TIGRE UCCIDE CUSTODE DELLO ZOO
Una tigre bianca ha attaccato un custode dello zoo di Hirakawa (Giappone) ferendolo a morte.
In uno zoo poco lontano, nel marzo di quest' anno una donna era stata morsa da un gorilla.
Gli incidenti sul lavoro a causa dell' incompatibilità degli animali con la cattività e la vicinanza forzata dell' uomo negli zoo sono tantissimi.
Nel maggio 2017 presso lo zoo di Hamerton, nel Cambridgeshire, una donna è stata uccisa da una tigre.
Pochi mesi fa alcuni leoni hanno attaccato un' auto al West Midlands Safari Park, sempre nel Regno Unito.
Nel 2012 una giraffa ha schiacciato e causato la morte di
un custode allo zoo safari di Ravenna.
L' anno dopo una tigre ha aggredito e ucciso un uomo al parco Ex Martinat di Pinerolo; la stessa tigre morirà a soli 7 anni, pochi mesi dopo, allo zoo di Fasano.
Senza dimenticare che spesso sono gli animali a pagare con la vita il prezzo della loro stessa detenzione, basti pensare ad Harambe, gorilla prigioniero dello zoo di Cincinnati assassinato nel 2016 dopo che un bambino è caduto nella sua area gorilla (al bambino non fu torto un capello, Harambe se ne prese cura fino al momento della sua uccisione).
O a tutti gli animali prigionieri che tentano la fuga e soccombono, uccisi mentre cercano di scappare dai loro stessi carcerieri.
"Ma io mangio solo uova di galline domestiche o di piccole fattorie felici"
La questione delle galline salvate o che vivono liberamente nel cortile di casa non dovrebbe essere valutata in base al grado di sofferenza che gli si potrebbe arrecare prendendo o mangiando un uovo. La questione è molto più ampia.
Il veganismo è soltanto una conseguenza logica dell'aver assunto una prospettiva antispecista, e l'antispecismo va ben oltre il "cosa" mangiare o non mangiare, così come va ben oltre il "quanta sofferenza si nasconde dietro le nostre abitudini alimentari".
Quindi, come anticipato sopra, non tratta il grado di sofferenza che possiamo arrecare ad un individuo sfruttandolo o anche solo usandolo (questo è il concetto chiave del welfarismo, non dell'antispecismo), bensì la decostruzione di un certo tipo di mentalità e la ridefinizione del nostro rapporto con gli animali non umani.
Il fatto di usare un uovo o meno, in confronto a tutto il resto, è a volte, erroneamente, considerato il problema minore.
Nessuno mette in dubbio che il grado di sofferenza non sia neanche lontanamente paragonabile (così come a questo punto sarebbe lecito anche fare una differenza in base alla diversa quantità di sofferenza arrecata dai vari tipi di sfruttamento), ma questo è un modo di ragionare per comparti stagni, in cui la "radice" viene considerata soltanto uno dei "rami", tra l'altro neanche messo in connessione con tutti gli altri rami.
Se iniziamo a ragionare per priorità, ritenendo che una cosa sia più grave dell'altra (quando invece sono un tutt'uno) e cercando di smantellarne prima una senza mettere in discussione l'altra, perdiamo di vista il fulcro di tutta la questione e non andiamo ad agire sulle cause, ma soltanto sugli effetti secondari.
Una domanda da porsi è: per quale motivo le galline vengono sfruttate? Perché esistono gli allevamenti, intensivi e non? Qual è la causa di tutta la sofferenza di cui si sta dibattendo?
È chiaro che le galline vengano allevate per le uova, e che quindi sia proprio quel "prodotto", e la concezione che noi possiamo disporne, la causa del tutto.
Il fatto di ritenere ingenuamente che non vi sia nulla di male nel prendere un uovo ogni tanto da una gallina, magari anche salvata, ribadisce la concezione secondo cui un uovo è per noi un cibo ed è nostro diritto prenderlo anche qualora non ve ne fosse (e non ve ne è) la necessità. Non è altro che la legittimazione di un certo tipo di mentalità, che è poi quella che sta alla base dello sfruttamento degli animali.
Certamente l'effetto è diverso, e certamente in questo caso ci si preoccupa della loro sofferenza e le si considera individui, ma non è la sofferenza il punto, bensì la mentalità che in altri contesti genera quella sofferenza. È quella che va messa in discussione, secondo me, non le sue diverse emanazioni. La radice, non i rami.
Se noi vogliamo decostruire un condizionamento culturale, dobbiamo anche renderci conto che le domande che ci si pone riguardo alla legittimità dell'uso delle uova sono frutto proprio di quel condizionamento culturale.
Una domanda da porsi al riguardo potrebbe essere: "Se le galline non fossero mai state allevate e usate per le uova e fossero come un altro animale che non produce nulla, come ad esempio una volpe, queste domande ce le faremmo?".
Il punto è che la nostra cultura ci ha abituato a vedere e a pensare ad alcuni animali come produttori di qualcosa, ed è una visione che abbiamo talmente introiettato che è difficile liberarsene.
Li si vede come individui, ma c'è sempre una parte del nostro cervello che tende a fare il collegamento immediato con ciò che producono. Ma è proprio questo che va eradicato.
È proprio questo collegamento il motivo per cui è ritenuto giusto e accettabile utilizzare determinati animali, non curandosi di come lo si faccia.
È proprio questo collegamento a legittimare le varie pratiche.
Se non desideriamo abbandonare l'abitudine di considerare le uova come cibo, perchè il resto del mondo dovrebbe privarsene, se è giusto considerarle un cibo?
Se continuiamo a collegare automaticamente galline e uova (per condizionamento culturale che è proprio quello che vorremmo combattere) continuiamo involontariamente a trasmettere un'immagine oggettualizzata e utilitaristica di quegli individui (anche se noi li consideriamo individui), e quell'immagine, purtroppo, legittima l'uso che gli altri ne fanno non preoccupandosi di arrecar loro un'immensa sofferenza.
Foto di Jo-Anne McArthur
Fonte: Codice a Barre
“Un cinghiale si scontrò con un guidatore di Suv che andava a centocinquanta. L’animale ebbe la peggio. Il cinghiale invece se la cavò solo con un grande spavento.”
(Stefano Benni)
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