mercoledì 7 ottobre 2009

TERRA, UN BENE COMUNE DA PRESERVARE. Di Domenico Finiguerra.

In alto: Naviglio Cassinetta di Lugagnano, immagine tratta da Flickr


Saggio è colui che si stupisce di tutto.
André Gide.


Questa settimana sono impegnato in un lungo viaggio al nord del paese, avrò degli incontri presso alcune aziende produttrici di arredo, questi incontri sono finalizzati allo scopo di sensibilizzare i titolari di queste aziende che è possibile avviare dei processi produttivi rispettosi dell'ambiente attraverso l'utilizzo di nuove materie prime non derivanti da idrocarburi ma utilizzando prodotti naturali e biodegradabili, è un percorso tortuoso e pieno di insidie ma con grandi e interessanti prospettive di lavoro e di immagine, le aziende contattate ed altre che verranno in seguito faranno parte di questo circuito virtuoso in costruzione, in questo post, riprendendo il precedente sulla fattoria del futuro si parla di territorio e della sua salvaguardia:

“Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi.

Per lui una parte di terra è uguale ad un’altra, perché è come uno straniero che irrompe furtivo nel cuore della notte e carpisce alla terra tutto quello che gli serve. La terra non è suo fratello ma suo nemico e quando l’ha conquistata passa oltre.

Egli abbandona la tomba di suo padre dietro di sé e ciò non lo turba.

Rapina la terra ai suoi figli, e non si preoccupa.

La tomba di suo padre, il patrimonio dei suoi figli cadono nell’oblio. Egli tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come cose da comprare, sfruttare, vendere come si fa con le pecore o con le perline luccicanti. La sua ingordigia divorerà la terra e lascerà dietro di sé solo deserto.”

Dal discorso di Capo Seattle all’Assemblea Tribale del 1854

Inizia con queste parole il documento che vi presentiamo oggi, scritto da Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI) e membro del comitato direttivo dell'Associazione Comuni Virtuosi.

Uno scritto importante, un documento concreto ed efficace che racconta di un altro modo di fare politica, realmente, che mina alle basi il mito della crescita infinita, il dogma dello sviluppo a tutti i costi, partendo dall'esperienza di un comune, appunto Cassinetta, che per primo in Italia si è posto l'obiettivo, raggiunto, di interrompere la cementificazione selvaggia in atto nella gran parte degli oltre 8.000 comuni italiani. (documento di 52 pagine da scaricare in pdf).


TERRA, UN BENE COMUNE DA PRESERVARE. Di Domenico Finiguerra.


Prima parte
Il pianeta, l'Italia
La terra ci serve. Per vivere.
Per sostenere noi Italiani, con il nostro stile di vita, le nostre abitudini, le nostre passioni e i nostri vizi, ci servirebbero almeno altre tre Italie.
Questo è il dato che emerge dal Living Planet Report del 2008 del WWF1.
Ciò significa che stiamo come stiamo e viviamo come viviamo, perché qualcuno, mette a nostra disposizione (volente o nolente) ciò che da noi comincia a scarseggiare: la terra.
Senza troppi giri di parole, noi italiani viviamo godendo di terra non italiana. E noi lombardi, viviamo di terra non padana.
Per coloro che si inchinano al totem del liberismo o che pregano sull'altare della
competitività, non è eticamente riprovevole godere di benefici ed utilità ai danni di altri: è il mercato. Chi è più forte, più bravo, più innovativo o magari soltanto più fortunato o più furbo (e disonesto) vince.
Però, allargando lo sguardo e considerando tutto il pianeta, salta all'occhio qualcosa che dovrebbe essere poco accettabile anche da parte di chi, pur essendo un liberista convinto, ha a cuore il futuro dei propri figli.
Infatti, i dati del WWF ci dicono che la domanda dell'umanità sulle risorse del pianeta supera del 30% la capacità rigenerativa del pianeta stesso e che oltre tre terrestri su quattro, vivono in nazioni (e l'Italia è tra esse) che sono debitrici ecologiche.
Il nostro stile di vita, i nostri consumi, la nostra voglia di vivere a 200 km all'ora, le gustose patatine che ungono il telecomando del televisore di ultimissima generazione, non gravano solo sulle spalle di qualcun altro in un altro luogo dello spazio (pianeta), ma anche sulle spalle di altri esseri umani che vivranno in un altro luogo del tempo (futuro).
Il 31 dicembre 1986 ha visto l'alba il primo Earth Overshoot Day2, giorno del sorpasso.
Il giorno dell'anno in cui l'uomo esaurisce le risorse annuali prodotte dal pianeta, in cui incomincia a vivere intaccando il capitale, mangiando l'albero dopo averne divorato tutti i frutti, compromettendo così le risorse dell'anno successivo.
Nel 2008, il sorpasso è avvenuto il 23 settembre...
Non è forse il caso di rallentare ed invertire la tendenza? La risposta è ovvia.
La pratica, però, è esattamente contraria.
Tutta la nostra vita, ad eccezione (forse) di aspetti sentimentali o morali, dipende dalle risorse che il nostro pianeta è in grado di donarci. Se mangiamo e siamo vivi lo dobbiamo, in ultima istanza, alla terra. A meno che non si creda che il cibo riposto sugli ordinati scaffali dei supermercati ci sia arrivato con un astronave da un altro pianeta.
L'impronta ecologica misura l'area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti.
Semplificando molto, ci da un'indicazione circa la domanda dell'uomo sulle risorse del globo terracqueo. Risorse che sono misurate sulla base della biocapacità di una
determinata area geografica, sia essa una provincia o l'intero pianeta.
Per rendere meglio l'idea, possono essere utili alcuni esempi che traducono l'impronta ecologica (che si misura in ettari o in metri quadrati) rispetto a consumi e stili di vita quotidiani: per ottenere 1 kg di carne bovina al giorno per un anno, occorrono 140 mq di terra; produrre 1 kg di pane al giorno per un anno necessita di 10 mq di terra; spostarsi tutti i giorni di 5 km comporta un fabbisogno annuale di 122 mq se pedaliamo, di 303 mq se utilizziamo l'autobus, di oltre 1500 mq se siamo automobilisti.
E' evidente, pertanto, che la terra ci serve e che dovremmo tenercela stretta, preservarla e aumentare, laddove possibile, la sua capacità di dare vita.
E invece, anziché togliere cemento, come consiglierebbe di fare il buon senso, continuiamo ad aggiungerne.
Ed in Italia lo facciamo molto velocemente e voracemente, diminuendo così la biocapacità del nostro paese, e aumentandone la dipendenza rispetto ad altre aree del pianeta. Ci stiamo mangiando il futuro dei nostri figli. Allegramente...
Italia, Repubblica fondata sul cemento.
In Italia, il consumo annuo di cemento è passato dai 50 kg pro-capite del 1950 ai 400 kg pro- capite del 2007.
Una tendenza alla crescita sotto gli occhi di tutti e che non pare arrestarsi,
neanche in tempo di crisi.
Anzi, è passaggio cruciale di quasi tutti i comizi e di tutti i dibattiti televisivi, l'affermazione del politico di turno che la crisi si batte con l'edilizia e con le grandi opere. La cazzuola e la betoniera sono diventati il simbolo dello sviluppo, del progresso e della riscossa tutta italiana e il consumo di territorio ha assunto dimensioni davvero molto inquietanti.
Seguendo un modello di sviluppo funzionale solo alla sommatoria di interessi singoli e per nulla orientato da un disegno complessivo che miri all'innalzamento del livello di benessere collettivo e alla salvaguardia del bene comune, il nostro Paese ha cavalcato negli ultimi decenni un’urbanizzazione estesa, veloce e talvolta violenta.
Un vero e proprio cancro che avanza alla velocità di oltre 100 Kmq all'anno, 30 ettari al giorno, 200 mq al minuto.
Dal 1950 ad oggi, un'area grande quanto il Trentino Alto Adige e la Campania è stata seppellita sotto il cemento.
Una goleada, spesso realizzata tra il tripudio dei tifosi: edilizia residenziale, artigianale e industriale, megacentri commerciali, outlets, città satellite. Conditi dei relativi svincoli, raccordi autostradali e rotonde.
Dinamiche molto complesse, che però sono il risultato di un fatto molto semplice: la
cementificazione non è stata mai considerata un’emergenza nazionale.
Nonostante i numeri allarmanti, gli eventi disastrosi che si ripetono ogni anno, le numerose e quasi quotidiane denunce, che paiono essere l'eco dell'urlo lanciato negli anni '70 da Antonio Cederna, il consumo di territorio non è percepito dalle grandi masse come un problema, e non viene quasi mai rappresentato come tale da chi detiene i mezzi per farlo.
Però, all'occhio sensibile, l'Italia appare sempre più come una terra in svendita e sotto assedio.
Cantieri che spuntano anche in posti impensabili, senza risparmiare parchi, zone protette e sottoposte a vincoli, di natura ambientale, paesaggistica o architettonica.
Anzi, solitamente, più le aree sono pregiate, più sono appetibili per il mercato: si pensi che in alcuni tratti della costa ligure si è incominciato a costruire nel mare!
Il dissesto idrogeologico è sempre più manifesto. Piangiamo tutti gli anni decine di sue vittime.
Ma poi, passata la bufera, ritorniamo ad idolatrare le gru o le suggestive grandi opere.
Il patrimonio naturale ed artistico che ci viene invidiato dal resto del mondo è sempre più compromesso.
Si cominciano a notare alberghi chiusi e spiagge vuote, e gli stessi italiani,
sempre più volentieri, preferiscono cercare all'estero la meta per le loro vacanze.
L'agricoltura scivola costantemente verso l'impoverimento, sia economico che culturale, con grandi e fertili territori che sono passati (consapevolmente o meno) da una sana vocazione agricola, che però comporta pazienza e fatica, ad una ammaliante vocazione edilizia, che rende ricchi subito e senza sudore.
I contadini, potenziali protagonisti di una rinascita produttiva per il paese, sempre più difficilmente riescono a resistere di fronte alle offerte di speculatori senza scrupoli, per i quali la terra è solo una preda, da addentare e divorare, senza alcun riguardo nei confronti della sua rigenerazione ecologica.
Infine, le identità e le peculiarità di paesi e città sembrano destinate a perdersi in un unico anonimo e piatto contenitore.
Agglomerati urbani del tutto simili e sovrapponibili tra loro (siano essi un quartiere di Roma, di Bari, di Torino o di Napoli), che non restituiscono la storia del luogo ma che sono modelli preconfezionati, buoni in Pianura Padana come nel Tavoliere delle Puglie.
Insediamenti residenziali fuori le mura, che svuotano i centri storici per indirizzare le vite delle famiglie verso scialbe periferie, invitandoli a passeggiare in centri commerciali dai panorami artificiali.
Sobborghi che azzerano le relazioni sociali tra le persone e che tutto favoriscono tranne che la nascita e il mantenimento nel tempo di un senso di appartenenza ad una comunità.
Forse è giunto il momento di prendere atto con responsabilità che l’Italia è malata ed agire di conseguenza. Sempre che non sia troppo tardi.
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Dallo stesso sito di Finiguerra è interessante segnalare:

25 SETTEMBRE 2009, EARTH OVERSHOOT DAY

Il 25 settembre è l’Earth Overshoot day: il giorno in cui il nostro consumo di risorse naturali sorpassa la produzione naturale annua della Terra

Sappiamo tutti che la natura non fa crediti a nessuno, nonostante ciò il 25 settembre l’umanità avrà utilizzato tutti i servizi ecologici – dalla depurazione del CO2 alla produzione delle risorse alimentari – che la natura può procurarci in un anno, secondo i dati del Global Footprint Network, una associazione di ricerca che misura quante risorse naturali abbiamo, quante ne usiamo e chi le usa.

Come ogni altro Paese, azienda o famiglia, la natura ha un bilancio annuale: ogni anno produce un certo quantitativo di beni ed è in grado di smaltire un certo quantitativo di rifiuti. Il problema è che la richiesta di risorse e servizi da parte dell’umanità eccede le capacità della Terra, una condizione definita di sovraconsumo (Overshoot),

Ad oggi – secondo il Global Footprint Network – noi impieghiamo meno di 10 mesi per consumare il quantitativo di risorse che la natura genera in 12 mesi.

“Il cambiamento climatico è il risultato più drastico di questa continuo dilapidare le risorse della natura”, dice il prof. Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network. “Ma non è l’unico: la perdita della biodiversità, la deforestazione, la diminuzione del pescato, l’erosione del suolo, la carenza di acqua potabile sono tutti sintomi del fatto che la natura sta esaurendo il credito a nostra disposizione”.

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Un paese, il nostro basato sul trasporto su gomma, niente di più demenziale ed antieconomico, il parere di un esperto dal sito di Domenico Finiguerra:

LA DECELERAZIONE

Velocità ridotte e distanze più brevi come obiettivi della politica dei trasporti

di Hermann Knoflacher, Professore Universitario presso la Technische Universität Wien, il politecnico di Vienna, Istituto di pianificazione e tecnica viabilistica

Il progresso compiuto negli ultimi duecento anni sulla scia dell’industrializzazione ci ha allontanato sempre di piú dalla misura e dalla natura umana. Ne è scaturito una sorta di “superuomo” che, fino a poco tempo fa, credeva che la tecnologia rendesse tutto possibile, e che tutto ciò che è umano fosse invece troppo debole, troppo piccolo o troppo lento. Il sistema dei trasporti, poi, sembrava essere il veicolo ideale per rendere l’uomo piú grande e quasi onnipresente: si poteva arrivare piú lontano che mai e con estrema facilità, o acquistare merci a prezzi che un tempo sarebbero stati impensabili. Tuttavia, queste conquiste sono durate – storicamente parlando – per un periodo molto breve, poiché guadagnando in distanza, l’uomo ha perduto in “vicinanza”, e con la conquista di merci lontane e prodotti di massa, l’uomo ha perduto la varietà e, alla fine, anche il gusto e la conoscenza delle differenze qualitative locali.

Ciò nondimeno, la società ha elevato la categoria degli esperti di traffico al rango di scienziati, e quella del commercio al rango di “economia”. La prima ha costruito dei sistemi viabilistici partendo da supposizioni raffazzonate, e producendo conseguenze che ancora non ha capito, mentre la seconda è diventata la creatura prediletta dei politici, poiché sarebbe riuscita – almeno cosí si dice – a realizzare imperi economici e profitti da capogiro partendo apparentemente dal nulla. Peccato che né l’una né l’altra categoria disponga di fondamenti scientifici affidabili, e tantomeno di quella scientificità che dovrebbe indurle ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze.

La velocità è l’anormalità

Se le si studia dal punto di vista scientifico, le alte velocità provocano inevitabilmente una distruzione delle strutture locali, a maggior ragione se le si sottrae – come è avvenuto finora – al principio dell’internalizzazione dei costi (“chi inquina paga”). Le alte velocità, infatti, alterano i mercati in favore delle grandi multinazionali, sottraendo qualsiasi sbocco all’economia locale. I costi di tutto ciò sono scaricati in gran parte sulla popolazione, e in particolare sui ceti piú poveri, sulla natura e sulle generazioni future, soprattutto per lo sfruttamento indiscriminato e irresponsabile delle risorse, a partire dai combustibili fossili. Ora che si sta rivelando sempre piú irrealizzabile nel trasporto stradale, quest’ideologia delle alte velocità viene applicata, dagli stessi beneficiari, ma in modo altrettanto insensato, al trasporto ferroviario, facendo nascere delle strutture altrettanto miopi quanto le autostrade.

Peraltro, – come ci insegnano i filosofi – la velocità è anche una questione di potere, anche se non occorrono chissà quali riflessioni filosofiche per capire che, in realtà, ci si illude superficialmente di avere potere, salvo poi rendersi conto che ogni automobilista s’arrende piú o meno consapevolmente al potere delle multinazionali automobilistiche e petrolifere, accettando, di fatto, di essere alla loro mercé e al loro arbitrio.

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La manifestazione di sabato scorso sull'informazione a piazza del Popolo vista da Sabina Guzzanti:

Manifestazione ego compatibile


Credo di avere trovato una giusta misura. Andare alla manifestazione. Dobbiamo far vedere che siamo tanti, che la questione ci interessa. Molto. Diamanti. Ilvo. Adulto e punteggiato. Perdonate il delirio. Si potrà pure. Cazzeggiare. Ogni tanto. Dicevamo?

Andare alla manifestazione.

È pure vero che vedere sfilare tanti giornalisti che si prestano ad essere puro strumento di chi li protegge, politici corresponsabili dell’attacco alle libertà, sindacalisti che non hanno mai protetto gesti di indipendenza, è farsi violenza. E questo non si può chiedere a nessuno. Le manifestazioni di forza non risolvono le questioni che vanno affrontate con l’opinione pubblica e con l’elettorato anti-berlusconiano, perché questo siamo è vero. Questa per ora è l’unica identità condivisa. E possiamo esserne fieri, non è un limite. È solo il segno che di tutto il resto non si è mai discusso.

Abbiamo collezionato una quantità infinita di dichiarazioni. E poi a un elenco infinito di comportamenti contraddittori. E siamo venuti a conoscenza di una lista sufficientemente lunga di accordi sotto banco per concludere che le decisioni vengano prese evitando come la peste i meccanismi democratici e agendo in base a interessi di piccoli gruppi di potere.

Prima di contare sul consenso di quelli che da poco si chiamano “le persone informate” già intellettuali, società civile, opinione pubblica, ci sono tante cose da chiarire.

Nel frattempo ho proposto dicevo di andare alla manifestazione,

attraversare la piazza e vedere un film in lingua originale al Metropolitan che è lì a due passi. Per i non. Romani. Smetto. Non so. Che mi è. Preso. Dicevamo la manifestazione.

Si cammina a fatica, facciamo un giro larghissimo, arriva un sms: ho visto la Busi, sono venuto via, sono già al Metropolitan, c’è Inglorious barstards di Tarantino.

Che bella notizia. Eravamo prearati a vedere qualsiasi cosa. E ci tocca Inglorous Bastards! Siamo perfettamente in orario. Senso di armonia. Coincidenze benevole.

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Cuor di scarogna il blog di Sara è un blog molto interessante, lo seguo con assiduità, Sara ogni tanto risponde alle lettere delle lettrici che scrivono alle riviste che trattano questioni amorose, il suo stile è impeccabile nei consigli che elargisce alle malcapitate:

CdC Regimental

Risponde Sara_1971:

Vorresti tanto essere altrove ed invece adesso sei qua, mi dispiace. Sei arrivata dopo Giovanna, dopo Enrica, dopo Anna, dopo essere stata follemente amata proprio quando ti sei improvvisamente accorta di quanto lui fosse noioso, dopo esserti accidentalmente intrugliata del primo farabutto incontrato e dopo aver tristemente capito che l’inazione in amore è forse il peggior crimine.

Sei piombata qui quando non c’era davvero bisogno che arrivassi tu ad incasinare tutto, proprio adesso che con sua moglie tutto sommato andava benino, una donna paziente di cui lui ha tanta stima che gli regala la tranquillità di una casa ordinata e di una vita pulita. Troppo tardi per cedere alla tentazione di mandare tutto a quarantotto, troppo presto per aggiungerti alla sua collezione di storielle passate.

Gli sei antipatica il giusto: con la petulante costanza tipica dell’ex che rifiuta di esserlo, stai lì a ricordargli che Lui non è il vero protagonista di quella vita specchiata fatte di calze in filo di scozia e cravatte regimental che si era faticosamente costruito grazie ad un notevole processo di dissociazione. Che sia la natura dei bisogni a determinare il destino degli uomini?

Però.

Però nonostante tutto è stato l’unico ad infilzarti il cuore ed il cervello e insomma come si fa, la vita è così piatta senza una piega, senza un tirante… Si, è vero, non sei la madre dei suoi figli e non hai intenzione di fargli da badante, non ti ha conosciuto con i capelli castani e senza pancia ma - pensa un po’ – forse non gli saresti piaciuta nemmeno giovane e figa. Non sei salita sulla sua prima macchina e non hai condiviso il suo primo colloquio di lavoro, quello in cui ha sbagliato tutto ma poi, chissà perché, l’hanno preso. Non sai chi siano i suoi amici di infanzia e non ti interessa niente dei suoi amori morti e sepolti, anzi, se servisse distruggeresti le lapidi a mani nude. Non ti importa se adesso è dopo perché non vuoi il suo amore di prima, il suo essere stato brillante o sfigato, non ti interessa saperlo in disparte a giocarsi miliardi di occasioni (tutti si son giocati miliardi di occasioni, figurati lui): lo vuoi per come è, con la pancia, i capelli grigi, con le rughe e il russare pesante, con le pessime abitudini da pigro indolente e burbero personaggio, con la sua incostanza e con il suo maledetto ripeterti di essere arrivata tardi. Vai a capir perché poi tu lo voglia.

Ma forse hai ragione tu.

Perché di quasi nulla resterà traccia, dei pensieri, dei ricordi fugaci, dei progetti e desideri, del dubbio, dei sogni, della crudeltà, di tutto ciò che si fa da soli e di cui non si prende nota, delle promesse fatte e non tenute in conto, tutto di dimentica e si estingue, tutto, tranne quel che si coglie nell’istante in cui quel fardello di vita che ti porti dietro diventa, finalmente, vertigine.

In bocca al lupo, baby.

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Dopo un periodo di disavventure informatiche e cruenti battaglie con la Vodafone, è tornata una cara amica, SuzieQ, e non poteva esimersi dallo scrivere un'accorata missiva al suo interlocutore preferito:

Postato da SuzieQ

berlusconi, un uomo, il suo sorriso........quanto tempo è passato....ti sono mancata? Lo so, lo so, hai avuto molto da fare, non so dove trovi il tempo per fare tutto. Sono avvilita, tutte queste chiacchiere, questo veleno nel tentativo di screditarti presso il popolo italiano....Sai una cosa? E' tutta invidia, caro Silvio, nient'altro che invidia perchè tu puoi e loro rosicano! E poi lo dice anche il famoso proverbio di Frate Venegono da Lodi che fa pressapoco così: "chi puote, puote. Chi non puote....se lo scuote". E tu per l'appunto, PUOTI. Però scusa se te lo dico, trovo che tu sia un pò, come dire, di maniera. Mi spiego meglio. Noi donne siamo romantiche, anche se non lo vogliamo ammettere. Ci piacciono le storie contorte, piene di passione, lacrime, quel contorcersi affannoso di mani, ci piacciono gli sciupafemmine come te, ma li vogliamo romantici. Quella D'Addario per esempio, insomma, tu frequentare questo tipo di donna, una escort (si chiamano così ora? Come sono antiquata, il mondo è davvero cambiato). Hai detto che ami conquistare e allora facci vedere, stupisci il pubblico femminile con i tuoi effetti speciali. Prova ad immaginare per un momento, invece del solito palazzo, del solito lusso, delle solite comodità, prova a calarti nei panni di uno qualunque, hai presente l'amante di Lady Chatterley? Ecco, fai lavorare la fantasia....

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Nel nostro paese c'è libertà di stampa? la risposta di Vauro:



Alcune riflessioni di PV64:

http://www.unavignettadipv.it/public/blog/upload/Lancia%20Low.jpg

Questa e altre vignette (vai a vedere sull'altro sito di PV) le trovi
sull'ultimo numero di
ScaricaBILE in dowload gratuito QUI. ;)


Iperattivi e pigri
http://www.unavignettadipv.it/public/blog/upload/1%20vita%201000%20vite%20Low.jpg

Altra piccola riflessione su certe differenze che si colgono in molte coppie di amici (e non). Che a uno viene naturalmente da chiedersi: ma che ci stanno a fare insieme due così?? ;)

Spaccacuore


http://www.unavignettadipv.it/public/blog/upload/Amore%20Profondo%20Low.jpg

A volte capita di sentirsi rispondere così... poche volte, si spera.... ;)


Pillola del giorno: Un video spassosissimo, Crozza imita Zichichi da non perdere:


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