Festival delle Autoproduzioni |
Crediamo nell’autoproduzione come forma di azione diretta, di libera espressione della creatività, di lotta per accrescere la nostra autonomia e indipendenza, per riprenderci in mano i nostri destini. L’idea di proporre un festival delle autoproduzioni nasce da un gruppo di amici nel senese accomunati dalla convinzione che solo attraverso l’azione diretta per la diffusione di cultura e conoscenze si potrà percorrere la strada verso una società liberata. Il festival intende consolidare forme di produzione che mettono al centro le capacità degli individui; modalità di gestione fondate sulla cooperazione tra liberi e uguali; una distribuzione svincolata da leggi e tasse. Chiamiamo singoli e gruppi a presentare le loro esperienze, a raccontare successi e difficoltà, a delineare progetti e aspirazioni.
Proponiamo tavoli di discussione in vari ambiti delle autoproduzioni (editoria, educazione, informatica, software libero, agricoltura, antispecismo,edilizia, distribuzione, vaccini); un libero mercatino permanente per chi vuole esporre e vendere ciò che produce; laboratori per imparare ad autoprodurre (birra, pane, contact, orto, serigrafia, sartoria, terra cruda, sapone, api); attività per i bambini, giocoleria, yoga e tai-chi, trekking; concerti, poesia e teatro.
Ad Ambra si può campeggiare liberamente e gratuitamente ci saranno pranzi e cene cucinate con prodotti artigianali provenienti dalle immediate vicinanze.
Gli obbiettivi sono di far conoscere e consolidare le realtà di auto-produzione, autogestione e auto-distribuzione nei diversi contesti e territori, di conoscerci e rafforzare la rete di collaborazione tra le esperienze. Il festival si nutre delle energie che riuscirà a far germogliare nel cammino che ci porterà alle giornate di Settembre.
Autogestiamo il festival, i rapporti, la vita!!
A settembre vieni in Agripunk, al Festival delle autoproduzioni!
7-8-9 settembre 2018, il #festival delle #autoproduzioni si fa ad Agripunk!
Autoproduzioni, concerti, laboratori, tavoli di discussione e un sacco di altre belle cose.
Programma coming soon su
festivaldelleautoproduzioni.net
agripunk.blogspot.com
Fai autoproduzioni?
Crei, costruisci, ricicli e ti va di venire con il banchetto?
Fai parte di realtà di condivisione e-o autogestione e vuoi raccontare le tue esperienze?
Scrivici alla mail agripunkonlus@gmail.com
L'evento organizzato da David e Desirèe i fondatori del rifugio, i quali racconteranno la storia di questo luogo magico e le storie degli ospiti non umani presenti, quello che hanno costruito in questi anni e i favolosi progetti per il futuro e tu potrai contribuire affinchè questa realtà unica in Italia e forse in Europa sia da esempio per 10, 100, 1000, 10.000 altri rifugi.
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Il rifugio per animali liberi Agripunk ha una storia lunga e travagliata, situato nella vallata incontaminata su di un terreno di ben ventisei ettari in località Ambra in provincia di Arezzo, nell'immediato dopoguerra gli americani costruirono sette enormi e cupi capannoni adibiti ad un allevamento intensivo di tacchini (gli americani hanno la barbara e agghiacciante usanza di ammazzare e cucinare tacchini in qualsiasi occasione e soprattutto durante la loro famigerata "Festa del Ringraziamento", durante la quale vengono sacrificati milioni di tacchini), questo vero e proprio lager era stato concepito per sfamare le migliaia di soldati americani stanziati nel nostro paese nelle varie basi militari costruite allo scopo di difenderci dall'invasione dell'armata sovietica, successivamente l'allevamento fu rilevato da mister "Parola di Francesco Amadori" il quale ha continuato imperterrito e per decenni ancora ad ammassare ed allevare tacchini fino al fatidico anno 2014, quando finalmente David e la sua compagna Desirèe aiutati da tanti altri amici sono riusciti a far chiudere questo nefando stabilimento, da allora questo luogo è stato trasformato in un rifugio di animali liberi di scorazzare e vivere in armonia con la natura, i dettagli di questa storia ed il suo felice epilogo verranno raccontati direttamente dai protagonisti durante i tre giorni del Festival, potete leggere anche i deliziosi post nel blog Agripunk e sulla pagina di Olmo Vallisnera, buona lettura:
Regalo di un fratello di Olmo Vallisnera
L'isola che c'è Chiudete gli occhi. Immaginate una valle, una piccola valle nascosta, circondata da boschi di roveri, silenziosa, dove anche il vento l'accarezza dolcemente e la lascia riposare. Una valletta celata da sguardi indiscreti, protetta, nascosta dal caos frenetico della città... Lontana dalle moltitudini che quotidianamente rincorrono uno status deciso da altri, schiave loro stesse di una condizione di non appartenenza. Adagiata ai piedi della minuscola valle una piana, una piana al primo sguardo dolce, verde, sicura. Lentamente però osservandola con più attenzione ci si accorge che essa è troppo grande per una carezza di colline appena accennate, una piana importante contenuta a fatica da una corona di terra e roccia, querce e roverelle. Inchiodati, sprofondati con la forza del cemento una linea di capannoni giganteschi la occupano per gran parte, ecco, svelato forse il mistero di tale ampiezza, la piana ha le dimensioni misurate da migliaia di metri quadri di pareti, feritoie di metallo gelido, pavimenti umidi e bui, tetti che sfidano il cielo a una guerra a cui nessuno voleva partecipare. Chiudete gli occhi. Toccate le pareti, appoggiate le mani e dopo un attimo verrete travolti. Comincerete a sentire i rumori di fondo, a una prima superficiale lettura sembrano un infinito stormo di anatre selvatiche che riunite balzano per un ultimo saluto prima di emigrare verso lidi piu' caldi, sicuri. Animali liberi che dialogano allegri preparandosi a un lungo viaggio. Ma questa sensazione di pace svanisce velocemente. Più l'orecchio si tende, come un arco consumato da troppi schiocchi, e più si ha la sensazione che quei rumori di fondo non siano poi così rassicuranti. Ogni secondo trascorso con le mani sulle pareti amplifica il disagio innalzandolo a tali frequenze che i timpani cominciano a sanguinare, no, non è uno stormo che posa la sua dolce ombra sui campi sottostanti, non sono suoni che ti invitano a riposare ma sono grida, urla che non danno scampo. Decine, centinaia, migliaia di grida esplodono come un temporale minaccioso. Un terrificante, violento e innaturale temporale ti strappa il fiato lasciandoti senza voce, i polmoni sussultano, cercano ossigeno in una disperata corsa verso un cuore che ha già capito tutto. Ti fermi, rimani bloccato, le gambe non acconsentono più a seguirti, ti sono nemiche, vogliono solo voltarsi e scappare via. Fai uno sforzo immane per rimanere in equilibrio, ti appoggi alla parete ma ecco che vibra per l'onda d'urto di un dolore passato, un terremoto di piume fradicie, ali incastrate, becchi tagliati, zampe spezzate. Calma !, calma...., riprendi il respiro, ti sforzi di pensare ad altro, guardi in alto, una piccola rondine passa velocemente in piccoli cerchi, si avvicina, sente il buio della vita che trasmetti e in un battito frenetico scappa via. Ansimi, la frequenza sale, il tremore delle mani non accenna a smettere, le osservi, non riesci a dare un freno ai singhiozzi, stringi le labbra in un ultimo morso di coraggio e poi urlando con l'ultimo fiato che hai in gola chiedi scusa, scusa, scusa. Squarciando il tuo petto cerchi di respirare, abbassi gli occhi, serri i pugni e violenti le tue gambe che non sentono l'impulso a muoversi, poi, ti concentri sul bosco circostante, si, hai una via di fuga, ormai sordo dai lamenti ti tendi come una molla e scompari, scappi via.....stacchi le mani. Chiudete gli occhi. Capannoni nascosti, lager impenetrabili che si aprono e si chiudono solo per fare caricare e scaricare migliaia di vittime, la loro unica colpa essere degli oggetti, delle cose, della carta straccia. Vittime costrette a sopravvivere ammassate senza aria, ferite, umiliate e torturate per ingrassare individui feroci e accontentare la gola di altri. Migliaia di piccoli esseri privati non solo della libertà, della vita, della loro natura ma insultati anche da morti, scherniti, presi a calci. L'olocausto dura mesi, anni, poi si ferma, viene fermato, nessuna dittatura è eterna. Adesso, aprite gli occhi. L'erba ha acquistato un verde brillante, spacca il cemento creando fessure sempre più larghe. Decine di animali: colombi, capre, pecore, mucche, galline, maiali, cinghiali e altri fino a poco tempo prima segregati respirano spensierati tra i corridoi dei lager, inconsapevoli del dramma che quelle pareti hanno testimoniato, ma portatori loro stessi di altri drammi, altri lager. Timidi si affacciano alla piana e dopo un ultimo sguardo fugace si lasciano trasportare dall'aria profumata di una nuova primavera. Un piccolo laghetto traspira umidità, le sue acque un tempo marce di morte sono finalmente limpide, placate. Piccoli alberi da frutto riposano all'ombra di colline liberate, una leggera sinfonia di saltelli accompagnano un torrente simbolo di una rinascita.
Spalancate gli occhi. Questo non è un sogno, una fiaba per costringerci a vivere di fianco alla sofferenza, per non pensare, o un incubo che ci attanaglia le notti insonne, ma è realtà. Questo angolo di terra, questa valletta strappata alla violenza esiste. La chiamerei “l'isola che non c'è” ma non posso questa isola è palpabile, è presente. Nascosta da una cintura di alberi complici, da profumi delicati di fiori di collina, da rumori familiari, semplici, sereni, finalmente sereni. Abitata da animali umani e da animali non umani, insieme, rispettandosi e imparando da ognuno nuove esperienze. Qui gli animali non vengono acquistati per uno stupido concetto di liberazione, qui vengono strappati dalle morse del sistema. Ormai e' mattina devo partire, un ultimo sguardo alla piana, ai suoi colori e poi mi volto, respiro profondamente, le sensazioni di comprensione qui hanno un senso. Mi allontano, non mi accorgo che qualcuna mi sta osservando, tranquilla, le ferite ormai rimarginate da tanto tempo, una forza di tale portata che intimidisce, una testimone diretta dell'ecatombe, l'ultima sopravvissuta all'infinita, assurda giostra del dolore. Poi una sensazione, mi volto e la vedo, riesco a salutarla, ora riesco a sorridere, ora riesco a respirare... All'orizzonte si staglia una piccola nuvola, sembra quasi abbia la forma di un cuore, chissà mi dico, forse anche le nuvole vogliono chiederti scusa...
Olmo 25 febbraio 2016
Gli ospiti non umani di Agripunk hanno tante storie da raccontare, ad esempio la storia di Scilla un torello riuscito a scappare dalle grinfie dei suoi aguzzini, è fuggito da una nave gettandosi in mare, una nave che trasportava bestiame nel mar mediterraneo, il torello si è buttato in mare fra Scilla e Cariddi nello Stretto di Messina.
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Il rifugio per animali liberi Agripunk ha una storia lunga e travagliata, situato nella vallata incontaminata su di un terreno di ben ventisei ettari in località Ambra in provincia di Arezzo, nell'immediato dopoguerra gli americani costruirono sette enormi e cupi capannoni adibiti ad un allevamento intensivo di tacchini (gli americani hanno la barbara e agghiacciante usanza di ammazzare e cucinare tacchini in qualsiasi occasione e soprattutto durante la loro famigerata "Festa del Ringraziamento", durante la quale vengono sacrificati milioni di tacchini), questo vero e proprio lager era stato concepito per sfamare le migliaia di soldati americani stanziati nel nostro paese nelle varie basi militari costruite allo scopo di difenderci dall'invasione dell'armata sovietica, successivamente l'allevamento fu rilevato da mister "Parola di Francesco Amadori" il quale ha continuato imperterrito e per decenni ancora ad ammassare ed allevare tacchini fino al fatidico anno 2014, quando finalmente David e la sua compagna Desirèe aiutati da tanti altri amici sono riusciti a far chiudere questo nefando stabilimento, da allora questo luogo è stato trasformato in un rifugio di animali liberi di scorazzare e vivere in armonia con la natura, i dettagli di questa storia ed il suo felice epilogo verranno raccontati direttamente dai protagonisti durante i tre giorni del Festival, potete leggere anche i deliziosi post nel blog Agripunk e sulla pagina di Olmo Vallisnera, buona lettura:
Regalo di un fratello di Olmo Vallisnera
L'isola che c'è Chiudete gli occhi. Immaginate una valle, una piccola valle nascosta, circondata da boschi di roveri, silenziosa, dove anche il vento l'accarezza dolcemente e la lascia riposare. Una valletta celata da sguardi indiscreti, protetta, nascosta dal caos frenetico della città... Lontana dalle moltitudini che quotidianamente rincorrono uno status deciso da altri, schiave loro stesse di una condizione di non appartenenza. Adagiata ai piedi della minuscola valle una piana, una piana al primo sguardo dolce, verde, sicura. Lentamente però osservandola con più attenzione ci si accorge che essa è troppo grande per una carezza di colline appena accennate, una piana importante contenuta a fatica da una corona di terra e roccia, querce e roverelle. Inchiodati, sprofondati con la forza del cemento una linea di capannoni giganteschi la occupano per gran parte, ecco, svelato forse il mistero di tale ampiezza, la piana ha le dimensioni misurate da migliaia di metri quadri di pareti, feritoie di metallo gelido, pavimenti umidi e bui, tetti che sfidano il cielo a una guerra a cui nessuno voleva partecipare. Chiudete gli occhi. Toccate le pareti, appoggiate le mani e dopo un attimo verrete travolti. Comincerete a sentire i rumori di fondo, a una prima superficiale lettura sembrano un infinito stormo di anatre selvatiche che riunite balzano per un ultimo saluto prima di emigrare verso lidi piu' caldi, sicuri. Animali liberi che dialogano allegri preparandosi a un lungo viaggio. Ma questa sensazione di pace svanisce velocemente. Più l'orecchio si tende, come un arco consumato da troppi schiocchi, e più si ha la sensazione che quei rumori di fondo non siano poi così rassicuranti. Ogni secondo trascorso con le mani sulle pareti amplifica il disagio innalzandolo a tali frequenze che i timpani cominciano a sanguinare, no, non è uno stormo che posa la sua dolce ombra sui campi sottostanti, non sono suoni che ti invitano a riposare ma sono grida, urla che non danno scampo. Decine, centinaia, migliaia di grida esplodono come un temporale minaccioso. Un terrificante, violento e innaturale temporale ti strappa il fiato lasciandoti senza voce, i polmoni sussultano, cercano ossigeno in una disperata corsa verso un cuore che ha già capito tutto. Ti fermi, rimani bloccato, le gambe non acconsentono più a seguirti, ti sono nemiche, vogliono solo voltarsi e scappare via. Fai uno sforzo immane per rimanere in equilibrio, ti appoggi alla parete ma ecco che vibra per l'onda d'urto di un dolore passato, un terremoto di piume fradicie, ali incastrate, becchi tagliati, zampe spezzate. Calma !, calma...., riprendi il respiro, ti sforzi di pensare ad altro, guardi in alto, una piccola rondine passa velocemente in piccoli cerchi, si avvicina, sente il buio della vita che trasmetti e in un battito frenetico scappa via. Ansimi, la frequenza sale, il tremore delle mani non accenna a smettere, le osservi, non riesci a dare un freno ai singhiozzi, stringi le labbra in un ultimo morso di coraggio e poi urlando con l'ultimo fiato che hai in gola chiedi scusa, scusa, scusa. Squarciando il tuo petto cerchi di respirare, abbassi gli occhi, serri i pugni e violenti le tue gambe che non sentono l'impulso a muoversi, poi, ti concentri sul bosco circostante, si, hai una via di fuga, ormai sordo dai lamenti ti tendi come una molla e scompari, scappi via.....stacchi le mani. Chiudete gli occhi. Capannoni nascosti, lager impenetrabili che si aprono e si chiudono solo per fare caricare e scaricare migliaia di vittime, la loro unica colpa essere degli oggetti, delle cose, della carta straccia. Vittime costrette a sopravvivere ammassate senza aria, ferite, umiliate e torturate per ingrassare individui feroci e accontentare la gola di altri. Migliaia di piccoli esseri privati non solo della libertà, della vita, della loro natura ma insultati anche da morti, scherniti, presi a calci. L'olocausto dura mesi, anni, poi si ferma, viene fermato, nessuna dittatura è eterna. Adesso, aprite gli occhi. L'erba ha acquistato un verde brillante, spacca il cemento creando fessure sempre più larghe. Decine di animali: colombi, capre, pecore, mucche, galline, maiali, cinghiali e altri fino a poco tempo prima segregati respirano spensierati tra i corridoi dei lager, inconsapevoli del dramma che quelle pareti hanno testimoniato, ma portatori loro stessi di altri drammi, altri lager. Timidi si affacciano alla piana e dopo un ultimo sguardo fugace si lasciano trasportare dall'aria profumata di una nuova primavera. Un piccolo laghetto traspira umidità, le sue acque un tempo marce di morte sono finalmente limpide, placate. Piccoli alberi da frutto riposano all'ombra di colline liberate, una leggera sinfonia di saltelli accompagnano un torrente simbolo di una rinascita.
Spalancate gli occhi. Questo non è un sogno, una fiaba per costringerci a vivere di fianco alla sofferenza, per non pensare, o un incubo che ci attanaglia le notti insonne, ma è realtà. Questo angolo di terra, questa valletta strappata alla violenza esiste. La chiamerei “l'isola che non c'è” ma non posso questa isola è palpabile, è presente. Nascosta da una cintura di alberi complici, da profumi delicati di fiori di collina, da rumori familiari, semplici, sereni, finalmente sereni. Abitata da animali umani e da animali non umani, insieme, rispettandosi e imparando da ognuno nuove esperienze. Qui gli animali non vengono acquistati per uno stupido concetto di liberazione, qui vengono strappati dalle morse del sistema. Ormai e' mattina devo partire, un ultimo sguardo alla piana, ai suoi colori e poi mi volto, respiro profondamente, le sensazioni di comprensione qui hanno un senso. Mi allontano, non mi accorgo che qualcuna mi sta osservando, tranquilla, le ferite ormai rimarginate da tanto tempo, una forza di tale portata che intimidisce, una testimone diretta dell'ecatombe, l'ultima sopravvissuta all'infinita, assurda giostra del dolore. Poi una sensazione, mi volto e la vedo, riesco a salutarla, ora riesco a sorridere, ora riesco a respirare... All'orizzonte si staglia una piccola nuvola, sembra quasi abbia la forma di un cuore, chissà mi dico, forse anche le nuvole vogliono chiederti scusa...
Olmo 25 febbraio 2016
Gli ospiti non umani di Agripunk hanno tante storie da raccontare, ad esempio la storia di Scilla un torello riuscito a scappare dalle grinfie dei suoi aguzzini, è fuggito da una nave gettandosi in mare, una nave che trasportava bestiame nel mar mediterraneo, il torello si è buttato in mare fra Scilla e Cariddi nello Stretto di Messina.
Separati dal tempo, separati dalle distanze, separati nelle vicissitudini passate.
Riuniti per vivere, riuniti per essere fratelli, riuniti per resistere.
Scilla e Stella
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