lunedì 16 aprile 2018

Facce della stessa medaglia





La paura del buio

Siamo così, nudi senza riparo. L'aria artificiale raccoglie un'infinità di sensazioni, angosce. Le alza e le trasporta rumorosamente più in là, verso sbarre immerse nell'oscurità. La solitudine, della segregazione, fa sempre paura. Fa paura a chi subisce la violenza, nel resistere, sentendo bruciare il segno feroce sul corpo. Corpi la cui diversità, marchiata, è sinonimo di non appartenenza. Al di là delle gabbie, sguardi severi, duri, illeggibili. Individui gelidi, calmi, osservano insensibili le grida stridule, soffermandosi solo sull'utilità di corpi divenuti oggetti. La solitudine si amplifica così a livelli siderali investendo i prigionieri, intrappolati in terrificanti fetide celle. Nessuna via di scampo. Lastre di cemento senza finestre, pavimenti resi scivolosi dal sangue, lager senza indirizzo. In questi tetri luoghi, la solitudine, si moltipilica, acquista nuovi significati, il termine sbalza dal piedistallo etimologico per affondare in un baratro senza ritorno. Le urla e i lamenti subiscono un'accellerazione tale che risulta impossibile contarli. Non esiste periodo difficile nella vita paragonabile all'inferno architettato per oliare la macchina del dolore di altri animali. Non esiste sofferenza individuale paragonabile alla infinita turbolenza, incontrollata, dei corpi, la cui unica destinazione è quella di essere nati prodotto. Quando ci troveremo nei periodi scuri della nostra vita e piangeremo per l'incomprensione che ci verrà "donata", spingiamo il nostro sguardo, nel lontano accanto, in quel baratro dove la morte è presente in ogni atomo di ossigeno e, chiudendo gli occhi un istante, crolleremo di vergogna. Fino a quando ogni gabbia non sarà vuota, non potremo mai considerarci liberi. Mai...





Facce della stessa medaglia

Per non essere più sfruttati gli "altri" animali non devono più essere visti come oggetti inanimati, macchine esauste o prodotti. Qualsiasi procedimento forzato atto a renderli strumenti mercificati di lavoro, siano obbligati a subire, concludono inesorabili la loro corsa sempre nelle aule del coltello, del bisturi o del profitto utilitaristico. Coloro che hanno il potere assoluto di mascherare il dominio con lustrini e confezioni all'ultimo grido, di carta riciclata o plastica biodegradabile, non aspettano altro che avere complici, consapevoli o meno, nelle file di chi si dovrebbe anteporre a loro. Diventando così compagni di gioco nella tradizionale gara alla "carne felice". La differenza tra un allevamento intensivo e un allevamento estensivo, non è nella sofferenza ma nei materiali. Nel primo caso: vivere miseramente una non vita calpestando celle metalliche fino a perdere l'esile fiato che ancora traspira dal corpo, sopportare temperature torride in estate e gelide in inverno, stipati tra ferro tagliente e vomito fino a essere trascinati con violenza verso l'ultima stanza. Nel secondo caso: delirare e impazzire in pavimenti di cemento armato contornati da simpatiche aiuole di terra inquinata, dove il piscio e gli escrementi sotterrano, senza appello, la convinzione ipocrita del "benessere animale". In ambedue i casi, celle o terra, vige il buio, l'assoluto buio terrificante della morte. Un buio che i signori vestiti casual e mocassini assolutamente cruelty free vedono ma non "comprendono", illuminati dai fari della notorietà e del compiacimento per i risultati folli dei "piccoli passi". Le vostre luci della ribalta mi danno il voltastomaco. Riuscite perfino a farmi sentire inadatto con le vostre idiote verità granitiche in tasca. Siete capaci, senza batter ciglio, a brindare insieme ai manager dei colossi della devastazione. Calici di cristallo che si elevano tra magliette divertenti raffiguranti animali e frasi ad effetto, fabbricate con le piccole mani di coloro che insultate. Avrete pure eserciti di soldatini che sbavano ai vostri inutili proclami, masse di soldatini che si sentono in pace con la coscienza per le vostre firme fatte coi mostri, ridendo spensierati in ristoranti lussuosi e chef vegani. Tranquilli "missionari" di un mondo che non rispettate, tranquilli, non avrete mai lo sguardo infinito della liberazione totale. La falsa salvaguardia dei "salvatori" sorridenti, seduti su poltrone morbide di velluto ecocompatibile, non fa altro che contribuire ad annientare i fratelli e le sorelle che, cercando un ultimo istante di vita, soffocano dal caldo di giorno e tremano dal freddo di notte. Fino a quando una sola gabbia grande o piccola che sia, confortevole o meno, un solo pavimento, un solo reticolato, una sola recinzione avrà la forza di schiacciare altri esseri mi troverete dall'altra parte; la vostra opposta. Esiste si, una differenza tra coloro che traggono profitto indiscriminatamente col pulsante del comando e i caporali della "salvezza" del pianeta; sta nel viso. I primi ridono fino a piangere, i secondi, falsi, piangono fino a ridere. Ambedue prosciugano la terra. Mentre saranno insieme al mare ad abbronzarsi o in montagna a sciare, milioni di occhi si spegneranno per scelte scellerate a cui avranno partecipato in accordo. I loro "passetti" sono la lama che li chiuderà.

Olmo Vallisnera

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