domenica 22 aprile 2018

CANE FERALE. Questa Terra è la mia Terra


A mio padre

E' solo la libertà che può far crescere le ali 
poter fuggire dalle gabbie che soffocano

Incatenati a convinzioni di superiorità 
donando così la vita alle belve

Loro ci monteranno con briglie di acciaio
fino a strapparci la pelle di dosso

Osservate il sorriso genuino 
che intraprende vie diverse
sempre in direzione del tramonto

Esseri speciali che lottano per un flebile respiro
mai domati, mai ascoltati

Guardate dritto negli occhi le "verità in tasca" 
nemiche della nostra attitudine a volare

Spingerle al di là del sentiero
non potranno più farci del male



CANE FERALE. Questa Terra è la mia Terra

Ieri, sabato in un giorno di lavoro in un canile del nord, abbiamo ricevuto chiamate di residenti nei pressi della struttura, che trovavano adiacenti alle loro abitazioni scatoloni con al loro interno cuccioli di cane.
In un giorno 20 cuccioli!
Tutti in evidente stato di sofferenza fisica e psicologica, molti di loro in ipotermia e non sappiamo quanti ce la faranno a sopravvivere!

Sono stato male, non ho dormito.
Ho pensato cosa posso fare?
Mi sono detto: ho il dovere di non tacere, di fare cultura, offrire strumenti per sensibilizzare le persone!

Scrivo un articolo!
Senza paura di espormi a nessuna critica e senza paura di denunciare il sistema! Senza paura di eventuali ritorsioni!

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Il fenomeno del randagismo o i "fenomeni" del randagismo?
Tra realtà artefatte e bisogni di business!

Attraverso questo articolo, che non ha la presunzione di essere la verità, vorrei mettere in luce alcune mie riflessioni, che riguardano la situazione di allarme randagismo.
Nel farlo tento di raccontare come potrebbero essere i fatti e di come alcuni interventi dell’umano, nel tentativo di migliorarle, si siano presto trasformati in qualcosa che di migliorativo non ha nulla, anzi con il trascorrere del tempo, si siano addirittura trasformate, parossisticamente, in un business scellerato di alcuni individui senza scrupoli.

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Partiamo su come potrebbero andare le cose se l’umano non fosse mai intervenuto o non intervenisse più.

In Italia, potremmo definire che tra le specie autoctone selvatiche ne esiste una che può essere definita la linea di confine tra il selvatico e l’inselvatichito: il cane ferale.
Questi cani hanno trovato la loro nicchia ecologica, da moltissimi anni in ambienti lontani dai centri abitati, preferendo vivere allo stato selvatico in campagne incolte, macchia mediterranea, boscaglie e in alcuni casi ai margini delle discariche o delle zone industriali ove all’interno sono presenti anche filiere che producono alimenti.
I cani ferali sono animali con grandi competenze relazionali e si riuniscono costituendo branchi, all’interno dei quali le dinamiche sociali non sono strettamente di natura parentale diretta come sembrerebbe per il lupo, ma più aperte a ingressi di nuovi componenti.
Per vivere, il cane ferale si dovrebbe procacciare, come ogni animale selvatico il cibo, affrontando gli sforzi che questo comporta, naturalmente questo bisogno di nutrirsi porta a una prima selezione: I cani più dotati fisicamente e più forti possono nutrirsi con maggiore facilità.
I meno resistenti, i malati e i più anziani, come avviene sempre in natura, avrebbero maggiori difficoltà e parte di essi morirebbe attraverso quello che si chiama selezione naturale. Non è una legge barbara della natura, è un patrimonio della salvaguardia di ogni specie, avere un numero di soggetti adatto alle risorse che offre l’ambiente in cui essi sono chiamati a vivere.
Ho così descritto come i cani ferali trovano il primo equilibrio tra numero e risorse: la sopravvivenza garantita solo ai soggetti più sani e prestanti.
La ricerca del cibo per alimentarsi per il cane ferale non è cosa semplice o scontata, la ricerca degli alimenti richiede al branco notevoli sforzi fisici e performance, distanze da percorrere si uniscono allo sforzo di catturare prede in movimento, tranne le rare volte che la discarica offre risorse a basso costo di prestazione fisica.
Questo sforzo per procacciarsi il cibo offre l’opportunità di sopravvivenza ai cani con più competenze nella strategia su come reperire gli alimenti, ma necessità anche di prestazioni atletiche, una volta che si sono avvistare le prede, per raggiungerle, catturarle e infine ucciderle per consumarle.
Questi sforzi si comprende bene che provocano nelle femmine quello che capita anche nella nostra specie: di fronte a grandi sforzi atletici o con difficoltà alimentari, il genere femminile non è più fecondo, l’ovulazione vene meno e il ciclo mestruale si interrompe. Questo fenomeno "programmato" a livello genetico, è naturale. Come se il corpo si accorgesse dei momenti di forte stress o bassa nutrizione e decidesse, che non è il momento adatto di fare figli.
Nel cane ferale avviene la stessa cosa, i periodi di calore si ridurrebbero verosimilmente da due l’anno a uno, come avviene per i cugini lupi, e le cagne meno prestanti e quindi sotto alimentate non sarebbero feconde.
Le cucciolate del cane ferale, senza la mano dell’umano, si ridurrebbero probabilmente a essere pessimisti, della metà. Questa è un ulteriore selezione naturale, funzionale al numero dei soggetti in relazione all’ambiente che hanno a disposizione.
Il numero delle cucciolate ridotte dalla selezione naturale, come ho appena descritto, verosimilmente non sarebbero così numerose in termini di soggetti, non tanto per quanto riguarda gli ovuli fecondati, ma per il numero di questi che arriverebbe vivo alla nascita. Inoltre, una volta nati, è chiaro che senza l’intervento dell’umano, solo i cuccioli sani, più forti e maggiormente resilienti possono sopravvivere e diventare soggetti adulti.
È verosimilmente che il numero dei cuccioli che diventerebbe adulto sarebbe proporzionale al tasso di mortalità che si riscontra nel branco, per tutte le ragioni che ho descritto in precedenza.
Questo fenomeno da origine a una stabilizzazione selettiva del gruppo sociale sotto-specie cane ferale, in equilibrio nel suo ambiente.

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Cosa avviene quando interviene l'umano

Avviene che l’umano si divide spesso tra buoni e cattivi. E se i cattivi sono quegli umani che sparano con le doppiette o investono i cani ferali che si avvicinano alle zone urbane, i buoni per la legge del contrappasso sono quelli che si occupano di loro, anche se in buona fede, nel farlo fanno guai in termini etologici.
Ma tra i buoni e i cattivi, come spesso avviene ci sono i furbi, quelli che dicono male dei primi, quelli dalla doppietta facile. Però, allo stesso tempo adoperano i secondi usando le loro emozioni e sentimenti, il vero fine ultimo è di utilizzarli, dopo averli raggirati e infinocchiati, come lavoratori a gratis. Strumenti umani che lavorano gratuitamente per garantire un cucciolificio di cani ferali, dove tra slogan di: "non comprare il cane ma adottalo", i cani da adottare sono a loro volta della merce prodotta, e diciamo la verità in nero e senza nessun controllo in termini di benessere e di salute.
Il vero motto dietro questo slogan sembra essere: "Non comprare il cane in allevamento, adottalo in canile, tanto li riempio io i canili dopo quelli del sud, anche quelli del nord, prezzo modico faccio tutto con 60/80 euro a cane per viaggio di solo andata dal Sud al Nord". Destinazione, non Paradiso, ma scatolone nei pressi di qualche canile dall’Emilia Romagna in su.

Quanto sta accadendo è ormai visibile da tutti.
I cani ferali vengono cercati da molti volontari in buona fede ma spesso capitanati dalle menti di progetto subdolo, cinico e senza scrupoli.
Una volta avvistati questi cani i volontari portano loro alimenti, ripari di fortuna, si prendono cura dei cani meno abili.
A prima vista ci verrebbe da dire che sono proprio persone amabili e sensibili.
E infatti è vero!
Ma purtroppo la loro sensibilità non è sufficiente, ignorano che quello che stanno facendo porterà risultati disastrosi. Ed è compito dei Professionisti e delle istituzioni descriverlo, io tento di farlo con i miei limiti e mezzi.

I volontari sono persone perbene e se fanno degli errori è perché nessuno li ha messi nella condizione di compredere quali questi possono essere.
Il primo errore è nutrire i cani ferali. Nutrire artificialmente i cani ferali li porta a non muoversi più per procacciarsi cibo, la selezione naturale in base alle competenze e alla forza del gruppo viene meno. Dare ripari di fortuna, anche posticci, permette a questi cani di non avere più la possibilità di avere una certa dispersione areale e tutti i benefici che questa comporta per la distribuzione dei gruppi in aree molto più estese.
I cani ferali alimentati artificialmente dall’umano diventano di sedentari e quasi tutte le femmine hanno due calori l’anno la competizione essendoci tante risorse viene meno e così non si assiste neppure a una leadership dei soggetti di genere femminile con il “diritto” di riprodursi.
Nello stesso branco le femmine riproduttrici diventano allora molte e gli accoppiamenti multipli con più soggetti di genere maschile rendono le cucciolate particolarmente numerose.
Il tasso di mortalità naturale di questi cuccioli viene compromesso ancora una volta dall’intervento dell’uomo che avendo controllato la posizione dei cani ferali attraverso il sistematico foraggiamento, può controllare il momento delle nascite fare in modo che artificialmente ne sopravviva il numero maggiore possibile con interventi sistematici di alimentazione, intromissione e forzate alimentazioni artificiali. E infine prendere queste cucciolate appena svezzate e inserirle nel mercato dei trasporti con la destinazione al nord. Alcune spedizioni vengono fatte da staffette che portano i cani verso gli stalli offerti da volontari in buona fede tenuti volutamente all’oscuro e “ignoranti” su come stanno le cose, e finita la disponibilità degli stalli queste cucciolate e ogni tanto qualche soggetto adulto vengono abbandonati nei pressi dei canili, naturalmente come prima tutto questo avviene con menta Centro/Nord – Nord Italia.

Forse bisognerebbe davvero ragionare se il problema si risolve con le campagne di sterilizzazione e tutto quello che ci viene detto sul come arginare il fenomeno del randagismo.
A volte penso che il vero modo per arginare il fenomeno che abbiamo creato in parte in buona fede e in parte da pochi che ne hanno trovato vantaggi di business, potrebbe essere facile facile. Smettere di occuparci di un fenomeno che non esiste, perché è stato da noi umani creato.

Probabilmente per fare in modo che il fenomeno scompaia, dovremmo smettere di fare noi i fenomeni, lasciando in pace una sotto-specie: il cane ferale, che saprebbe bene come inquadrarsi, gestirsi, riequilibrarsi e stabilizzarsi numericamente in base al territorio e alle risorse che esso può garantire.

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