LA LEGA PER L'ABOLIZIONE DELLA CACCIA ORGANIZZA
Una manifestazione nazionale e pacifica
contro la caccia
a Firenze il 15 Settembre 2018
tutti insieme per gli animali.
VIENI IN PIAZZA CON MUSICA E STRISCIONI
Noi siamo decisi e determinati, vieni al nostro fianco
e insieme diremo
Basta Caccia
Una giornata di ordinaria follia
Una mattina fredda. La leggera nebbia, impregnata di sapore di rugiada e pensieri in cammino, avvolgeva la radura. Silenzio. Un silenzio irreale. Il sole, nonostante provasse in tutti i modi a penetrare le piccole gocce di umidità, riusciva solo a fargli il solletico. La vista si allungava a poche decine di metri. Una parete bianca, statica, impenetrabile, impediva qualsiasi prova di temerarietà. Qualsiasi approccio al cammino, alla scelta di continuare. Calma. Profumi intensi di tarassaco lontano, dalla valle, risalivano in semplici tocchi di libeccio. Prugne settembrine aspettavano, speranzose, un sole ormai fatto nebbia. L’erba bagnata, pesante, non consentiva un passo in più, sembrava volesse avvertirti, dicendo:
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Momenti. Istanti scanditi dal volteggiare del corvo imperiale, il richiamo del barbagianni, il grido inconfondibile della poiana. Momenti in cui il mio corpo attento, timoroso, sembrava attendere un sospiro ormai vicino. Il sospiro di voltarmi. Lo sguardo perso, nella intimità dell’alta montagna, era superiore per silenzi alla notte più buia di un gennaio solitario. Mi feci coraggio e mi voltai, in direzione di sentieri conosciuti. Sentieri che potevo percorrere completamente bendato. Era il momento del rientro, verso casa. Poi, d’un tratto, una folata di vento. Non un vento qualsiasi, una nuvola nera. Una moltitudine di ali frenetiche, spaventate, mi sfiorarono, e si lanciarono in picchiata nel burrone, terrorizzate.
.
Paure ancestrali attraversavano il mio cuore come una freccia avvelenata.
Neanche il tempo di elaborare il pensiero, neanche la speranza di aver confuso la convinzione di quello che stava per accadere, con il sogno di uno sbaglio, che fu l’inferno. Decine di colpi. Schiocchi familiari. Colpi che si moltiplicavano con l’eco delle rocce, ormai fatte nemiche, si amplificavano fino a ferirmi i timpani. Lamenti. Lamenti in lontananza, accompagnati da urla conosciute, terrificanti, che incitavano altri animali a inseguire creature fino a qualche istante prima felici, inconsapevoli. Serene nella loro dimora. Iniziava, quella mattina, il dramma inevitabile della caccia. Ma i cinghiali, creature incontrastate dei boschi, non si sono arresi timidamente. Si sono difesi, a morsi e colpi di zanne. Una difesa di tale bellezza che il termine “difesa” andrebbe rivisto.
Momenti. Istanti scanditi dal volteggiare del corvo imperiale, il richiamo del barbagianni, il grido inconfondibile della poiana. Momenti in cui il mio corpo attento, timoroso, sembrava attendere un sospiro ormai vicino. Il sospiro di voltarmi. Lo sguardo perso, nella intimità dell’alta montagna, era superiore per silenzi alla notte più buia di un gennaio solitario. Mi feci coraggio e mi voltai, in direzione di sentieri conosciuti. Sentieri che potevo percorrere completamente bendato. Era il momento del rientro, verso casa. Poi, d’un tratto, una folata di vento. Non un vento qualsiasi, una nuvola nera. Una moltitudine di ali frenetiche, spaventate, mi sfiorarono, e si lanciarono in picchiata nel burrone, terrorizzate.
Paure ancestrali attraversavano il mio cuore come una freccia avvelenata.
Neanche il tempo di elaborare il pensiero, neanche la speranza di aver confuso la convinzione di quello che stava per accadere, con il sogno di uno sbaglio, che fu l’inferno. Decine di colpi. Schiocchi familiari. Colpi che si moltiplicavano con l’eco delle rocce, ormai fatte nemiche, si amplificavano fino a ferirmi i timpani. Lamenti. Lamenti in lontananza, accompagnati da urla conosciute, terrificanti, che incitavano altri animali a inseguire creature fino a qualche istante prima felici, inconsapevoli. Serene nella loro dimora. Iniziava, quella mattina, il dramma inevitabile della caccia. Ma i cinghiali, creature incontrastate dei boschi, non si sono arresi timidamente. Si sono difesi, a morsi e colpi di zanne. Una difesa di tale bellezza che il termine “difesa” andrebbe rivisto.
Rivedevo in loro i 300 di Leonida. I cinghiali hanno lottato con un tale coraggio che dovrebbe far piegare dalla vergogna tutti. Per ore, inseguiti, braccati. Per ore, per chilometri. In fila indiana, alcuni giovani cinghiali maschi, avanti, in avanscoperta, a 200 metri di distanza, più in basso, Il maschio più imponente ad aprire la strada al gruppo, alla famiglia. Le femmine in mezzo con i cuccioli e dietro altri tre cinghiali immensi a proteggere le retrovie. Ancora più indietro, a trecento metri, l’ultimo cinghiale a fermare gli inseguitori. A immolarsi per far scappare la famiglia. Non ho mai visto niente del genere, una tattica perfetta. In natura una tattica perfetta, contro i proiettili tutto inutile.
Silenzio. Attimi infiniti di silenzio, e poi ancora colpi. Colpi di grazia. Singoli colpi.
Sono passati giorni, giorni lunghi come una malattia a cui non volevo partecipare. Qualcuno mi ha detto che quella mattina un cucciolo, di cinghiale, sia riuscito a scappare appena in tempo da quella guerra assurda, inutile, lanciandosi con la forza della disperazione giù nella selva di rose canine, e scomparendo alla vista dei cacciatori. Nessuno lo ha più visto. Un ombra minuscola sulla via della liberazione.
Passano le settimane e intanto delle voci circolano, si fanno largo nella valle, come una goccia che scende lenta, singola ma inesorabile, da una stalattite di grotta. Voci, solo voci dicono che un piccolo cinghiale viva in mezzo a un gruppo di mucche. Mucche selvatiche. Giganti liberi.
Un contadino pare che l’abbia visto al limitare del bosco di quercie. Il bosco al di là della grande cascata. Non ha potuto avvicinarsi, la nuova famiglia lo protegge con la potenza dell’amore. Ma sono solo voci.
Silenzio. Attimi infiniti di silenzio, e poi ancora colpi. Colpi di grazia. Singoli colpi.
Sono passati giorni, giorni lunghi come una malattia a cui non volevo partecipare. Qualcuno mi ha detto che quella mattina un cucciolo, di cinghiale, sia riuscito a scappare appena in tempo da quella guerra assurda, inutile, lanciandosi con la forza della disperazione giù nella selva di rose canine, e scomparendo alla vista dei cacciatori. Nessuno lo ha più visto. Un ombra minuscola sulla via della liberazione.
Passano le settimane e intanto delle voci circolano, si fanno largo nella valle, come una goccia che scende lenta, singola ma inesorabile, da una stalattite di grotta. Voci, solo voci dicono che un piccolo cinghiale viva in mezzo a un gruppo di mucche. Mucche selvatiche. Giganti liberi.
Un contadino pare che l’abbia visto al limitare del bosco di quercie. Il bosco al di là della grande cascata. Non ha potuto avvicinarsi, la nuova famiglia lo protegge con la potenza dell’amore. Ma sono solo voci.
Poi, all’improvviso, una foto, strappata alla commozione, fa il giro del mondo. Io non lo so se è lui, probabilmente no, ma voglio crederlo. Devo crederlo. Ne ho bisogno come respirare.
.
Mi siedo sul tronco bruciato del faggio e aspetto. Sono ormai passati diversi mesi e del piccolo cinghiale nessuna notizia. Mentre mi chino a bere dalla sorgente ghiacciata che scende, zampillando, dalle alte creste, sento qualcosa. Non è un rumore qualsiasi della foresta, sembra quasi un canto. Mi alzo di scatto e guardo in direzione dell’altopiano ombroso, quello che si trasforma in notte già alle tre del pomeriggio. Un altopiano a nord della guglia del “dente nero”. Non sono canti, sono melodie antiche. Sono muggiti. Comincio a salire il bosco fino a farmi mancare il respiro. Ho una sensazione strana come di scoperta. In cima, dopo 30 minuti di corsa in salita, mi sdraio. Socchiudo gli occhi e osservo.
In fondo alla radura ci sono 10 mucche. Le mucche selvatiche del bosco di larici. Sei adulti e quattro cuccioli. Mangiano, tranquille. Non mi hanno sentito. A 300 metri di distanza e contro vento, sono silenzioso come il lupo. Alcune di loro hanno ancora i campanacci, non sono mai riuscite a strapparseli. Il suono delle campane è così fastidioso, in quel perfetto equilibrio naturale, che vorrei avvicinarmi solo per toglierli. Ma desisto. Non voglio disturbarle. I campanacci continuano il loro sgradevole suono. Stonano. Come tutte le campane.
Ad un tratto, lo vedo.
Mi siedo sul tronco bruciato del faggio e aspetto. Sono ormai passati diversi mesi e del piccolo cinghiale nessuna notizia. Mentre mi chino a bere dalla sorgente ghiacciata che scende, zampillando, dalle alte creste, sento qualcosa. Non è un rumore qualsiasi della foresta, sembra quasi un canto. Mi alzo di scatto e guardo in direzione dell’altopiano ombroso, quello che si trasforma in notte già alle tre del pomeriggio. Un altopiano a nord della guglia del “dente nero”. Non sono canti, sono melodie antiche. Sono muggiti. Comincio a salire il bosco fino a farmi mancare il respiro. Ho una sensazione strana come di scoperta. In cima, dopo 30 minuti di corsa in salita, mi sdraio. Socchiudo gli occhi e osservo.
In fondo alla radura ci sono 10 mucche. Le mucche selvatiche del bosco di larici. Sei adulti e quattro cuccioli. Mangiano, tranquille. Non mi hanno sentito. A 300 metri di distanza e contro vento, sono silenzioso come il lupo. Alcune di loro hanno ancora i campanacci, non sono mai riuscite a strapparseli. Il suono delle campane è così fastidioso, in quel perfetto equilibrio naturale, che vorrei avvicinarmi solo per toglierli. Ma desisto. Non voglio disturbarle. I campanacci continuano il loro sgradevole suono. Stonano. Come tutte le campane.
Ad un tratto, lo vedo.
Un punto grigio a 300 metri, una macchia minuscola dietro la mucca più grande. Ancora oggi non sono sicuro di quello che ho visto. I miei occhi erano colmi di lacrime e non riuscivo a vedere in modo nitido. Ma l’ho sentito. Ho sentito la sua voce. Ho sentito la sua melodia. E il vento contrario mi ha portato il profumo del suo mantello. Il profumo mi ha investito come un campo di mirtilli in estate.
Mi alzo lentamente, scendo dal bosco e arrivo al sentiero. 150 metri di altitudine più in basso. Cammino lentamente, le mie spalle sono, ora, più leggere. Cammino e poi, mi fermo e mi siedo. Ho deciso di non piangere questa volta ma le lacrime non mi ascoltano. Scendono così rapidamente che sembrano le zampe di quel cucciolo di cinghiale che, vorticose, scappavano verso la libertà. Cerco di alzarmi, mi sforzo, ci riesco. Torno a casa e accendo la stufa.
Questa non è una leggenda, una fiaba con un bel finale. Non è una storia che si può racchiudere tra le pagine di un libro di avventure. Questa, è solo una storia di montagna.
Buona fortuna piccolo fantasma. Buona vita fratello coraggioso…
Mi alzo lentamente, scendo dal bosco e arrivo al sentiero. 150 metri di altitudine più in basso. Cammino lentamente, le mie spalle sono, ora, più leggere. Cammino e poi, mi fermo e mi siedo. Ho deciso di non piangere questa volta ma le lacrime non mi ascoltano. Scendono così rapidamente che sembrano le zampe di quel cucciolo di cinghiale che, vorticose, scappavano verso la libertà. Cerco di alzarmi, mi sforzo, ci riesco. Torno a casa e accendo la stufa.
Questa non è una leggenda, una fiaba con un bel finale. Non è una storia che si può racchiudere tra le pagine di un libro di avventure. Questa, è solo una storia di montagna.
Buona fortuna piccolo fantasma. Buona vita fratello coraggioso…
Fonte: Frecce in Versi
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Tutti noi antispecisti vorremmo che tutti gli animali fossero liberi, ma al momento attuale l'unica soluzione auspicabile sarebbe che l'essere umano sparisse dal pianeta terra, come descritto nella parte iniziale del post, nel frattempo che questa eventualità si concretizzi (e dai cambiamenti climatici in atto, non dovrebbe essere un momento tanto lontano, noi umani siamo seduti sul ramo dell'albero che stiamo segando, e manca pochissimo alla catastrofe), bisogna pensare agli animali liberati dagli allevamenti e dai macelli, in Italia e nel mondo esistono tanti rifugi o santuari per animali liberati, e bisogna aiutarli, a supporto di questi luoghi magici, da qualche mese ho formato un gruppo su Facebook: Canapa e Vegan per I Rifugi di Animali Liberi, al momento siamo oltre quattromila iscritti, vorrei che mi deste una mano a farlo crescere, invitando ed iscrivendo i vostri amici;
I rifugi si possono aiutare in tanti modi, il più semplice è destinare l'otto per mille sulle dichiarazioni dei redditi, oppure organizzare delle cene benefit nelle vostre città a favore dei rifugi in ristoranti e locali solo vegan (Non finanziamo gli sfruttatori di animali), ma soprattutto si possono visitare e conoscere gli umani e non umani ospiti delle strutture.
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