domenica 14 settembre 2008

Giuseppe Giocchino Belli poeta romanesco.

Nella foto: Roma, Piazza Santa Maria in Trastevere da www.chiamaroma.it


Giuseppe Gioachino Belli , insieme a Trilussa è stato il più grande poeta romanesco, i suoi sonetti sono famosi per l'ironia e la beffarda presa per i fondelli contro i detentori del potere;
Fra il 1824 e il 1846 ne scrisse oltre 2.200, ognuno dei quali è una fedele riproduzione della città dei primi dell'Ottocento.
La sua introduzione alla raccolta di sonetti inizia con queste parole "Io ho deliberato di lasciare un monumento alla plebe di Roma...". Egli tuttavia era in netto contrasto con la struttura sociale del suo tempo.
Roma era governata dal pontefice, "il Papa Re". Un ristretto numero di aristocratici e l'arrogante clero costituivano le classi sociali più alte, il cui potere aveva ormai perso qualsiasi giustificazione storica o morale; a loro si contrapponeva il popolino, fanatico e superstizioso, i cui unici diversivi erano le molte manifestazioni di piazza, indette per celebrare e glorificare le classi dominatrici, e le altrettanto numerose pubbliche esecuzioni (tanto che uno dei boia, Giovan Battista Bugatti detto Mastro Titta, divenne addirittura un personaggio famoso)."I nostri popolani non hanno arte alcuna: non di oratoria, non di poetica: come niuna plebe n'ebbe mai. Tutto esce spontaneo dalla natura loro, viva sempre ed energica perché lasciata libera nello sviluppo di qualità non fattizie".
Era un intellettuale, forse anche un moralista, e scrisse i sonetti con l'intento di mettere alla berlina l'ipocrisia di questa società decadente, nel vano tentativo di vederne cambiare la secolare struttura. La sua satira pungente ha dato vita a un gran numero di vignette ricche di spirito, celandovi talvolta amare considerazioni sulla vita e sulla condizione dell'uomo.Alcuni dei sonetti hanno per tema soggetti biblici; in essi i personaggi parlano, pensano e agiscono alla stregua di tipici esponenti del popolo romano.
Belli scrisse anche diversi saggi in italiano, ma è ricordato solamente per i suoi "Sonetti".
Negli ultimi anni di vita però il poeta li rinnegò, dichiarandoli "...sparsi di massime, pensieri, parole riprovevoli...", e rifiutando di riconoscere in essi i propri sentimenti; "...esiste una cassetta piena di miei manoscritti in versi. Si dovranno ardere!" scrisse nel suo testamento.
LA DIFESA DE ROMA
Co ttutto che a Ssan Pietro sc'è un Papaggno
che cce tratta da passeri e cce pela,
e dda settantaddua torzi de mela
un antro ne vieria sempre compaggno,
puro abbasso la testa e nnun me laggno
quann'esce quarch'editto che tte ggela;
e cqui a Rroma sce sto pperchè ogni raggno
è attaccato e vvò bbene a la sù tela.
E io nun faccio com'e vvoi, nun faccio,
c'ar più mmènomo assarto de gabbella
ve se sente strillà: cche ppaesaccio!
Che ccorpa sce n'ha Rroma poverella
si un governo affamato allonga er braccio
e vve se viè a vvòtà ppila e scudella?
G.G. Belli 27 maggio 1834
Pillola del giorno: La natura è fantastica. Un miliardo di anni fa non avrebbe mai sospettato che noi avremmo portato gli occhiali, eppure ci ha fatto le orecchie.
Milton Berle.

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