venerdì 16 novembre 2018

L’INVERNO E’ INNOCENTE. Un racconto di ordinaria miseria e violenza nell’epoca dei DASPO

Giulio

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Una giornata uggiosa

Una di quelle domeniche che Pasolini definiva: "la speranza che arrivi sera". Pioviggina, di quel l'umido astratto che si posa pesante sulla pelle. Le ultime foglie sui rami, immobili. Quelle a terra ormai scomparse. L'arancione delle foreste dei faggi un lontano ricordo. Quando inebriava le labbra di sfumature cromatiche. Ora tramutato in profondo marrone severo. I torrenti hanno smesso di giocare con i loro spruzzi e i saltelli indefiniti. Scivolano placidi nel silenzio surreale del grande letto. Il cielo e' un grigio strano, quasi bianco. Non permette pensieri superficiali. Li imprime fino ai nervi scoperti. Anche i funghi e le castagne e le mele finalmente, cibo per i selvatici. Non sento colpi di carabina. E' tutto ovattato, quasi discreto, certamente incomprensibile. Come solo una giornata uggiosa sa fare. La montagna riposa, i suoi boschi, la sua intimità. Ma io lo so, che nel cuore più profondo della foresta, si danza. Noi umani confusionali, mai in ascolto, disturbanti, poco inclini all'attesa, non siamo invitati. Ma al di la' della roccia nera, dove il sentiero si interrompe dal grande castagno caduto dal fulmine, i piccoli abitanti della selva stanno danzando.

L'ultima danza prima del lungo inverno...






Si avvicina l'inverno. A una tale velocità che alcuni fratelli sono già morti di fame e freddo. Siamo nell'epoca del -Decoro-. Il loro decoro fatto di violenza e privazioni. Talmente infami da inventare il DASPO. Una delle persecuzioni peggiori ai danni dei "miserabili". Giulio è solo uno dei tanti e Aurora è solo una delle tante.

Vi direi buona lettura ma stavolta non è buona. E' solo vera. E la verità è fatta di immondizia e dolore...

Olmo


L’INVERNO E’ INNOCENTE. Un racconto di ordinaria miseria e violenza nell’epoca dei DASPO

Mi chiamo Giulio e sono un artigiano. In effetti non lo sono più da alcuni anni ma le mie mani hanno ancora le ferite di un tempo, di quando lavoravo il ferro. Sono loro a ricordarmi il mio passato. Non lo sono più, un fabbro, da quando nel 2010 uno zelante, minuscolo, burocrate ha deciso che il mio debito nei confronti dello Stato non poteva essere dilazionato ma pagato in un unica formula. Una singola rata da diecimila euro. Non avevo tutti quei soldi, mia moglie era morta due anni prima e mia figlia abitava all’estero. Vivevo in affitto in un piccolo monolocale e il mestiere che facevo bastava a malapena a pagare le spese della casa. Così, nel giro di due mesi, mi ritrovai in mezzo alla strada. Il padrone di casa mi buttò fuori appena seppe del debito che avevo e non volle sentire ragioni. In strada non riuscivo a cambiarmi spesso i vestiti, facevo anche fatica a dormire. Non ero abituato a letti di marmo o panchine di legno. Il mio datore di lavoro dopo alcune settimane se ne accorse e mi licenziò. La ragione? puzzavo e allontanavo i clienti. Ora vivo da 7 anni per le strade di Firenze. Di giorno vado al parco a dare da mangiare alle colombe e la sera dormo sotto una galleria vicino alla stazione. Ho provato a cercare lavoro ma i senzatetto, i senza fissa dimora o come li chiamate voi i “barboni”, in modo dispregiativo, non lo trovano un lavoro. Sono destinati a sopravvivere tra freddo e immondizia. La vostra immondizia, perchè io non ho niente e non ne faccio di immondizia. La vita per strada è dura ma non come pensate voi, la fatica di mangiare la risolvo sempre, la vera terribile difficoltà in strada è la paura. La paura di essere pestati da ragazzotti di buona famiglia che annoiati ci massacrano in continuazione, la paura di essere portati in qualche ospedale con il TSO e non uscire più, la paura del freddo, della solitudine, della disperazione di essere guardato come una carta straccia senza più valore. Io, che ero un fabbro meraviglioso. Due mesi fa ho incontrato finalmente dopo tanti anni di solitudine un’amica, una splendida amica sfortunata come me. L’ho trovata vicino ai cassonetti in una strada grigia del centro. Tremante, terrorizzata continuava a piangere, piccola, troppo piccola. Appena mi ha visto ha cominciato a scodinzolare. Era affamata come me, spaventata come me. Abbiamo mangiato un pezzo di pane, un pò io un pò lei, poi ci siamo addormentati dietro un vicolo. E da quel giorno siamo diventati inseparabili. Era lucente come un’alba radiosa. L’ho chiamata Aurora. L’inverno a Firenze è gelido, anni fa non mi accorgevo ma ora lo sento tutto sulla mia pelle rugosa. Il due di gennaio ho compiuto cinquant’anni e il tre, all’alba, sono morto. Che tristezza morire coperto da cartoni, che vigliacchi. Erano alcuni giorni che il comune aveva deciso di chiudere la galleria dove io dormivo, troppo degrado dissero. E così io, Aurora e altri compagni nella mia situazione fummo trascinati fuori al vento. Morire di freddo in fondo non è poi così male. Ti addormenti e non pensi più alla tua esistenza, quasi una liberazione. Mentre chiudevo gli occhi ho pensato ad Aurora, povera lei come avrebbe fatto senza di me. Infatti non ci riuscì. Morì tre giorni dopo di ipotermia e fame. Nessuno ne prese le difese. Voglio credere che sia stata sepolta vicino a me, eravamo amici, veri amici. Forse mi hanno buttato via in una fossa, probabile, ma anche fosse voglio continuare a credere che Aurora sia stata messa vicino a me. Ogni tanto penso a tutte quelle persone che in inverno agognano solo alle vacanze, a sciare, ai regali, alle lucine colorate in case calde e confortevoli e mi dico:

-Se questa è la vostra vita, la vostra lotta, le vostre aspirazioni allora io sono stato più fortunato di voi! Per un battito di ali ho vissuto libero, ho amato Aurora, ho parlato con le colombe, ho vissuto ai margini di una società che mangia sulle ceneri di esseri viventi che non hanno uno stomaco di pezza che digerisce tutto e tutti.-

Ora vi saluto non ho più voglia di parlare con voi. Mi avete stancato. Lasciatemi riposare nella terra in pace. Un’ultima cosa: la “spazzatura”, come la chiamate voi, non potrete nasconderla in eterno. Giulio, Aurora e tutti i Giulio e Aurora di strada gridano dai marciapiedi, dai vostri scarti, dalle vostre indifferenze e gridando vi avvertono:

Anche se vi credete assolti, sarete per sempre coinvolti.



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"L'Animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio da qui" (Jacques Derrida)
Ben trovati a Tutti, ragazzi e ragazzi. 🌺Prepariamoci al freddo e alla neve che arriveranno tra una manciata di giorni. E se ci imbattiamo in chiunque (animale o persona che sia) in difficoltà, soccorriamolo o chiediamo aiuto. La vera ed autentica empatia non conosce discriminazioni o specismi di sorta. 
Grazie. 💓❄💓❄💓❄💛

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