E uccelli, uccelli, uccelli,
col ciuffo, con la cresta, col collare:
uccelli usi alla macchia, usi alla valle:
scesi, dal monte, reduci dal mare:
con l’ali azzurre, rosse, verdi, gialle:
di neve, fuoco, terra, aria le piume:
con dentro il becco pippoli e farfalle.
(Giovanni Pascoli)
I prestigiatori
di Olmo Vallisnera
Olmo
Fonte: La Locomotiva
SOMOZA AFFAMO' E OPPRESSE PER QUINDICI ANNI IL POPOLO DEL NICARAGUA. QUANDO FUGGI’ IN ESILIO IN PARAGUAY, UN GRUPPO DI GUERRIGLIERI GLI DIEDE LA CACCIA E LO UCCISE A COLPI DI LANCIARAZZI E MITRAGLIATRICE
Non rimaneva che la fuga per Anastasio Somoza. La fuga ed una montagna di denaro.
La sua famiglia governava il Nicaragua da oltre 40 anni. Prima suo padre, poi il suo fratello maggiore e poi lui. Aveva imparato molto in quegli anni: aveva capito che era necessario far in modo che in pochi avessero molto, tenendo sotto controllo il tutto con esercito e polizia. Aveva capito come far soldi chiedendo - letteralmente - il sangue ai poveri e ai senzatetto di Managua per rivenderlo a caro prezzo in Europa e negli USA. Aveva capito come sfruttare il terremoto che colpì il suo paese il 23 dicembre del 1972, intascando gran parte degli aiuti che la comunità internazionale inviò in Nicaragua. E soprattutto aveva capito che, una volta perso l’appoggio degli USA e con i ribelli sandinisti sempre più numerosi e sempre più agguerriti, fosse meglio lasciare il Paese. Somoza fuggì nel luglio del 1979 e ripiegò verso il Paraguay, governato da un altro dittatore brutale, Alfredo Stroessner, noto per aver dato rifugio a centinaia di nazisti tra i quali il crudele medico Josef Mengele.
Somoza si sentiva al sicuro ad Asunçion, capitale del Paraguay, protetto da un regime politico amico e da un apparato di sicurezza mastodontico pagato dai soldi rubati alla povera gente del Nicaragua. Poteva continuare a trascorrere, sempre con quei soldi, il resto della sua vita nel lusso. Del resto aveva solo 54 anni e tempo per godere delle ricchezze accumulate.
Non era dello stesso avviso Enrique Haroldo Gorriaran Merlo, meglio noto come Ramon. Di nazionalità argentina, era stato protagonista delle insurrezioni nel suo Paese prima di unirsi alla lotta sandinista poco prima della caduta del regime di Somoza. Quando seppe della fuga del dittatore, Ramon si infuriò. Pensò che non sarebbe stato giusto lasciare vivere quel mostro di Somoza dopo tutto il male fatto al popolo del Nicaragua. La soluzione a questa ingiustizia era chiara: Somoza doveva morire.
Elaborò un piano, radunò i suoi compagni e partì, all’incirca un anno dopo la destituzione del dittatore. Erano in sette, quattro uomini e tre donne. Il 17 settembre del 1980 attesero Somoza poco distanti dalla sua residenza di lusso ad Asunçion. Mentre transitava con la sua vettura blindata, lo colpirono con un lanciarazzi e, quando l’auto si fermò, la crivellarono di proiettili da tre lati diversi. E poi sparirono nel nulla: sei di loro riuscirono a fuggire mentre uno dei membri del commando venne catturato ed in seguito giustiziato. D’altronde, lo avevano detto chiaramente nelle settimane precedenti l’agguato:
“Non possiamo tollerare l’esistenza di quel playboy milionario mentre migliaia di latinoamericani muoiono di fame. Siamo disposti a dare la vita per questa causa”.
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