Gatti che suonano il jazz, paperi miliardari, astuti conigli su due zampe. I mondi dell’immaginario e dell’infanzia sono abitati da una nutrita schiera di animali… Che però non sono animali. Perché assumono comportamenti squisitamente umani, tipizzandoli. Come il caso della furbizia della volpe nelle favole di Esopo o del celebre Paperon de’ Paperoni: incarnazione di un desiderio di accumulazione monetaria tipicamente umano.
Poi ci sono animali che funzionano inversamente, come modelli di comportamento nei giochi dei bambini. E non solo dei bambini. Ci mettiamo a quattro zampe e ci muoviamo come i felini: scopriamo un nuovo modo di saltare, imitando il balzo della tigre
Ciò che facciamo in tutti questi casi è mettere in connessione la nostra umanità con l’universo animale: espediente che ci permette di scoprire il nostro corpo, l’immagine che abbiamo di noi stessi, i nostri vizi. In questo modo sperimentiamo fisicamente le nostre possibilità, i confini della nostra realtà e quel che c’è oltre quei confini: i nostri sogni.
Una rondine, se non fa primavera, definisce infatti col suo volo un limite e un desiderio. Un limite: perché se è vero che oggi possiamo, dopo tanta fatica, muoverci tra le nuvole, è altrettanto vero che non lo facciamo come gli uccelli. Né possiamo vedere come l’aquila, correre come il ghepardo o nuotare come il delfino. Aerei, navi spaziali, microscopi, cannocchiali, macchine, sottomarini sono tutti oggetti-simbolo non tanto della nostra potenza, quanto di un desiderio sempre avvicinato e mai soddisfatto fino in fondo. Perché non vogliamo volare a bordo di un aereo. Vogliamo diventare ed essere uccelli.
Desideriamo espandere la nostra identità, entrare in una metamorfosi… Cosa che ci affascina terribilmente e che, nello stesso momento ci inquieta. Perché per conquistare nuovi terre bisogna uscire dalle vecchie, mettersi in pericolo. E entrare in territorio animale significa rinunciare alla coscienza, almeno a quella umana. Non però andando in un luogo totalmente ignoto… Il viaggio che dobbiamo affrontare per diventare animali è impervio, ma la via non è impraticabile: possediamo una mappa. Altrimenti come potremmo far raccontare agli animali dei cartoni animati i nostri vizi o anche imitarne per gioco le movenze?
I sentieri che ci uniscono a tutte le altre specie ci sono. E la mappa segna, inversamente, altrettante rotture che abitano e creano barriere insuperabili tra gli individui di una stessa specie. Perché mai, per esempio, un uomo timido dovrebbe essere più simile a un uomo estroverso di quanto non sia simile a un cane che condivide la sua stessa timidezza? E la differenza di sesso, non attraversa tutte le specie interconnettendole e, contemporaneamente, separandole al loro interno?
Immaginiamo una donna che tiene tra le braccia un gatto. Tra noi e quel gatto sta un abisso evolutivo. Ma se realizziamo che quella donna è una femmina, esattamente come tutte le femmine di tutti gli animali di questo pianeta, ci riscopriamo, in quello stesso momento, maschi e compagni di quel gatto che sta carezzando. Capiamo il suo piacere e il suo desiderio, forse lo invidiamo. E un abisso si forma ora tra noi e quella donna.
Alla fine, diventare animali non sarà tanto una metamorfosi (che letteralmente significa “l’assumere un’altra forma”) quanto il riprendere possesso di una forma originaria e sempre presente, umana e animale assieme. Quella forma che unisce tutte le creature e che lega le loro vite a un unico destino di compassione.
Fonte: Filosofia vegana
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