Per far sì che l'evento abbia la miglior riuscita possibile, abbiamo bisogno del tuo aiuto. Invita i tuoi amici a partecipare, questo è il giorno in cui ci uniamo per la liberazione animale e pre la fine dello specismo.
Tutti i dettagli dell'evento saranno pubblicati in prossimità della data.
Finché un'ingiustizia non ha un nome, è invisibile.
E se è invisibile, non è percepita come un problema.
Il 29 settembre noi saremo a Roma per rendere manifesto l'invisibile, per dire a tutti che schiavizzare e uccidere altri individui, pensando che tutto questo sia normale, naturale e necessario, un nome ce l'ha: si chiama SPECISMO, e deve finire.
Saremo lì con tutta la nostra energia e la nostra voglia di dire NO a una società fatta di violenza e dominio, quindi saremmo uniti anche dal rifiuto di qualunque discriminazione e violenza di cui siano vittima gli umani (razzismo, sessismo, omofobia, fascismo e ogni altro pensiero violento e totalitario).
Vogliamo aggregare coloro che desiderino essere uniti per la fine dello specismo e che sia questo desiderio (assieme al rifiuto di altre discriminazioni) ad accomunarli, non l'appartenenza a specifiche sigle (per questo motivo, nel caso in cui i partecipanti siano anche membri di associazioni, chiediamo che la partecipazione avvenga unicamente a titolo personale, e che l'evento non venga in alcun modo pubblicizzato come una iniziativa propria o alla quale si partecipa in quanto sigla).
Per la fine dell'intollerabile specismo, per una testimonianza di assoluto dissenso e resistenza a questa società del dominio, vogliamo riempire quella piazza!
Giornata mondiale per la fine dello specismo lotta con noi!
FINE DELLO SPECISMO è PIAZZA SAN SILVESTRO A ROMA (ritrovo alle14.30). La piazza è raggiungibile tramite la Metro A, fermate Barberini oppure Spagna (entrambe distanti una decina di minuti a piedi).
"Parlare ai bambini degli animali: come la società dà messaggi confusi sull'idea di rispetto."
di April Tui-Buckley·
(Immagine di Melinda Hegedus)
"Una delle principali responsabilità dei genitori è quello di insegnare ai propri figli il rispetto. Cerchiamo di crescerli per essere bambini gentili e premurosi e diventere adulti rispettosi e compassionevoli. Come genitori, abbiamo molte altre cose da prendere in considerazione, ma ciò è qualcosa di prioritario per me e per la maggior parte dei genitori.
Ho passato la mia infanzia in un allevamento in Nuova Zelanda, il luogo meno probabile per promuovere il veganismo, ma, che ci crediate o no, i suoi semi sono stati seminati lì. Sono anche di origine Maori e sono cresciuta come una forte donna Maori. Il rispetto per la terra e la sua gente erano centrali nella mia educazione. Nella nostra cultura siamo considerati custodi della terra, che la governano e la trattano con cura per le generazioni future. In nessun modo la cultura Maori è vegana, ma anche la mia cultura ha svolto il suo ruolo nel modo in cui oggi io vivo da vegana.
Non posso dire di essermi mai mai sentita totalmente a mio agio con quello che accadeva agli animali nei nostri allevamenti. Posso dire che il mio primo ricordo ha a che fare con il sentirmi confusa.
Per quale motivo mi è stato insegnato a non far del male ad altri, ad essere gentile con cani e gatti, ma poi ad uscire dalla porta di casa e vedere come mio padre faceva cose indicibili ad altri animali? Quegli animali di cui c'eravamo presi cura nel corso di mesi o, a volte, anni. Quegli animali che tenevano mio padre sveglio fino a notte fonda, quando camminava per le colline, sotto la pioggia battente, solo per salvarli. Avevo supposto, ingenuamente, che lui non volesse che soffrissero. Che salvava quegli agnelli per una questione di empatia. Ma ben presto ho imparato che ognuno di quegli animali in quella fattoria, come pure in tutte le altre aziende, era una merce.
Mio padre lavorava per lunghe ore, per dargli da mangiare e prendersi cura di loro, nel frattempo rovinando la propria salute. Ma questo non era empatia, come avevo creduto. Arrivata l'adolescenza, ho capito molto chiaramente che si trattava di un lavoro, che quegli animali erano una fonte di profitto e niente di più.
Mi chiedevo come fosse possibile prendersi cura di loro, trascorrere con loro tutto quel tempo, come ho fatto io, e poi essere materialmente in grado di porre fine alla loro vita. Era qualcosa così lontano da ciò che provavo per gli animali.
Inoltre mi chiedevo cosa mai significasse davvero la parola "rispetto", quando tutto ciò che ho imparato, vivendo in un allevamento, sembrava rendere quella parola priva di significato.
Perché mi dicevano di trattare il mio gatto delicatamente o di smettere di colpire mia sorella? Perché loro meritavano il rispetto, perché si evitava di causare loro del male, ma il mio papà, invece, poteva tagliare la gola di qualsiasi altro animale a proprio piacimento? Perché gli veniva permesso di prendere i loro piccoli? Perché gli veniva permesso di mettere un collare elettrico al suo cane da lavoro, presumibilmente molto amato, per potergli dare una scossa se andava nella direzione sbagliata? Perché mia madre Maori mi insegnava cose riguardo al razzismo, al sessismo e all'oppressione, e quanto sia importante per noi combatterli, ma mi venivano dati carne, pesce, latticini e uova?
Quando sono diventata più grande e più coraggiosa, ho cominciato a mettere in discussione molto apertamente quello che mi era stato insegnato. Una volta mi capitò di guardare le foto del primo animale che mio padre ha ucciso (era un adolescente, penso avesse circa 13 anni). Si trattava di un maiale. Quella notte gli chiesi cosa avesse provato mentre uccideva per la prima volta un animale.
Lui non capì letteralmente la domanda. "Ma di che parli?!? Non ho provato niente, perché era solo un maiale". Questo è ciò che gli è stato insegnato e quello che lui ha tentato di insegnarmi. Che un maiale è solo un oggetto. Che non ha valore dal punto di vista morale e non ha diritti. Che non è uguale al tuo gatto, a tua sorella o a te. Che il mio compito è ucciderlo. Questo è il messaggio più confuso e allucinante che sia mai possibile insegnare ai vostri figli. In sostanza stiamo insegnando ai nostri figli ad amare uno e non l'altro, solo perché le cose stanno così e basta: "questo è il modo in cui stanno le cose, non posso spiegare perché, ma solo fare quello che faccio, anche se non ha alcun senso".
Non possiamo aspettarci che i bambini diventino adulti rispettosi e compassionevoli, se ciò che realmente insegniamo loro è questa filosofia confusa e selettiva.
La maggior parte dei bambini provano amore e rispetto per gli animali, anche quelli di noi cresciuti in un ambiente pieno di morte e di mercificazione (altrimenti noto come allevamento). Ciò che stiamo insegnando ai nostri figli è in realtà l'esatto opposto del rispetto. Gli stiamo insegnando ad ignorare i propri stessi istinti.
Stiamo insegnando loro l'incoerenza morale.
Una filosofia confusa che non ha alcun vero valore e che si basa su tradizioni culturali, sulla convenienza e, onestamente, su uno dei peggiori tratti umani: l'egoismo. Stiamo insegnando ai nostri figli che l'unica cosa che conta è se stessi. Che il rispetto non sia qualcosa da dare a ogni essere senziente. Che si debba ignorare il proprio istinto naturale e seguire quello che fa una società incasinata, senza senso, del tutto arbitraria, secondo un insieme di regole proclamate in automatico e che decidono a chi è o non è permesso di essere libero, a chi è o non è concesso di vivere la propria vita alle proprie condizioni.
Quale risultato abbiamo da questo insieme immorale e incoerente di credenze? La violenza.
Abbiamo violenza in tutto il mondo. Nelle nostre case, nelle nostre strade, nelle nostre scuole, nei nostri supermercati, assolutamente ovunque. Ogni violenza proviene dallo stesso posto. Senza il rispetto, si ha la violenza. Un mondo senza violenza sarà possibile solo quando capiremo pienamente ciò che quella parola, il "rispetto", significa veramente e daremo ad ogni essere senziente parità di accesso ad essa.
Ora sono diventata mamma e ciò che insegniamo a nostra figlia è molto chiaro. Siamo contro il razzismo, siamo per l'eguagliazna dei diritti per le donne, siamo contro ogni oppressione, tra cui lo specismo. Noi siamo vegan. Questo è quello che ho imparato dalla fattoria in cui ho vissuto, questo è quello che ho imparato dalla mia cultura Maori. Potrebbe sembrare una cosa molto strana da dire, visto che ho appena parlato dei messaggi confusi che mi hanno dato. Ma aver vissuto in un allevamento significa che ho vissuto accanto agli animali. Ho sentito le loro grida strazianti mentre chiedevano aiuto. Ho visto personalmente, da vicino, il terrore nei loro occhi. Ho visto l'amore che avevano per i loro piccoli. Che temevano per la loro vita, proprio come facciamo noi quando pensiamo di essere in pericolo. La cultura Maori è ricca di rispetto per la terra, il mare, le piante, le persone - sia quelle vive che quelle defunte. Penso di aver ricevuto delle lezioni che ho imparato dalla mia gente. E le ho estese fino a includere gli animali, perché, in realtà, in nessun altro modo avrebbero avuto senso."
di April Tui-Buckley·
(Immagine di Melinda Hegedus)
"Una delle principali responsabilità dei genitori è quello di insegnare ai propri figli il rispetto. Cerchiamo di crescerli per essere bambini gentili e premurosi e diventere adulti rispettosi e compassionevoli. Come genitori, abbiamo molte altre cose da prendere in considerazione, ma ciò è qualcosa di prioritario per me e per la maggior parte dei genitori.
Ho passato la mia infanzia in un allevamento in Nuova Zelanda, il luogo meno probabile per promuovere il veganismo, ma, che ci crediate o no, i suoi semi sono stati seminati lì. Sono anche di origine Maori e sono cresciuta come una forte donna Maori. Il rispetto per la terra e la sua gente erano centrali nella mia educazione. Nella nostra cultura siamo considerati custodi della terra, che la governano e la trattano con cura per le generazioni future. In nessun modo la cultura Maori è vegana, ma anche la mia cultura ha svolto il suo ruolo nel modo in cui oggi io vivo da vegana.
Non posso dire di essermi mai mai sentita totalmente a mio agio con quello che accadeva agli animali nei nostri allevamenti. Posso dire che il mio primo ricordo ha a che fare con il sentirmi confusa.
Per quale motivo mi è stato insegnato a non far del male ad altri, ad essere gentile con cani e gatti, ma poi ad uscire dalla porta di casa e vedere come mio padre faceva cose indicibili ad altri animali? Quegli animali di cui c'eravamo presi cura nel corso di mesi o, a volte, anni. Quegli animali che tenevano mio padre sveglio fino a notte fonda, quando camminava per le colline, sotto la pioggia battente, solo per salvarli. Avevo supposto, ingenuamente, che lui non volesse che soffrissero. Che salvava quegli agnelli per una questione di empatia. Ma ben presto ho imparato che ognuno di quegli animali in quella fattoria, come pure in tutte le altre aziende, era una merce.
Mio padre lavorava per lunghe ore, per dargli da mangiare e prendersi cura di loro, nel frattempo rovinando la propria salute. Ma questo non era empatia, come avevo creduto. Arrivata l'adolescenza, ho capito molto chiaramente che si trattava di un lavoro, che quegli animali erano una fonte di profitto e niente di più.
Mi chiedevo come fosse possibile prendersi cura di loro, trascorrere con loro tutto quel tempo, come ho fatto io, e poi essere materialmente in grado di porre fine alla loro vita. Era qualcosa così lontano da ciò che provavo per gli animali.
Inoltre mi chiedevo cosa mai significasse davvero la parola "rispetto", quando tutto ciò che ho imparato, vivendo in un allevamento, sembrava rendere quella parola priva di significato.
Perché mi dicevano di trattare il mio gatto delicatamente o di smettere di colpire mia sorella? Perché loro meritavano il rispetto, perché si evitava di causare loro del male, ma il mio papà, invece, poteva tagliare la gola di qualsiasi altro animale a proprio piacimento? Perché gli veniva permesso di prendere i loro piccoli? Perché gli veniva permesso di mettere un collare elettrico al suo cane da lavoro, presumibilmente molto amato, per potergli dare una scossa se andava nella direzione sbagliata? Perché mia madre Maori mi insegnava cose riguardo al razzismo, al sessismo e all'oppressione, e quanto sia importante per noi combatterli, ma mi venivano dati carne, pesce, latticini e uova?
Quando sono diventata più grande e più coraggiosa, ho cominciato a mettere in discussione molto apertamente quello che mi era stato insegnato. Una volta mi capitò di guardare le foto del primo animale che mio padre ha ucciso (era un adolescente, penso avesse circa 13 anni). Si trattava di un maiale. Quella notte gli chiesi cosa avesse provato mentre uccideva per la prima volta un animale.
Lui non capì letteralmente la domanda. "Ma di che parli?!? Non ho provato niente, perché era solo un maiale". Questo è ciò che gli è stato insegnato e quello che lui ha tentato di insegnarmi. Che un maiale è solo un oggetto. Che non ha valore dal punto di vista morale e non ha diritti. Che non è uguale al tuo gatto, a tua sorella o a te. Che il mio compito è ucciderlo. Questo è il messaggio più confuso e allucinante che sia mai possibile insegnare ai vostri figli. In sostanza stiamo insegnando ai nostri figli ad amare uno e non l'altro, solo perché le cose stanno così e basta: "questo è il modo in cui stanno le cose, non posso spiegare perché, ma solo fare quello che faccio, anche se non ha alcun senso".
Non possiamo aspettarci che i bambini diventino adulti rispettosi e compassionevoli, se ciò che realmente insegniamo loro è questa filosofia confusa e selettiva.
La maggior parte dei bambini provano amore e rispetto per gli animali, anche quelli di noi cresciuti in un ambiente pieno di morte e di mercificazione (altrimenti noto come allevamento). Ciò che stiamo insegnando ai nostri figli è in realtà l'esatto opposto del rispetto. Gli stiamo insegnando ad ignorare i propri stessi istinti.
Stiamo insegnando loro l'incoerenza morale.
Una filosofia confusa che non ha alcun vero valore e che si basa su tradizioni culturali, sulla convenienza e, onestamente, su uno dei peggiori tratti umani: l'egoismo. Stiamo insegnando ai nostri figli che l'unica cosa che conta è se stessi. Che il rispetto non sia qualcosa da dare a ogni essere senziente. Che si debba ignorare il proprio istinto naturale e seguire quello che fa una società incasinata, senza senso, del tutto arbitraria, secondo un insieme di regole proclamate in automatico e che decidono a chi è o non è permesso di essere libero, a chi è o non è concesso di vivere la propria vita alle proprie condizioni.
Quale risultato abbiamo da questo insieme immorale e incoerente di credenze? La violenza.
Abbiamo violenza in tutto il mondo. Nelle nostre case, nelle nostre strade, nelle nostre scuole, nei nostri supermercati, assolutamente ovunque. Ogni violenza proviene dallo stesso posto. Senza il rispetto, si ha la violenza. Un mondo senza violenza sarà possibile solo quando capiremo pienamente ciò che quella parola, il "rispetto", significa veramente e daremo ad ogni essere senziente parità di accesso ad essa.
Ora sono diventata mamma e ciò che insegniamo a nostra figlia è molto chiaro. Siamo contro il razzismo, siamo per l'eguagliazna dei diritti per le donne, siamo contro ogni oppressione, tra cui lo specismo. Noi siamo vegan. Questo è quello che ho imparato dalla fattoria in cui ho vissuto, questo è quello che ho imparato dalla mia cultura Maori. Potrebbe sembrare una cosa molto strana da dire, visto che ho appena parlato dei messaggi confusi che mi hanno dato. Ma aver vissuto in un allevamento significa che ho vissuto accanto agli animali. Ho sentito le loro grida strazianti mentre chiedevano aiuto. Ho visto personalmente, da vicino, il terrore nei loro occhi. Ho visto l'amore che avevano per i loro piccoli. Che temevano per la loro vita, proprio come facciamo noi quando pensiamo di essere in pericolo. La cultura Maori è ricca di rispetto per la terra, il mare, le piante, le persone - sia quelle vive che quelle defunte. Penso di aver ricevuto delle lezioni che ho imparato dalla mia gente. E le ho estese fino a includere gli animali, perché, in realtà, in nessun altro modo avrebbero avuto senso."
"Visto dall’alto il mondo è un altro mondo"
– di Marco Maurizi
Visto dall’alto il mondo è un altro mondo.
Viste dall’alto le nostre grandi imprese umane sembrano minuscole e irrilevanti, un formicolare di affaccendati tristi.
Viste dall’alto le vite di tutti gli esseri viventi che adornano la terra appaiono, in un colpo d’occhio e di ali, come una cosa sola.
Zampe esili tastano il mondo e ne saggiano la consistenza, aggrappate ad un ramo o ad un filo ma pronte a volare via ad ogni istante.
Legate ad ogni cosa e fissate a nulla, le zampe di una libertà che pesa poco sulle cose perché del peso delle cose sa fare a meno.
Un mondo dove si è in tanti eppure c’è tanto spazio.
Un mondo dove le case si costruiscono con dedizione per sé e i propri figli, pezzo dopo pezzo, con l’intelligenza seria di chi misura il tempo con il metro della cura.
E che si abbandonano, senza rimpianti, quando il tempo giunge a maturazione.
Un mondo dove la velocità è un valore che si somma alla saggezza, dove non c’è ansia del futuro perché ogni gesto è costruito sulla fiducia. Perché per imparare a volare occorre fidarsi e lasciarsi andare.
E poi le ali. Il dono del volo, la capacità di sentire il proprio corpo sciogliersi nell’aria, l’elemento del vuoto che ti sostiene, il possibile che si fa orizzonte, la libertà che si incarna in una parabola danzante.
Ridicoli, imbarazzanti e spaventosi al confronto, Icaro, Leonardo e i fratelli Wright.
La nostra invidia per gli uccelli è senza pari dall’alba dei tempi.
Ci guardano dall’alto – benché non dall’alto in basso – e questo a noi non va.
Non sopportiamo che esista una prospettiva al mondo che non sia la nostra.
Visto dall’alto il mondo è un altro mondo.
E così quell’altro mondo che ci affascina e deprime, perché mostra le mancanze del nostro, preferiamo chiuderlo in gabbia.
Perché la meraviglia delle cose pretendiamo possederla piuttosto che sfiorarla con le zampe come loro: anche se così facendo ne perdiamo irrimediabilmente l’essenza.
E se non possiamo averla preferiamo che non sia, che avvizzisca della nostra stessa tristezza.
Eppure avremmo molto da imparare dagli uccelli se decidessimo di aprire le gabbie e seguirne le impronte delicate.
Impareremmo a guardare il mondo sottosopra.
Che è poi l’unico modo per poterlo raddrizzare.
Nessun commento:
Posta un commento