lunedì 25 giugno 2018

O capitano mio capitano


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A Genova abbiamo provato a dirvelo: questa globalizzazione provocherà disastri. Ma voi avete fatto spallucce e siete rimasti dalla parte dell’ordine e della legge anche quando hanno indossato i panni del boia. Mica solo dei nostri carnefici. Quelli di Carlo Giuliani, dei poveri cristi della Diaz e di Bolzaneto, delle migliaia di persone massacrate in piazza. Ma pure dei vostri. Dovreste rifletterci: noi abbiamo provato a dirvelo che si stava globalizzando lo sfruttamento e non i diritti. Che si stava allargando la forbice fra ricchi e poveri anche in occidente, e che fra quei poveri sarebbe stata scatenata ad arte una guerra.

Cosa metterete oggi a tavola, ammesso che abbiate soldi a sufficienza per riempire il frigo? Pesce surgelato in arrivo dal Pacifico, in un paese come il nostro che è tutto costa e mare? Frutta e verdura dalla sponda settentrionale dell’Africa? Hamburger con scadenza di dieci minuti che arrivano da allevamenti costruiti sulle terre rubate ad altri poveracci di un’altra parte del mondo? E già che ci siete guardatevi pure i vestiti, le scarpe, la sedia sulla quale siete seduti, la tv e il monitor dove lasciate che si perda il vostro sguardo.

Tutto proviene da ogni parte. Ovunque sia economicamente conveniente produrlo, pescarlo, allevarlo, coltivarlo, assemblarlo, brandizzarlo, rubarlo, esportarlo o importarlo. E poi quotarlo in borsa trasformandolo in capitale finanziario. Di cosa vi meravigliate, quindi, quando sotto la vostra finestra ci sono donne e uomini in carne e ossa che arrivano dai ogni angolo di questo pianeta? Anche le donne e gli uomini sono una merce, non ve l’ha mai detto nessuno? E se il capitalismo va a casa loro a comprare un’ora del loro lavoro, mettiamo a un dollaro, cosa vi stupisce se fanno il movimento inverso provando a vendere qua quell’ora di lavoro fosse pure solo a due dollari?

È la stessa logica di quell’economia di mercato contro la quale noi avevamo provato a mettervi in guardia indicandovi la luna della globalizzazione. La stessa che spinge i giovani italiani, spagnoli, portoghesi, greci, in Francia, Inghilterra e Germania. La stessa che mette in competizione italiani e stranieri in Italia. Ma voi avete preferito guardare il dito dell’estintore. Un estintore vuoto a sette metri di distanza dal retro del minuscolo finestrino di un defender. E poi l’avete chiamata legittima difesa, anche se erano ore che un corteo autorizzato veniva caricato, gassato, bastonato, rincorso, umiliato.

Noi ci siamo difesi, quando nemmeno scappare è bastato più, provando indirettamente a difendere le ragioni di tutti. Voi quando inizierete a farlo pensando che la risposta non sia un insensato nazionalismo, ma la difesa collettiva del genere umano contro un’esigua minoranza di carnefici transnazionali?"

di Rosario Dello Iacovo 21 luglio 2015

O capitano mio capitano

Ormai mancano pochi giorni. Che data infame. 12 anni sono passati. Sembra ieri, cosi si dice no? Pioveva, anche se era luglio, i primi, pioveva. Davanti al grande fiume, lento e placido, lanciai nel vento le tue ceneri. La corrente le portò via subito, neanche il tempo di salutarti. Scomparse tra i mulinelli grigi. Tre giorni rimasi lì. Senza tenda, senza sacco a pelo. Non volevo andare via, non volevo. Sei stato tu, dopo tre giorni, a dirmi di andare. Io sarei rimasto tutta la vita. Quanta pioggia ho preso. Anche il cuore si era bagnato. Non lo sai ma, quando sono andato via, ho provato a raggiungerti. Ma era impossibile, me lo avresti vietato. Tu, che eri contro tutti i divieti, anche quelli dell'amore, non me lo avresti mai permesso. 12 anni, e cosa mi rimane, qualche frase, altri sguardi e una montagna alta, come l'everest, di libri anarchici. Tutto qui? Pensavo di più. Pensavo mi avresti lasciato le tue mani, le tue braccia, il tuo sorriso. E invece no, solo un mucchio di libri dove piangere la sera. Perchè? Li ho letti tutti sai? Alcuni anche due volte, così, senza motivo, per farti piacere. Per dimostrarti che ti volevo bene. Sai Babbo, la società in cui viviamo è terrificante, io non lo so che devo fare. Hai passato metà della tua vita in manicomio, alcune volte ti ho tenuto anche compagnia, ti ricordi? Te lo ricordi vero? Eri piccolo, minuto, ma io ti vedevo come un gigante. Ti hanno fatto decine di elettroshock, eppure non sei mai guarito. Me lo ricordo sai cosa mi dicevano: "Stai tranquillo bimbo, il tuo Babbo guarirà". Ma tu non eri malato, eri solo diverso. Eri solo diverso da questa società di soldati. Sai Babbo, da bimbo non capivo, non lo sapevo che malattia avevi, poi, quando sono cresciuto ho compreso. La tua malattia si chiamava anarchia, ti hanno rinchiuso in manicomio perchè eri un anarchico. Bastardi. Infami. Eri solo un anarchico, bastardi. Però Babbo non ho dimenticato il tuo consiglio:
.
Avevo 18 anni quando mi disse queste parole. 18 anni. Quelle parole mi fecero mettere lo zaino in spalla, mi misero le scarpe buone. E girai il mondo. Oggi cosa mi resta, una vita a lottare senza aver mai vinto una sola battaglia. Non sono mai stato un bravo anarchico. Gli anarchici non sono bravi, sono solo amanti. Amanti della libertà. Perdono tutto ma amano sempre.
"O capitano mio capitano" quando ti penso Babbo, penso ai versi di Walt Whitman:

Esultate coste, suonate campane!
mentre io con funebre passo
percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.

Quando sei morto in tanti hanno esultato, in tanti hanno suonato le campane a festa. Pure i medici, terrorizzati dalle tue eventuali denuncie. Idioti con la laurea, mediocri con i libri dietro la scrivania mai letti. Arroganti, prepotenti, fulgidi esempi della "terza categoria". Mio padre non vi avrebbe mai denunciato, era una persona perbene, non riconosceva la giustizia dello Stato. Era un anarchico. Certo, vi è andata bene, poteva investirvi, era un anarchico. Ma non lo avrebbe mai fatto. Lui era un sognatore, sognava che in fondo le categorie erano solo due: gli sfruttati e gli sfruttatori. E che in qualche modo eravate pure voi vittime di questa società. Era un uomo perbene, non come me. Io non vi perdonerò mai. Ricordo ancora l'ultima volta che ci siamo salutati col sorriso. Gli altri saluti non li voglio più ricordare. Eri in piedi, fuori dalla porta di casa, una casa vecchia, scrostata. Una casa di ringhiera della vecchia Milano. Quella casa non esiste più, rasa al suolo dai panzer del comune, per costruire dei grattacieli. Quando li hanno inaugurati era pieno di automi felici, orgogliosi che la loro città si stava trasformando in una piccola Nuova York. Che tristezza, li hanno costruiti con i soldi rubati alle stesse persone povere che, esaltate, salutavano gli architetti di successo. Si chiamava "Monumentale" la zona, era vicino, maledettamente vicino al tuo amore: Brera. Il quartiere degli artisti. Meno male Babbo che non hai visto la tua casa in cenere e il tuo amato quartiere trasformato in pub e macchine sportive. Eri in piedi su quel ballatoio arruginito,solo, io in strada, solo, di fianco il centro sociale che tanto amavi, pieno di ragazzi e ragazze ribelli che venivano sempre a bere il caffè da te. Ti chiamavano "Papà" ma io non ero geloso. Eri un pò il papà di tutti e di tutte. Anche il centro sociale, Babbo, lo hanno incenerito. Alzai lo sguardo, ti vidi, accennai un saluto e tu, con quel tuo sorriso meraviglioso, alzasti il pugno in cielo e gridasti: "No Pasaran!". Tenero che eri. Sono passati Babbo, sono passati. Ma quel pugno non lo dimenticherò mai. Quel pugno è il mio, non ti preoccupare. Quanto mi manchi, cristo. Non basta una nave di notti per farmi dimenticare quel pugno. Tra qualche giorno torno a salutarti, su quel grande fiume. Io lo so che adesso non soffri più. Non possono più farti del male, ma questo non mi aiuta, mi manchi lo stesso. Mi mancano i tuoi occhi grigi del colore della tempesta.
Come dicevi sempre:

La vita è una, non la sprecare, gira il mondo,
ama chi vuoi, tendi la mano a chi crolla per terra,
sputa in faccia alle divise e bacia le labbra delle ribelli,
non farti legare, nè ai letti nè alle fabbriche,
sogna un mondo diverso, ascolta la natura
non comprare e non farti comprare,
apri le tasche e dona a chi non ha
e se non hai, dona le tue braccia, la tua fatica
tappati le orecchie alle sirene delle catene
strappale coi denti ma non le ascoltare...

Ciao Vecchiaccio

Il tuo piccolo rompicoglioni

(La foto è di un anarchico qualsiasi,
mio padre non amava le foto. Come me.
Ma era fatto così: stesso sguardo, stessa barba,
stesse rughe, stessi stracci, stesso amico)

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Stava per finire nella ciotola d'acqua dei cani e Maya l'ha notata...
Mezz'ora ad osservare una coccinella, darle una goccia d'acqua da bere e posarla su un fiore. Le cose da fare aspettano quando capitano queste piccole pause rilassanti...
Ogni essere, anche il più piccolo merita rispetto e magari qualche coccola.

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