giovedì 16 agosto 2018

Le domande di un ponte Ascanio Celestini, attore

Genova, 14 agosto 2018. Il ponte Morandi - Stefano Rellandini, Reuters/Contrasto

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#NUDICOME... 
#Benetton e la strumentalizzazione dell'antirazzismo: la nuova campagna di #greenwashing volta a cancellare le vittime sparse per il mondo provocate dall'operato della multinazionale italiana.

Riassunta in pochi passaggi la natura di una multinazionale leader dello sfruttamento #madeinitaly


"NUDI COME… il corpo senza vita di Santiago gettato nel Rio Chubut dalla polizia e restituito a due mesi dalla sue scomparsa, ucciso da un morbo chiamato capitalismo che per l’occasione vestiva abiti Benetton.

NUDI COME… le comunità Mapuche della Patagonia argentina, perseguitate da decenni, strappate delle terre ancestrali all’inizio degli anni ’90, colonizzate da Benetton e convertite in allevamenti per la produzione di lana.

NUDI COME… i cavalli, le mucche e le pecore deportate sulle terre strappate ad altri viventi, schiavizzat* e ridotti a strumenti del capitale, oggetti funzionali agli introiti della multinazionale di turno.

NUDI COME… le oltre 1000 persone rimaste schiacciate dal crollo del Rana Plaza (Bangladesh) nel 2013, una fabbrica tessile, una di quelle prigioni capitaliste costruite sulla disperazione delle persone che, sottopagate e trattate alla pari di un ingranaggio, confezionano i capi di abbigliamento venduti poi in tutto il mondo.

NUDI COME... quei corpi schiacciati materialmente dal crollo di un ponte, ma moralmente dall'ipocrisia di chi neanche di fronte all'evidenza ha il coraggio di ammettere le proprie responsabilità, preoccupati a tutelare gli interessi economici posti sempre prima del bene comune.

Ma i fatti ormai si conoscono, da anni.
Campagne di questo tipo sono solo il sintomo della consapevolezza raggiunta dalle multinazionali, che si aggrappano periodicamente a strategie di marketing per impedire che il proprio regno cada in frantumi, sgretolato dall’esodo di consumatori e consumatrici.
Il problema non sono loro, le multinazionali.
Il problema è chi gli offre sostegno ridisegnandogli l’immagine, ignorando volutamente o meno quale sia la verità.
Il problema sono i media tradizionali che, nell’oceano di un giornalismo defunto, prestano spazio a non-notizie utili però ad offrire un’immagine non veritiera dei volti di queste aziende.
Il problema è rappresentato da chi di fronte all’evidenza continua a voltarsi dall’altra parte, pensando che esistano problemi più gravi, ancora convint* che vi siano vite di serie A e vite di serie B."

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Earth Riot

Il bilancio provvisorio di questa immane tragedia è di 39 morti, 15 feriti dei quali 5 gravi, 10-20 dispersi, e oltre 600 sfollati, una catastrofe che si poteva evitare se  l'autostrada fosse stata chiusa  e messa in sicurezza come già da tempo i tecnici avevano consigliato, ma non si è trattato di una tragica fatalità, di un evento del destino cinico e baro, abbiamo i nomi e cognomi dei colpevoli, si chiamano Gruppo Gavio e Famiglia Benetton, i concessionari delle autostrade, i quali in tutti questi anni si sono limitati a riscuotere gli enormi profitti dei pedaggi e degli autogrill e non si sono minimamente degnati di provvedere alla manutenzione di ponti strade e gallerie, la colpa è anche dei governi precedenti che hanno svenduto per un piatto di lenticchie la società Autostrade SPA a questi criminali, in primis la Volpe di Gallipoli anzidetto D'Alema, ma anche questo ultimo imbelle governo Coso con il baciapile Di Maio, l'affiliato al Ku Klux Klan Salvini e l'occhio di triglia Toninelli (le triglie sono molto più intelligenti ed espressive) i quali fra balbettii e pigolii ancora non si sono decisi a fare quello che avrebbero dovuto eseguire immediatamente dopo la tragedia, e cioè revocare all'istante le concessioni, metterli sotto accusa per omicidio colposo plurimo, disastro colposo conseguente a crollo di costruzione e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti e confiscare tutti i beni, i palazzi, le opere d'arte ed il castello dove vivono i familiari Benetton così da mandarli sul lastrico ed impedirgli finalmente di continuare il genocidio dei Mapuche in Patagonia, del folle disboscamento delle foreste del sud del mondo, dello sfruttamento delle centinaia di migliaia di pecore e montoni, dello sfruttamento dei bambini del terzo mondo dove vengono prodotte le maledette magliette del gruppo, ma anche noi singoli cittadini possiamo fare molto, boicottiamo i suoi negozi e non acquistiamo più nemmeno un pedalino o una mutanda e quando siamo in autostrada rifiutiamoci di pagare il pedaggio fino a quando la società Autostrade SPA non sarà tornata di proprietà dello Stato, e anche sui pedaggi ci sarebbe da ridire, bisognerebbe abolirli, come previsto dalla allora legge che diceva che i pedaggi sarebbero stati aboliti una volta ripagate le spese di costruzione, e datosi che sono passati oltre trent'anni è giusto abolirli, basta imitare la Germania, dove da decenni i pedaggi sono stati aboliti... (Nino Malgeri)

Le domande di un ponte Ascanio Celestini, attore

Sul ponte di Genova che è crollato ci sono passato centinaia di volte.
Non abito in quella città, ma ci vado a lavorare tutti gli anni. Così come lavoro a Firenze e Napoli, Milano e Lecce. E poi in tanti paesi che alle volte si attraversano a piedi in pochi passi. Recanati, Panicale, Lumezzane.
Ci passo tornando da Ventimiglia e verso Fosdinovo dove c’è un festival di resistenti.
Ci passo scendendo da Bergamo per andare al teatro Modena di Sanpierdarena dove gli amici dell’Archivolto ci ospitano nella loro foresteria al primo piano e dove vado a fare la spesa al supermercato che ritrovo nella scritta del camion appeso sul moncone del ponte Morandi. Le lettere bianche in campo rosso col fondo verde.
Quel ponte è un balcone.
Sta in mezzo a tanti buchi fatti nelle montagne per chilometri e chilometri. Il verme infinito dell’autostrada striscia tra paesaggi domestici in quel pezzo d’Italia. Proprio in fondo al ponte, in direzione di Livorno, mi ricordo delle casette contadine, pezzetti di orto e qualche anziano con la zappa a pochi metri dalla strada. Come oleogrammi di un passato che non riesce a passare. Testimone del tempo che da quelle parti ha stravolto tutto: case, strade e passioni politiche. Tutto, ma non l’anima dei terrazzamenti.
Il ponte Morandi era un’eccezione.

Penso a noi che viviamo almeno un terzo della vita in movimento

Fino a lì, partendo dalla Francia o dalla Toscana, avevi la sensazione che la natura impervia fosse solo parzialmente penetrabile, ma ti ricordasse costantemente che era sempre presente costringendoti a fare curve su curve per girarle attorno senza poterla scansare mai.
Poi: il ponte!
Un salto in lungo, un’acrobazia.
Leggo sui giornali le dichiarazioni degli esperti.
Ancora non sappiamo nulla, ma fanno ipotesi. Qualcuno dice che il dramma era annunciato. Qualcun altro che l’opera era ambiziosa e il materiale doveva essere manutenuto meglio. Qualcun altro ancora suggerisce che forse la tragedia è da mettere in conto quando si tira su un colosso del genere.
Io non lo so.
Non ho gli strumenti per farmi un’opinione.
E comunque non è questa la mia prima riflessione.
Io penso a me e a tutti quelli che fanno migliaia di chilometri di strada. Che un pezzo della vita se la guardano camminando su quella striscia d’asfalto. Che guidano di notte rubando un po’ d’aria fresca dal finestrino e ascoltando la radio mentre qualcuno più stanco dorme sul sedile accanto.
Che conoscono a memoria gli autogrill, vedono i panini restare identici nella forma e nel nome. Che sanno gli orari per evitare anche la fila al cesso. Che tra colleghi si ritrovano a parlare delle buche sull’E45 e i lavori eterni, dei cento chilometri senza area di servizio sulla Roma-Pescara, degli autovelox sulla Fi-Pi-Li o per quale trattoria vale la pena deviare e perdere un’ora di viaggio.
Ora non penso ai comitati pro e contro, né agli scandali che accompagnano le opere pubbliche.
Genova, 15 agosto 2018. Il ponte Morandi (Stefano Rellandini, Reuters/Contrasto)

Io penso a noi che viviamo almeno un terzo della vita in movimento per quel black carpet srotolato su tutta la lunghezza dell’Italia.
Vedo quel moncone di ponte, quel balcone crollato a un passo dal mare.
Lo vedo come una profezia che s’avvera. Come la Natura di Leopardi, magari un po’ più empatica di quella del poeta, che viene a porre domande a noi viaggiatori: “Ma tu dov’è che vuoi andare? E come vuoi davvero arrivarci?”. Ci ricorda che il viaggio non è una retta tra due punti dove è importante solo arrivare, dove quello che sta in mezzo è solo tempo da perdere.
Penso a noi tutti lungo la strada e in particolare a Marco Paolini.
Al suo viaggio che si è inchiodato mettendo il punto a due vite: quella di una donna che s’è interrotta e la sua che s’è rovesciata come un guanto.
Una strada non è solo una questione per politici e ingegneri. Una strada è una visione del mondo.
Non ho delle risposte. Non ce n’ho nemmeno una. Davanti a quel camion sospeso a cinquanta metri d’altezza ho solo domande.
Che mondo sogniamo quando chiediamo a un ingegnere di costruirci un’autostrada a più corsie?
Che mondo reclamiamo quando preghiamo la politica di darci un treno più veloce?Dove desideriamo farci portare da queste strade?


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Spese militari indispensabili???
F35???
Devo ancora capire bene chi dovremmo andare a bombardare e da chi ci dovremo difendere, visto che gli attentanti ce li facciamo da soli...
E poi, se quando piove per tre giorni, vengono giù intere montagne e se a seguito di terremoti di magnitudo, che in paesi altamente sismici come il Giappone, vengono considerati delle "scossette", interi paesi sono rasi al suolo, seguiti da tutto ciò che e' il solito rituale di tangenti e di assassini che di notte ridono al telefono, credo, anzi ne sono certo, che il problema di questo paese non siano i venditori di cocco sulle spiagge o i migranti in fuga da guerra e miseria...
È storia vecchia, siamo la nazione del senno del poi, probabilmente abbiamo i governi che ci meritiamo con uomini della provvidenza annessi...





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Ogni caso

Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

Wislawa Szymborska

(per Genova, per i sommersi e i salvati, per il caos e il caso che accerchiano, beffardi, la nostra vita, e noi che, caparbi, continuiamo a grattare con le unghie per estrarre frammenti di bellezza, di senso, di verità, e farli brillare per un istante, quell’unico che ci è concesso).

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