un gesto di responsabilità nei suoi confronti? Liberare l’umano dal sistema dell’egoismo organizzato è il passo necessario perché una nuova sensibilità si configuri e si sviluppi, una nuova cultura della libertà che includa il vivente non-umano e apra scenari finora impossibili allo sviluppo della società umana.
Perché una società libera non potrà mai dirsi tale se anche la scienza e al tecnologia non saranno finalmente liberate dal profitto e ciò che oggi opprime e reifica il vivente non verrà finalmente ripensato e praticato come strumento di liberazione e non più di asservimento. Verrà forse un giorno in cui i laboratori che oggi seviziano animali per la ricerca saranno luoghi in cui si realizzano gli strumenti di una convivenza pacifica con il pianeta.
Infine, non è possibile pensare che il capitalismo, l’ultima incarnazione delle società gerarchiche, classiste, patriarcali e dominatrici, sparisca senza che venga estirpato fino all’ultima radice il meccanismo spiritualistico che vede l’Uomo come “figlio di Dio” al centro dell’universo, signore e padrone del cosmo. La liberazione umana è anche liberazione dell’animale umano, liberazione dalla gabbia di una civiltà costruita su questo delirio di onnipotenza, sulla premessa di una nostra estraneità al resto del vivente: premessa che Darwin ha distrutto ma purtroppo di cui ancora sentiamo gli effetti in ogni nostro gesto.
Che la società contemporanea, dopo essersi lasciata alle spalle l’illusione antropocentrica e spiritualista, possa ancora praticare di fatto questo dominio sul resto della natura, significa che continua ad agire come se quel verdetto sulla “supremazia” della nostra specie fosse ancora valido. Ogni scienziato che agisce come se la natura fosse bruta materia al suo servizio è un sacerdote senza saperlo. Ogni materialista volgare che pratica il dominio sul resto del vivente è uno spiritualista senza saperlo: sia esso un avido capitalista o un comunista convinto che la Terra “appartiene” all’Uomo. Essere materialisti, oggi, significa invece non solo sapere che quel verdetto sulla “signoria” dell’uomo è falso ma che va anche rovesciato nel suo opposto: non siamo signori di niente e dobbiamo smetterla di comportarci come se lo fossimo.
Praticare la liberazione animale significa prendere sul serio il materialismo, la consapevolezza che siamo qui sulla Terra assieme alle altre specie, non contro di esse. E che seppure la natura produce meccanismi competitivi, questa non è una legge che abbia un valore assoluto: chi ha pensato così, chi ha pensato di dover inseguire la natura sulla strada del socialdarwinismo, ha realizzato campi di sterminio, ammazzato vecchi e disabili, sterilizzato persone inermi, usato umani come cavie. Se nella natura c’è violenza, e c’è, sta a noi scegliere in che modo rispondere a quella violenza, se praticandone una più grande che rischia di spazzare via la vita sul pianeta, o se invece deponendo le armi e immaginando relazioni diverse tra di noi e con il resto del vivente. Sta a noi costruire una società che si regga su fondamenti opposti da quelli attuali. Il nostro impegno come militanti ecosocialisti e antispecisti è rovesciare un sistema che si regge sull’iniquità, l’isolamento e la violenza per sostituirlo con una rete di relazioni fondate sulla solidarietà, la condivisione e la pace. Per gli umani e gli altri animali.

Marco Maurizi

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