mercoledì 20 giugno 2018

DA QUANDO HO SMESSO DI MANGIARE LA CARNE…


Viviamo tutta la vita in stanze, alcune perfino senza pareti. Ma restano stanze. Il mio sogno ricorrente? Morire in quella stanza dove lo scoiattolo balla con l'assiolo, il ginepro con l'istrice, il barbagianni con il rosmarino. Il bambino con il vento...



Recentemente ho pubblicato un post (da quando ho smesso di mangiare la carne…) in cui ho condiviso le ripercussioni che la scelta di non mangiare più carne ha avuto sulla mia vita.
Questo post ha ricevuto moltissimi consensi ma è anche diventato il bersaglio di forti critiche.
Sono stata accusata d’intolleranza nel definire ingiusta la morte di tante creature innocenti al solo scopo di soddisfare il piacere degli esseri umani, e sono volati i commenti con considerazioni inneggianti all’uccisione e alla tortura.
I contenuti offensivi e razzisti non saranno pubblicati ma riporto qui un passaggio esemplificativo:
“Per me siete voi vegani o vegetariani a eleggervi razza giusta e superiore, non rispettando minimamente le opinioni di chi mangia carne. Vi credete migliori, ma sbagliate di grosso. Io non ti/vi critico per la vostra scelta e vi rispetto. Rispettate dunque la scelta di chi mangia carne.Smettiamola con questi discorsi assurdi, assurdi veramente! Al limite del ridicolo. Datevi tutti una regolata con le cazzate perché qui si sta esagerando.”

Molte persone cercano la polemica e lo scontro perché sentono intimamente l’importanza della scelta vegana e tentano in questo modo di combattere il richiamo della propria anima.
Spesso l’aggressione nasconde un desiderio sentito interiormente come impossibile e perciò proiettato e combattuto all’esterno.
A tutti quelli che ritengono irrispettosa la mia decisione di non uccidere per vivere, rispondo che non è possibile “tollerare” la violenza.
La violenza è una patologia e pertanto non può essere “rispettata”, deve essere compresa e curata.


DA QUANDO HO SMESSO DI MANGIARE LA CARNE…

Da quando ho smesso di mangiare la carne, mi succede spesso di sentirmi diversa e anormale in un mondo che considera con indifferenza l’uccisione per il solo piacere del gusto.
Ma devo ammettere, con un certo imbarazzo, che da allora molte cose per me sono cambiate.
Fino al momento in cui ho preso la decisione di non nutrirmi più con la vita di qualcun altro, mi era sempre sembrato naturale addentare una bistecca chiacchierando allegramente con gli amici.
E certamente non ignoravo che la carne, prima di essere cucinata, condita e servita in un piatto, era un corpo e apparteneva a qualcuno.
Qualcuno che sicuramente non voleva morire per soddisfare il mio appetito ma che, probabilmente, desiderava vivere ancora.

Lo sapevo anche allora, solo che la mia mente cercava di dimenticarlo perché anche io, proprio come chiunque altro, non volevo pensarci e nascondevo con noncuranza questa informazione facendo finta che non fosse così.
Guardavo il sangue e sentivo soltanto l’acquolina in bocca.
Lasciavo che il mio palato venisse soddisfatto dagli aromi, mi abbandonavo al piacere della conversazione e ammutolivo la consapevolezza, annegandola nel cibo e nella compagnia.
Da quando ho smesso di mangiare la carne, però, questo meccanismo di difesa (chiamato in gergo psicologico “rimozione”) ha smesso di funzionare e così sono sempre terribilmente lucida su ciò che è vita e ciò che invece è morte.
Adesso, quando vedo tutti quei pacchetti incellofanati, con dentro le membra squartate e sanguinolente di tante creature miti, fiduciose e innocenti, sento le lacrime pungermi gli occhi e il mondo mi appare in una luce intensa e senza ombre.
Da quando ho smesso di mangiare la carne, la vita ha assunto una chiarezza che evidenzia la verità, senza censure e senza mistificazioni, e una trasparenza che mette in luce i lati negativi di me stessa in tutta la loro dolorosa realtà.
C’è un prezzo da pagare per ogni scelta e quella di diventare vegana non è stata facile, mi è costata molte privazioni e sacrifici.
Ho rinunciato a credere nella bontà, mia e degli altri, e ho dovuto ammettere la crudeltà di un mondo che ignora la sofferenza.
Ho sacrificato la mia ingenuità, imponendo a me stessa di guardare l’indifferenza negli occhi quando con dolore ne ho scoperti i sintomi fin dentro la mia stessa anima.
Avrei preferito poter salvare almeno la coerenza e non dover riconoscere i crimini, commessi con superficialità e ignoranza, per aver concesso al mio bisogno di approvazione di seguire il branco in quei riti tribali, chiamati pranzi e cene, dove si compiono i sacrifici di tante vittime innocenti.
Ma come molti altri anche io ho goduto, ignorando la morte e il dolore, convinta che fosse del tutto naturale uccidere per soddisfare il piacere del gusto.
Ho dovuto privarmi della mia immacolata perfezione e accettare che, proprio come il peggiore dei nazisti, per mano dei miei sicari ho torturato e ucciso creature che non mi avevano fatto niente, giudicandole inferiori e perciò passibili di morte e di ogni abominio, sulla base dei tratti somatici e di una cultura differente da quella della razza in cui mi riconosco e sento di appartenere.
Avrei voluto scoprirmi migliore e proclamare a testa alta la mia innocenza davanti ai delitti di chi ammazza per divertimento, per sport e per il piacere del proprio palato.
Ma ho dovuto rinunciare al vantaggio di stare dalla parte del giusto e confessare che, come tutti gli altri, sono stata spietata, cinica, indifferente, insensibile e priva di umanità perché anche io ho lasciato che la morte si perpetuasse senza sosta, solo per il piacere di sentire un sapore buono in bocca.
Che brutta sorpresa scoprirmi così crudele e priva di discernimento!
Che sofferenza tollerare di essere gregaria, conformista, qualunquista e opportunista, priva di amore, di pietà e di rispetto per gli altri esseri che insieme a me popolano la terra.
Esseri che non distruggono il pianeta per mangiare innumerevoli volte in un solo giorno, che non soffrono di sovrappeso, cellulite e obesità, che non prendono psicofarmaci e che non hanno malattie mentali, prostituzione, pedofilia, sfruttamento, inganno e usura.
Esseri che rispettano la natura e che convivono con le altre specie senza distruggere ciò che hanno intorno per divertimento.
Esseri miti che si lasciano condurre a morire piuttosto che ribellarsi alla violenza e alla ferocia dei loro carnefici.
Quando ho smesso di mangiare la carne, ho dovuto anche smettere di credere a quello che dicono tutti, per cominciare a seguire le istruzioni del mio cuore.
E ho scoperto che non è possibile vivere sereni cibandosi di morte, perché la nostra anima conosce i crimini commessi nel silenzio e in quel silenzio li osserva, senza giudizio e piena di dolore, aspettando con pazienza che arrivi il momento di liberarsi da quella zavorra di angoscia che appesantisce il cuore.

Ma tanti strati di sofferenza inespressa creano una coltre sulle percezioni e intorpidiscono la comprensione della vita rendendola greve e priva di significato.
Scoprirsi complici di tanti abomini oscura l’immagine idealizzata che vorremmo avere di noi stessi e ci costringe a cambiare per diventare migliori.
Perciò, da quando ho smesso di mangiare la carne, a malincuore ho dovuto rinunciare a credere nella mia bellezza illuminata di essere prescelto da Dio per portare la saggezza in un mondo popolato di bestie, rozze e prive d’intelligenza.
E ho dovuto ammettere con umiltà che proprio quelle bestiesono i maestri venuti a dimostrare con l’esempio della loro esistenza cosa vuol dire rispettare il creato, la natura e la vita.
Così, da quando ho smesso di mangiare la carne, non sono più l’eletta rappresentante di una razza superiore ma una fra tanti, colpevole di aver creduto con presuntuosa arroganza che al mondo esistano vite di serie A e vite di serie B.
E con umiltà ho dovuto riconoscere che la vita è sempre un valore assoluto, a chiunque appartenga.
Oggi, quando mi trovo in mezzo a una di quelle belle riunioni conviviali, ricche di antipasti e di tante portate succulente, sono oggetto di curiosità, di scherno o di commiserazione, da parte di quelli che, proprio come me, occultano a se stessi la consapevolezza in nome di un sapore a cui sacrificano il valore della vita.
Spesso mi piacerebbe raccontare cosa si prova scegliendo di non cibarsi della morte, e spiegare come il percorso verso il raggiungimento dell’umanità passi attraverso il riconoscimento che ogni creatura ha diritto alla propria esistenza, senza essere il pasto di nessuno.
Ma so che è inutile intestardirsi nel tentativo di combattere la rimozione per proporre un’idea che ancora non può essere accolta nella coscienza.
So che io stessa in passato sono stata così, insensibile e priva di umanità.
Ognuno deve fare il suo percorso e trovare da solo, nascoste in fondo all’anima, le ragioni per cui la vita è degna di essere vissuta con amore, con umiltà e con rispetto.
Perciò, da quando ho smesso di mangiare la carne, lascio che tutti compiano i propri sbagli con noncuranza, convincendo se stessi di essere nel giusto e soffrendo un dolore di cui diventa sempre più difficile scovare le radici perché strati di prevaricazione censurata impastano l’anima dando forma a una vita senza chiarezza.
E mentre cerco di condividere il mio pensiero e le mie scelte, capisco che ciò che è giusto per me è incomprensibile per qualcun altro, convinto di appartenere a una razza prescelta da un Dio che fa figli e figliastri, e perdona e punisce secondo un criterio arbitrario e pericolosamente narcisista.
Allora parlo, sapendo che le mie parole raggiungeranno soltanto le persone pronte per condividerle, e con gratitudine ringrazio chi, nel passato, ha avuto con me la stessa risoluta determinazione, mentre da sola costruisco un mondo in cui non ci sarà sopraffazione, ma tutti potremo vivere in armonia scambiando i doni delle nostre culture gli uni con gli altri.
Carla Sale Musio

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