mercoledì 16 gennaio 2019

“La bella e giusta società”. Lettera di Giulio, il vecchio “barbone” del bosco

il vecchio solitario

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"Nessuna cosa che respira, nessuna cosa che esiste, nessun essere di qualsiasi specie può essere ucciso, trattato con violenza, insultato, torturato o respinto. Questa è la pura legge, immutabile ed eterna, proclamata dai saggi che conoscono il mondo, per chi riflette e per chi non riflette". 
(“Anga”, testo sacro della religione indiana giaina)
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"Allora gli uomini avevano così grande disponibilità di tempo e potere di stabilire relazioni e conversazioni non solo fra uomini, ma anche con le bestie, facevano uso di tutte queste condizioni in funzione della filosofia, discorrendo appunto fra loro e con gli altri animali ed interrogando tutte le specie animate per sapere se una ve ne fosse che per una sua particolare capacità avesse mai potuto conoscere qualche cosa a tutto superiore nel procurare grande apporto al tesoro dell'intelligenza. È facile giudizio dire che quelli di allora incommensurabilmente eccellevano per felicità sugli uomini di ora" (Platone, “Politico”)
Che cosa fingiamo ancora di ignorare o di non sapere? Per quanto ancora ci aggrapperemo ad alibi posticci che puzzano di ipocrisia stantia e rancida? Ogni male inflitto è frutto di quel libero arbitrio che abbiamo trasfigurato in dominio assoluto verso tutti gli altri Animali. Ci siamo autoproclamati esseri superiori, e ci siamo trasformati in demoni specisti, crudeli e ciechi. Un tempo sani, in pace e parte integrante del Mondo naturale, siamo oggi preda della nostra stessa follia. Follia che conosce una sola guarigione possibile. Ogni Anima implora la cura, ogni Coscienza sa qual è la sua salvezza. Il suo nome è Amore. Semplicemente, unicamente, naturalmente Amore… 
Namastè.🙏💞🙏



“La bella e giusta società”. Lettera di Giulio, il vecchio “barbone” del bosco
Una novella vera

Gennaio 2019, località: il bosco

Cresciamo e viviamo in una società terrificante, talmente squilibrata, che le ricchezze si moltiplicano con la stessa velocità delle povertà che precipitano, dove il concetto di giustizia è misurato sui vestiti di seta e cashmere, dove la tenaglia dei suoi esecutori raggiunge profondità di tale iniquità che risulta “naturale” e “volontario” mantenere istituzioni repressive per perpetuare all’infinito la persecuzione e il martirio di vittime nel nome di aberrazioni ambientali, economiche, sociali.

Cresciamo e viviamo in luoghi dove regna la carità religiosa, il romanticismo da soap opera, l’abnegazione del salario da fame, l’egoismo della proprietà privata, della pistola nel comodino, la difesa dell’ordine costituito, la trasformazione del suolo in cimitero a cielo aperto, la lapidazione pubblica di individui di un’altra epoca storica, la mistificazione, il depistare e nascondere i responsabili delle stragi, la violenza contro i miserabili della strada, la gogna mediatica, il ladrocinio nelle tasche di chi non ha niente.

Cresciamo e viviamo chiusi fra quattro mura di cemento armato dipinto dalla chimica da laboratorio, stritolati da una educazione obbediente misurata in codici scolastici, indottrinati da una morale dove l’ego acquista punti a discapito del silenzio, barricati dietro porte blindate e torrette a vista, dove anche il suono armonioso del vento diventa onda d’urto di deflagrazione, insultati e derisi da soggetti che frustano la nostra schiena, sette giorni su sette, diventando milionari.

Cresciamo e viviamo sepolti da eserciti di articoli e notizie ricoperte di plastica e menzogne e, nonostante tutto questo, cerchiamo di emanciparci in strade percorse da fumi di monossido, resistiamo ai binari arrugginiti inchiodati sui nostri fianchi, ci sdraiamo esausti sul ciglio dell’orizzonte senza mai attraversarlo, urliamo di libertà con infilato in bocca lo straccio che soffoca.

Ma non è sufficiente, perchè intorno vediamo individui che crescono e vivono sordi ai lamenti incessanti che lacerano le pareti dei lager, sorridono ai liquami che avanzano fino a cingerci le narici, scendendo in gola e obbligando a digerirli, abituati ormai alla sovranità di coloro che siedono sui nostri corpi, delegano la vita a carnefici che la toglieranno, distolgono in allegria lo sguardo al baratro, disprezzano la mano tesa del perseguitato, la stessa mano che scomparirà nel fondo del mare.

Ma tutto questo non è crescere, non è vivere. Esseri viventi trasformati in prodotti da masticare e sputare, masticare e sputare. Oggi mi hanno detto che sono un nemico della nostra società, traditore della morale giusta, difensore dei brutti e cattivi, un solitario pazzo che vive nel bosco, un fabbricante di falsità e sogni irrealizzabili, ma sono solo una foglia seccata al sole da un’estate malata, un torrente prosciugato da dighe puzzolenti e marce, un albero troncato da motoseghe astute, una talpa agonizzante da ruspe ripiene di fango, un lago cristallino diventato immondizia.

Non temete, tranquilli, il mio urlo di rabbia e dolore non si sentirà,
travolto e coperto dalle sirene del progresso…



Il vecchio Giulio



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"CHI NON SI MUOVE NON PUÓ RENDERSI CONTO DELLE PROPRIE CATENE". IL 15 GENNAIO 1919 VENIVA UCCISA ROSA LUXEMBURG 

Quella di Rosa Luxemburg fu una vita autenticamente rivoluzionaria.
Nata nel 1871 in una cittadina della provincia di Lublino, ell’epoca facente parte dell’impero zarista, Rosa, ancora bambina, fu colpita da una grave malattia che le deformò in maniera irreversibile l’anca. Questa malformazione, che la costrinse a zoppicare per tutta la vita, non frenò il suo desiderio di apprendere e conoscere il mondo.
Imparò da autodidatta a scrivere e a leggere, e poi frequentò un liceo femminile a Varsavia, città in cui la famiglia si era trasferita. Fin da giovanissima maturò idee vicine al nascente movimento socialista e si unì a uno dei primi gruppi di lavoratori polacchi. Dopo aver rischiato l’arresto per le sue idee, nel 1889, si trasferì a Zurigo dove studiò scienze naturali e filosofia. 
Nel decennio successivo sposò un uomo tedesco. Un matrimonio del tutto fittizio che le permise di ottenere la cittadinanza e di vivere in Germania. Qui si iscrisse alla SPD e partecipò attivamente a molte battaglie in difesa dei lavoratori. Fortemente ostile al colonialismo e all’imperialismo, Rosa si batté da pacifista contro l’intervento tedesco nella Grande Guerra. 
Già minoritaria nel partito socialdemocratico tedesco, decise di lasciarlo definitivamente nel 1916, per fondare la lega spartachista prima e il partito comunista tedesco poi. 
Arrestata nel 1916, nel corso di un lungo periodo di detenzione scrisse alcune delle sue opere più importanti e analizzò i primi sviluppi della Rivoluzione russa, criticandone in maniera decisa la svolta autoritaria e prevedendone in largo anticipo l’evoluzione burocratica e centralista.
Dopo la fine della Grande Guerra partecipò attivamente ai moti che deposero il Kaiser e fecero da preludio alla nascita della Repubblica. Nel gennaio successivo, insieme all’altro leader del movimento spartachista Karl Liebknecht, convocò una grande manifestazione di protesta a Berlino che sfociò in uno sciopero generale. 
Il governo Ebert inviò l’esercito per reprimere la nascente insurrezione. Alla repressione parteciparono anche i Freikorps, le milizie volontarie composte da elementi reazionari che di lì a qualche anno avrebbero fornito numerosi elementi al movimento nazista.
Le soverchianti forze governative appoggiate dai Corpi Franchi ebbero presto la meglio sugli spartachisti. 
Rosa, insieme a Karl, venne arrestata e portata nel Tiergarten, il grande parco di Berlino. Prima fu picchiata, poi assassinata e infine gettata nel Landwehrkanal, uno dei molti canali che attraversano la capitale tedesca. Recuperato solo in maggio, il suo corpo fu tumulato nel cimitero centrale di Friedrichsfelde. 
Bertolt Brecht le dedicò questo “Epitaffio” nel 1919. 
« Ora è sparita anche la Rosa rossa.
Dov'è sepolta non si sa.
Siccome disse ai poveri la verità
I ricchi l'hanno spedita nell'aldilà »

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