lunedì 22 ottobre 2018

La liberazione dei sentimenti


L'immagine può contenere: spazio all'aperto

La posizione che i cani assumono nello spazio ha un significato sociale ed è spesso chiarificatore della posizione sociale nel gruppo. 
Ci sono studi sulla prossemica che dimostrano come la posizione di un cane rispetto a un altro individuo della stessa specie abbia un significato ben preciso. 
Così come questo spazio può cambiare in base al luogo e allo stato emotivo in cui si trovano i cani. 
Pensate a quanto sono importanti le distanze anche fra noi umani, di riflesso dovremmo rispettare maggiormente le distanze che un cane sconosciuto ci chiede quando lo incontriamo per strada. 
Troppo spesso le richieste di spazio da parte dei cani non vengono rispettate, nonostante il cane mandi dei segnali ben chiari. 
Impariamo a riconoscere questi segnali e a rispettare la loro richiesta.



La liberazione dei sentimenti

Il mattino del 30 settembre 2015 trovai Blanche morta nella sua cuccia: pareva addormentata. Meno di dodici ore prima, sempre dalla stessa cuccia lei aveva assistito insieme a me alla morte di Mukko, il suo compagno canino di una vita; il suo corpo stanco e il suo cuore appesantito, forse non avevano retto all’idea che Mukko non ci fosse più, o forse aveva semplicemente deciso che era l’ora di andarsene insieme a lui. Questo non potrò mai saperlo.
Gli Animali hanno un rapporto con la vita e la morte più diretto, sincero e in definitiva profondo del nostro: non hanno paura di vivere come non hanno paura di morire. Quando è il momento lo sentono, lo annusano e si lasciano andare, decidono di chiudere gli occhi senza traccia del terrore che in queste situazioni attanaglia la maggior parte degli Umani. Così aveva fatto la mia Blanche lasciandomi un vuoto dentro incolmabile che persiste intatto e monolitico ancora oggi. È proprio di questo senso di mancanza, di questo vuoto che vorrei parlare cogliendo l’occasione della morte di un Animale che è stato una presenza fissa nella mia vita e nella mia famiglia per quattordici anni. Il vuoto dentro a cui faccio riferimento è quello che si genera quando si perde una persona cara, è un vuoto emotivo istintivo e subitaneo che deriva da un sentimento d’amore, di amicizia descritto in mille modi meravigliosi e struggenti dalla letteratura di ogni tempo, ma quasi sempre avente come causa scatenante la morte o l’assenza di un Umano.
Ma il vuoto che provo oggi è la diretta conseguenza della mancanza fisica di un Animale non umano, le cose pertanto, per via della visione discriminante ed esclusiva propinata dalla società umana specista, si complicano.
Ciò che sto cercando di descrivere in questo preciso momento viene solitamente definito “elaborazione del lutto”, in questo caso è un’elaborazione che travalica la barriera di specie e circonda la figura di una persona non umana per me molto importante. Mi rendo conto che ciò che provo non è mediato (per fortuna) da precetti culturali che mi impediscono di comprendere e sentire con sincerità il vuoto di cui parlavo in precedenza, ed è parte integrante e rilevante di un mondo che l’antispecismo nella sua elaborazione teorica spesso dimentica o pone in secondo piano (quasi si trattasse di un argomento di cui vergognarsi): quello dei sentimenti.

Emozioni e sentimenti sono espressioni complesse della nostra animalità, se i primi sono istintivi, immediati, fisici e insiti nei nostri geni, i secondi sono reazioni ai primi derivanti da associazioni mentali, esperienze personali e mediati dalla cultura e variano enormemente da soggetto a soggetto. Le emozioni che gli Animali ci provocano sono moltissime e scaturiscono dal nostro intimo e dalla nostra stessa natura animale: gioia, paura, entusiasmo, rabbia sono emozioni che fluiscono dentro di noi senza o quasi controllo, mentre i sentimenti sono più complessi e legati all’esperienza di vita e dal retroterra culturale. È proprio in questa ultima caratteristica che risiede un grande problema irrisolto: le nostre esperienze, la nostra storia, la cultura, le tradizioni derivanti dalla società umana in cui viviamo, influenzano pesantemente la nascita e la gestione dei sentimenti (frenando quelli positivi e favorendo quelli negativi) nei confronti degli Animali.

La felicità e l’amore sono due sentimenti, ma siamo abituati a considerare quelli derivanti da un rapporto con un Umano sostanzialmente diversi dagli stessi sentimenti che possiamo provare grazie a un Animale, questo solo perché per l’appunto parliamo di un soggetto non umano. Ancora oggi paragonare il dolore per la perdita di un Cane a quello derivante dalla perdita di un Umano è quasi blasfemo: la tristezza causata dalla morte di un Animale viene spesso accolta con ilarità o sufficienza, la frase “ti è morto il gatto?” come stupido motto di spirito rivolto a chi ha un’aria triste, viene utilizzata a dimostrazione che la morte di chi non è umano ha ben poco valore, tanto che ci si può scherzare su. Ma l’amore per un Animale e il dolore per la sua perdita sono sentimenti reali, intensi e vivi, castrarli perché culturalmente è disdicevole provarli è solo una vergognosa pratica specista che ci allontana dal nostro lato emozionale animale e ci distacca dagli altri. Se siamo in grado di provare tali sentimenti positivi, è necessario ammettere ciò che molte delle persone umane che leggeranno questo testo sanno già da tempo: non dovrebbero esistere sentimenti condizionati in base al destinatario degli stessi. Un sentimento dovrebbe poter nascere, crescere e vivere dentro di noi a prescindere dal soggetto che lo ha fatto scaturire. Se i sentimenti sono condizioni cognitivo-affettive di più lunga durata rispetto alle emozioni e derivanti dalla storia ed esperienza individuale, è fondamentale allora rielaborare la nostra visione dell’esistente in modo da permettergli di manifestarsi nella loro interezza: senza barriere concettuali, senza condizioni e liberi da convincimenti e posizioni razionali causa della catalogazione e gerarchizzazione dei viventi.

La morte di Blanche ha generato in me un sentimento persistente e duraturo, dovuto alla scomparsa di una persona non umana che indubbiamente amavo e per la quale provavo una profonda amicizia. La cultura specista in cui siamo immersi ci diseduca a questo genere di sentimenti e ci obbliga a condizionamenti innaturali, tali per cui arriviamo a reputare inconcepibile provare sentimenti così profondi per chi non è umano; ritengo invece che i sentimenti positivi debbano essere parte fondameentale dell’idea antispecista, perché sono indissolubilmente legati a due elementi cardine per la costruzione di un nuovo rapporto Umano-Animale: l’empatia e la compassione. Paradossalmente in ambito antispecista molto si tratta di empatia e compassione, ma ben poco dei sentimenti ad esse correlati: senza una corretta e libera gestione dei sentimenti, non potremo giungere a provare una reale empatia nei confronti degli Animali. Questo – tengo a specificare – nulla ha a che fare con l’antropomorfizzazione degli Animali e i rapporti patologici che da essa derivano a cui spesso assistiamo al giorno d’oggi, ma è semplicemente la constatazione che non dovrebbero esistere sentimenti ritenuti inopportuni perché rivolti all’esterno dell’esclusivo ambito umano.
La lotta per la liberazione animale dovrebbe essere condotta anche attraverso una lotta di liberazione dei nostri sentimenti positivi che dovremmo poter vivere appieno e senza remore o castrazioni, spogliandoli finalmente da sovrastrutture mentali e da condizionamenti speciste che ci impediscono di esprimerli senza vergogna alcuna.

Adriano Fragano

Nella foto: Blanche che riposa al sole

Fonte: Veganzetta


L'immagine può contenere: cane, spazio all'aperto, acqua e natura

Poi, immancabilmente, arriva il momento che la persona mi fa la domanda che mi deve fare, quella giusta, quella cui giriamo intorno a volte da settimane, altre volte da mesi, o addirittura da anni. Altre volte da giorni, o solo da minuti.
Quella domanda che con pazienza sto aspettando che faccia, perchè significa che finalmente ha capito, ha trovato il bandolo della matassa, ha cominciato a guardare le cose con occhi diversi, e da nuove prospettive.
Quella domanda che apre le porte al cambiamento vero, diversa per ognuno di noi.
E io do la risposta che devo dare, secondo il mio sentire, anche se so che può far male, anche se so che potrebbe essere l'ultima volta che vedrò quella persona, anche se so che sto rischiando tanto.
Posso cercare le parole migliori, posso cercare di capire se è più giusto essere morbida o invece scuotere e risvegliare dal torpore, ma so che quello che deve essere detto deve essere detto. 
Perchè se quella persona è arrivata fino a qui vuol dire che la risposta la vuole, ed è pronta ad ascoltarla.
Solo dopo, però, saprò se è anche pronta ad accettarla.
Se resta possono venire fuori delle bellissime cose da fare; se invece decide di non tornare più vuol dire che è arrivato il suo momento di fermarsi, o di provare strade nuove. 
Io non posso fare nulla per convincerla a restare, se non raccontarle cose in cui non credo, ma non è questo il mio lavoro.
Perchè c'è poco da fare, i cani ci costringono a guardarci dentro, con il nostro egoismo, le nostre incoerenze, le nostre fragilità, fino a vedere anche quello che meno ci piace.
Se non ne abbiamo il coraggio non andremo poi tanto lontano, ma se ci riusciamo si spalanca davanti a noi un mondo nuovo, fatto solo di cose essenziali, cui non si riesce più a rinunciare.

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